Il fotoracconto - L'anima di Buccino, un punto sulle mappe

di TINA PANE*

Ci sono certi posti dove forse non ci verrebbe mai in mente di andare, perché non hanno appeal o richiamo turistico o solo perchè non li abbiamo mai sentiti nominare. Posti che potrebbero restare per sempre un puntino sulla mappa, un nome che non accende la curiosità, al massimo un’indicazione stradale che scorre veloce sotto gli occhi mentre ci dirigiamo da un’altra parte.

Buccino, provincia molto interna di Salerno

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quasi al confine con la Basilicata, avrebbe potuto essere uno di questi. Però il nome di questo paese sperdutello, arroccato su una collina a poco più di 600 metri d’altezza, mi rincorreva da quando ero bambina perché era il luogo natale del padre della mia più cara compagna delle elementari, dove lei passava una parte delle lunghe estati degli anni ’60. Più volte s’era detto che ci sarei andata per qualche giorno e poi non si era mai combinato.

Il nome di Buccino era tornato a risuonare a causa di un’altra amica, il cui padre aveva lasciato da ragazzo il paesino per venire a studiare a Napoli e diventare grecista, filologo classico, papirologo: il professor Marcello Gigante, uomo di immensa cultura, infaticabile studioso e ricercatore, che però non aveva nulla da invidiare al mio modesto padre commerciante quando si trattava di esercitare con fermezza la sua funzione di genitore severo ed estensore di divieti che io e la mia amica aggiravamo con montagne di accorte e spesso coordinate bugie.

Insomma, ce ne ho messo di tempo ma finalmente l'altro weekend sono andata a Buccino, accolta con mille coccole nella bella casa della prima amica, che con il marito ha eletto qui il suo buen retiro per disintossicarsi dal veleno della metropoli.

Dei fasti e della storia quasi millenaria dell’antica Volcei, i cui abitanti non erano né Sanniti né Irpini, rimane oggi poco, nonostante il centro storico sia Parco Archeologico Urbano e nonostante l’evidente struttura urbanistica romana. Tra le due porte  che segnano l’accesso al centro

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è tutto un saliscendi di viuzze strette

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 di gradini impervi

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 di archi e di terrazzini, di viti che nascono in un buco senza terra e salgono miracolosamente di due piani

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di case basse con bassi portoncini incastonati in bei portali di pietra chiara

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 a volte ultima testimonianza di un nobile passato su facciate oggi tristemente intonacate. I pochi resti visitabili  -  mura 

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pavimenti a mosaico,

8 mosaiciJPG il complesso rupestre - stanno quasi nascosti, coperti di polvere come i cartelli che li descrivono.

Molte case sono disabitate e l’abbondanza di "Vendesi" la dice lunga

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su un paese faticoso, che molti residenti hanno lasciato per trasferirsi nella zona nuova poco più a valle, alla ricerca di una legittima comodità. In cima a tutto svetta il Castello Normanno-Angioino, il monumento simbolo di Buccino-Volcei, tipico esempio di sistema difensivo

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che resiste nel vento che spazza i monti Alburni,

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la vallata del fiume Tanagro e i piccoli paesi vicini: Palomonte, San Gregorio, Romagnano.

Che pace, che silenzio, che dimensione irreale. Ma sarebbe possibile viverci?

La gente di qui ha il passo lento - qualcuno dice indolente - di questi nostri paesi dell’entroterra, dove ci si occupa nel terziario dei negozi e degli enti locali, si coltivano piccoli appezzamenti di terra a olivo e alberi da frutta, si alleva il bestiame. In passato, mi racconta la mia amica, nel centro storico c’era un cinema e molti negozi, i bar dove suo padre amava giocare a carte d’estate, la biblioteca e tutti i servizi utili alla comunità residente. Più recentemente, d’estate, intorno alla festa patronale per la Madonna

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a inizio luglio c’era un fervore di iniziative collaterali che animavano sia il centro storico che la zona di San Vito, ma poi col Covid si è fermato tutto.

I pochi turisti che vengono per visitare il “Museo Archeologico Nazionale di Volcei”, dedicato a Marcello Gigante, restano il tempo di una giornata

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e quello che era l’unico albergo del posto da qualche anno è diventato una casa di riposo per anziani. Eppure a sapersi mettere in ascolto Buccino una voce ce l’ha. Ha la voce della storia, che ha parlato con accenti diversi nell’Italia Meridionale, e che fino ad agosto dell’anno scorso veniva messa in scena con le Historiae Volceniane (una tre giorni di cortei e rievocazioni storiche in costume supportate da esperienze eno-gastronomiche)

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e ha la voce del quotidiano che resiste, come Tiziana e Sandro, che con due gemelle di pochi mesi hanno deciso di tornare a vivere nella ripidità un po’ desolata e silenziosa del centro storico.

Dentro questa dimensione così ovattata, che poco ci mette ad avvolgere e far rallentare i portatori sani di stress metropolitano come me, l’unica nota stonata mi è parsa quella di un candidato alle Regionali che ha arringato la piazza con toni veementi per quasi un’ora durante il suo comizio del sabato sera. La sua voce ci arrivava forte e chiara anche da lontano, mentre al fresco sulla terrazza ingannavamo il tempo tra una chiacchiera, un burraco e un bicchiere di vino.

Dare voce ai piccoli territori, renderli consapevoli della loro identità, fermare l’esodo dai centri storici, valorizzare il patrimonio locale, spingere i giovani a farsi protagonisti, anche come amministratori. È questo che diceva il candidato. Ma è possibile? Mi piacerebbe chiederlo al professor Gigante, che con queste parole ringraziò per il conferimento della cittadinanza onoraria di Buccino, nel 1988: “Il paese natio è l’aria di cui abbiamo bisogno fino alla morte, ma è soprattutto il confine, il limite, la frontiera che dobbiamo superare (…)”. 

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Lui riposa qui.


 * TINA PANE (Napoli, 1962. Una laurea, un tesserino da pubblicista e un esodo incentivato da un lavoro per caso durato 30 anni. Ora libera: di camminare, fotografare, programmare viaggi anche brevissimi e vicini, scrivere di cose belle e di memorie)

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