Il Tour? Pallosissimo, l'unica cosa buona è un capolavoro dei Kraftwerk

di PAOLO BELLINO*

Chiarisco subito: a me del Tour de France (e del Giro, e della Vuelta, della Parigi-Roubaix, Freccia Vallone, Delfinato, qualsiasi gara ciclistica) non importa niente. Faccio qualche eccezione per le gare in pista e raramente mi appassiona la tappa a cronometro dei grandi giri ma solo perché il francese la chiama “contre la montre”, contro l'orologio, e vai che m'immagino battaglie su mondi alieni tra uomini e macchine. Non me ne frega proprio nulla, in particolare, proprio del Tour: sia per il periodico noioso gonfiarsi del petto nazionalista francese sia perché le grandi gare del ciclismo - e quella viene indicata come la più importante - sono una vera zozzeria dal mio punto di vista.


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Non parlo del doping, figurarsi, ma delle quantità di immondizia che un grande giro lascia in strada e - soprattutto, soprattutto - dell'immane impiego di mezzi a motore lungo la carovana, cosa che per me risulta una bestemmia vera nei confronti del mezzo perfetto bicicletta. Ho avuto anche l'avventura di partecipare a una specie di finto Giro d'Italia, quello con le bici elettriche, ed era straziante sentire continuamente l'organizzazione chiedere ai partecipanti di non buttare in terra gli involucri delle barrette energetiche. Un comportamento che per noi ciclisti moderni non è neanche pensabile e che per i simulacri di sportivi appare normale tanto da dover essere richiamati a cadenza ravvicinata.

Un grande Giro è una porcheria. Naturalmente per uno dei simpatici refusi del mio destino adesso faccio il giornalista sportivo e quindi, visto che sono io il bikeman della mia redazione, seguo anche Tour e Giro, e continuo a non apprezzarli pur capendoli un po' più in dettaglio e addirittura riuscendo a fornire il servizio richiesto.


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Insomma mi fanno un po' senso le gare in sé. Ma so apprezzare, davvero, l'intensità prolungata dello sforzo, immagino con sgomento cosa stia succedendo nel corpo di quei ragazzi mentre mantengono medie di oltre 40 all'ora anche su altimetrie non piatte. L'eleganza e la leggerezza di alcuni scalatori mi riempie di orgoglio per la specie. La costanza dei passisti è il campo in cui mi riconosco meglio. Le gare però mi fanno proprio tra schifo e noia. I grandi circhi alla Tour hanno anche effetti nefasti e non me lo invento io, ai più attenti non sarà sfuggito che i nuovi sindaci ecologisti francesi, per esempio quello di Rennes (e a seguire quello di Lione), ha negato la partenza da lì proprio perché pletorico e inquinante. Gli appassionati ridono di queste fricchettonate ma probabilmente sono gli stessi che mettono la loro vettura a tavoletta sulle strade e se ammazzano qualcuno o qualche animale pazienza, è un incidente.

Così non la pensavano Florian Schneider e Ralf Hutter, i fondatori dei Kraftwerk. Entrambi appassionati di ciclismo; partecipavano anche alle gare come dilettanti; Hutter è persino entrato in coma per un incidente con la bici, poi ovviamente ripresa. A loro personalmente devo molto e nel caso del Tour in particolare una scappatoia che me lo rende potabile: ovvero aver messo insieme quel capolavoro di Tour de France Soundtracks, un album mai apprezzato dai seguaci ma che al me meccanico artigiano e costruttore fa particolarmente eccitare. Loro sì che erano appassionati al ciclismo sportivo, e chi sono io per confutare le passioni degli Imperatori della musica elettronica, coloro che aprirono la strada al techno pop e a tutta la musica moderna.

Ascolta “Tour de France” 




Ma soprattutto: hanno dato forma e vita a ciò che ogni pedalatore sa bene: la bici produce musica, è musica, come è anche barca, penna, ali e tappeto da preghiera. I due, nel 1983, producono un brano, Tour de France appunto, che doveva essere l'inizio di un concept album. Non ci arrivano fino al 2003, per il centenario della pallosissima Grande Boucle, quando finalmente compongono l'Opera: in cui si sente sia il respiro dell'atleta sia quello della bici, uniti nella cadenza che tutti noi cerchiamo, quella perfetta per la salita, l'altra perfetta per la velocità, quella sincopata della volata e la tremenda ossessività di quella della fuga. Che io sappia è l'unico “disco” che tributa all'unione carnale e metallica di uomo e macchina l'esatto riconoscimento del matrimonio cibernetico.

Tra l'altro è anche utile: rimandando a mente Elektro Kardiogram affronto meglio le salite. Regeneration mi fa prendere meglio le curve in discesa. Areo Dynamik mi accompagna sulle lunghe tratte e non so spiegare bene quanto venga utile soprattutto in viaggio. Se devo trovare una mancanza in quel gioiello è che manca un brano che aiuti nel vento contrario, o per lo meno non lo trovo io. Vorrei sottolineare adeguatamente che questa armonia tra arte, artigianato meccanico e cruda necessità di rendere migliore il proprio impegno fisico è esattamente ciò che trovo nel mezzo bicicletta: sì musica, sì ali, sì barca ma soprattutto e fuori da ogni stucchevole romanticismo soprattutto un mezzo di spostamento.

Però quello supremo, tondo, perfetto.


*PAOLO BELLINO (Istigatore di ciclabilità in Italia, deciso a eliminare le automobili dalle città. Refusi creativi in un'agenzia di stampa dal 1991. Animatore del sito  http://www.movimentofisso.it/, del blog di politica della mobilità in bici https://www.rotafixa.it/ e del blog di viaggio  https://escoafareungiro.wordpress.com/ )