Il viaggio

di SERENA IANNICELLI*


“Nonnina, è ora”

Non sono tua nonna. Se solo potessi dirtelo, spiegartelo bene quanto ti odio.

“Ho capito, non ti va di uscire, ma è una bella giornata. Tua figlia si arrabbierà se non ti porto a prendere aria”.

Com’è ruvida questa donna, ha la rabbia nelle mani. Estranea e sgradevole: tipico di mia figlia farmi questo regalo. Quando le altre bambine portavano alle loro mamme fiori appena raccolti, lei mi metteva in grembo rospi e lucertole.

“Ora esci con la tua Irina, nonna, arriviamo fino in fondo alla strada, compro le sigarette e torniamo”.

Non ce la faccio! E mi hai stretto troppo i lacci delle scarpe. Fino in fondo alla strada è un viaggio. Le mani mi sollevano dalla poltrona, mi gira la testa, mi attacco all’Estranea per non cadere.

“Sì, tranquilla, ci sono io”

Mi fanno male i piedi. La schiena. Le gambe non mi reggono. Potessi provare tu questo dolore! Eccoci al sole. Come mi piaceva una volta, come mi abbronzavo ! Ora se Questa non mi mette gli occhiali neri, non mi muovo.

“Nonnina, abbiamo dimenticato gli occhiali a casa. Fa niente”

Ecco. Fa idiota, fa.

“Sì, hai ragione, non ne abbiamo bisogno, vero?”

Che dolore terribile. Glielo dico, ma Questa mi pulisce la bocca. Devo aver sbavato. Sono felice che lui sia morto, che non mi veda così, aggrappata a un’estranea. Mi ha conosciuto bella, siamo invecchiati insieme, profumati e felici. Vorrei mi vedesse mia figlia, invece, che sentisse la colpa. Ma che sente Quella? Niente. Vive da rospo e da lucertola. Faccio passi piccolissimi. Questa è un blocco di marmo, sta pensando a qualcosa e vuole solo arrivare in fondo alla strada. La vedo appena la fine, è un grumo di colori, lontanissimo. Dal numero 13 esce una donna con un cane. Ci guardiamo e lei mi sorride, mentre il suo cane mi abbaia contro. I cani non amano i vecchi, gli stranieri, i barboni, che poi a un certo punto della vita sono la stessa cosa. Vorrei dirle che non fa niente se il cane abbaia, di non sgridarlo. Abbiamo avuto tanti cani io e lui. Ci hanno dato molte più soddisfazioni di Quella. Provo a parlare alla donna e mi esce un “come faccio?!” che non c’entra niente col mio pensiero, ma che se ne stava acquattato lì, nella gola, da chissà quanto tempo. La donna mi sorride di nuovo e poggia appena una mano sul mio braccio. Dunque esisto!

“Su nonnina, non ti fermare”

La donna del 13 si allontana. Si starà chiedendo se accadrà anche a lei di ridursi come me. E perché no, mia bella? Divertiti finché puoi. Io e lui l’abbiamo fatto, anche se c’era Quella che aveva sempre bisogno di qualcosa, di noi. Il padre aveva più pazienza di me. Era un debole, ma della sua soavità beneficiavo anch’io. Il portiere del 26 mi saluta, gli sbavo anch’io qualcosa. È un vecchio portiere ossequioso. Mi conosceva quando sgambettavo sulla via per qualche commissione, e regalavo dei “buongiorno!” con voce forte. Non mi chiedevo quanto fosse lontana la mia meta. Ora non solo non ho meta ma ovunque sia, è lontana. Mi aggrappo a Questa, ormai l’abbraccio. Lei toglie la mia mano dal suo collo senza dire nulla. Sei voluta uscire tu, stupida. E ora ti peso fin là, fino al fondo della strada.

Sì, nonnina, ti voglio bene anch’io”

Ma chi te ne vuole?! Non ce la faccio più, cado! Un’altra badante si avvicina alla mia. Parlano una lingua che non conosco, ma intanto mi riposo. Ridono. Di me o di quella vecchia che sta sulla carrozzella? Beata lei. Incrociamo lo sguardo, mi sembra di conoscerla.

“Che vuoi, che guardi?!”

Ha ancora la voce, la bastarda. La sua badante la sgrida:

“Nonnina, che modi!” e la spinge via. È un mondo di nonnine e nonnini il nostro. Un universo di confine, dove non siamo morti e non siamo più tanto vivi. Ti ho riconosciuto, cara la mia paralitica: abiti al 73, facevi la giornalista e avevi degli amanti. Divertita? Mi giro per farle le corna, e inciampo. Buca.

“Attenta nonna! Ti vuoi rompere qualcosa? Chi la sente poi tua figlia? Su, cammina bene…”

anzianajpg

(foto di Sabine van Erp da Pixabay)

Se aggiustassero questa strada camminerei bene, ancora, anche con questi lacci che stringono, con la vecchiaia che mi restringe i pensieri e mi strozza le ossa. E questo sole maledetto che mi buca gli occhi. Mi fermo. Non voglio più andare da nessuna parte. Prendimi in braccio, cretina. Dal 92 esce un uomo vestito da tennis, i calzoncini, i muscoli delle gambe, il petto largo. Mi muovo allora verso di lui incantata: che bello sei! Mi guarda anche lui, e con imbarazzo abbassa la testa. Non sono una donna, sono forse quel che resta di sua madre, o di sua nonna, o di qualche malato di cui non vuole vedere la malattia. Ed io ti accarezzerei ridendo, invece. Mi è sempre piaciuto fare l’amore. Se avessi saputo che l’ultima volta sarebbe stata davvero l’ultima volta!

“Non di là, cammina dritta che siamo quasi arrivate” Questa nemmeno l’ha visto il sesso in calzoncini. Tra poco lui suderà, e griderà tirando la palla, facendo quei versi, oh, quei versi! Ecco di nuovo la donna del 13 col suo bel cane. Ha fatto il giro dell’isolato mentre io e il Golem percorrevamo pochi metri. Mi chino verso il cane per accarezzarlo, ma perdo l’equilibrio: un altro po’ e gli casco addosso. Mi sorregge la donna del 13

“Ooops!” mi sorride e guarda male la Straniera. Prende in braccio il cane:

“Saluta la signora e guai a te se le abbai un’altra volta”.

Tu non mi avresti portato rospi e lucertole. Magari avevi una madre che non ti piaceva, potevamo unire le forze, se solo il caso non fosse sempre così distratto. Mi guardi i piedi.

“Mi scusi, credo che la signora abbia male ai piedi. Le scarpe sono troppo strette. Vede, è tutta rossa…”

Mia coraggiosa guerriera! Questa non ti ascolta, lo so

“Va bene così, è normale, è sempre gonfia”.

Impicciati, uccidila, dalle un pugno, un calcio, chiama aiuto. Falle mordere la gola dal tuo cane. Ma la donna è già lontana. Davanti al 102 ci sono due coppie. Hanno appena cominciato a stare insieme, a fare figli, a far carriera. Si parlano, fanno e disfano il mondo. Hanno la pelle di chi ha ormoni nuovi, liscia e soda. Gli passiamo vicino come due fantasmi, la Vecchia e l’Immigrata: nel mondo che fanno e disfano non esistiamo. Non dovremmo esistere. Fammi sentire che dicono, aspetta. No? Allora sbavo sul bancone della tabaccaia, vuoi vedere che lo faccio. E lo faccio.

”Stia più attenta!”

Ecco. Ora discutono sull’opportunità di portarmi ancora in giro, che non sono un bello spettacolo. Nemmeno voi! Siete sane ma brutte. Brutte. Ti piscio nel negozio stronza. Mi aggrappo al mio Blocco di carne per mettermi comoda a farla.

“Nonnina, non ci provare! Tra due minuti siamo a casa e la fai come tutti i cristiani!”.

Se sai quando sto per fare pipì, perché non sai che ho le scarpe troppo strette?

“ Mica possiamo cambiare dieci pannoloni al giorno! Tua figlia non ce li compra”.

Io spero che un giorno mia figlia ci affoghi dentro alla sua pipì. Siamo fuori dal negozio. Guardo dentro e vedo la tabaccaia che disinfetta il bancone. Sono i piccoli piaceri che mi regalo. Le faccio una smorfia, ma credo che il mio viso non si muova. Sono un totem da cinque anni. Un totem col cerchietto, cosa che ho sempre odiato. Lo facevo mettere per forza a mia figlia. E lei ha dato istruzioni precise:

“Irina, non voglio vedere mia madre con i capelli in disordine”.

Malnata.

“Nonna, se cammini un po’ più veloce, arriviamo prima a casa e prima alla tua poltrona”.

Così tu ti metti al telefono con le tue sorelle e ti dimentichi di accendermi la televisione. E che mangio, la solita sciaperia? Mi aggrappo, questa cerca di accelerare il passo e allora mi lascio cadere. All’improvviso ho intorno tante persone, tanti altri viaggiatori su questa strada.

“Lasciatele aria” dice qualcuno.

Sento la Straniera che piange, ma solo perché ha paura di quel che dirà la Rospara. Non li apro gli occhi, non li apro!

“Com’è successo?”

“Chiamate un’ambulanza!”

“Signora? Signora?”

Una cosa fresca sulla fronte, che bello.

“È troppo coperta…con questo caldo!”

“Ma ha le scarpe strettissime: toglietegliele!”

Sento il sangue circolare di nuovo nei piedi. Lascio che circoli anche la pipì. È il paradiso. Non li apro gli occhi, non li apro, fatemi riposare un momento.


*SERENA IANNICELLI (Giornalista ed ex caporedattore dell’Ufficio Stampa Rai, è nata a Roma un tot di anni fa e ha dunque un tot di esperienze e consapevolezze. Confessa che ha vissuto. Le piace leggere, ascoltare musica, bere e mangiare bene. È assai curiosa, ama le persone, qualche bambino, ma soprattutto gli animali di ogni ordine e grado, tranne i grillo talpa. Detesta arroganza e stupidità. Non ha rimpianti)

 



clicca qui per mettere un like sulla nostra pagina Facebook
clicca qui per rilanciare i nostri racconti su Twitter
clicca qui per consultarci su Linkedin
clicca qui per guardarci su Instagram