Guida turistica al Purgatorio / seconda parte 9) Questo dev'essere il posto

di PAOLO BIROLINI*

Prendete a sinistra, entrate per l’androne che era il vicolo del vento, la curva pericolosa, il tanfo dell’ingresso. Ora hanno chiuso l’accesso alla cantina. C’è un muro, una madonna, un eccesso di piante e devozioni che cela quel passaggio.

Il piazzale è importante. D’estate è il parcheggio segreto delle celebrità, della città che galleggia di là dal ponte, di quelli che hanno un’automobile e di cui abbiamo un 45 giri. È la sede invernale del teatro dei pupi, del San Carlino. È l’annuncio del glicine, le gambe, la bottiglia, la mano della madonna. L’accampamento dei profughi il 23 novembre, i loro fuochi.

È lì che il ragazzo capisce che la vita si volge a sé stessa e continua a specchiarsi all’infinito. Capisce che esistono le donne, la canzone e il vino. Roba da farci storie su storie ad averci la lingua semplice degli uomini, quella che passa tre pagine su un sussurro, un capitolo su una visita di cortesia. Ma lui è nato male, pensa che la canzone e il vino e le donne siano figli del Divino e lui pure. Così pensa che tutta la vita sia canzone e vino e donne, ma si perde nella vertigine. Esalta la canzone e la complica, annacqua il vino con percoche e gassosa e ghiaccio, diluisce le donne in uno spasimo banale. Le trucca, le finge, le ricorda più che amarle.

È sempre domenica nel ricordo: torno dal cinema, torno dalla Saffa, sono il minore e il padre riconosce che è caldo, che è estate, che è domenica, che non abbiamo un frigorifero ma solo una radio e una brocca e abbiamo bisogno di Terzigno e ghiaccio e percoche e gassosa. Poi di Napoli nella radiolina, di schedine. E il vino tocca a me e il ghiaccio pure. Così mi vivo il privilegio del minore e volo, salto tre scale, poi tutta la foresta. Onoro il glicine, lo apro, lo mangio. Canto con la posteggia, rubo un sorso invisibile, tampono col ghiaccio la febbre dei 13 anni.

Questo dunque è un cortile e poi c’è l’altro, quello delle mie corse, delle guerre di sassi, e giocatori, di linee e cerchi e richiami e madri nude, esposte, crocifisse in un grido, in un richiamo, in un riflesso morto. Se dovessi pensare a quella foto, a quell’istante immutato, potrei dire di ombre, bambini neri, bocche aperte e porte e miserie che ridono di un sorriso demente. Gente oscura, pensieri senza margine, cibo scadente, sopravvivenze.

Fate una sosta breve. Neanche una foto merita questo inferno minore, questo luogo concluso. Usciamo, non c’è pace qui, neanche di notte, neanche nelle notti funestate di lamenti e grida ubriache e anime indifese. È il margine del Purgatorio, una via senza uscita. Che nulla avete fatto in quella storia, nulla potete adesso.

* PAOLO BIROLINI (Napoli, 1959; in lui convivono un fratello furbo e un fratello scemo. Quello scemo fa il Dirigente d'azienda e mantiene quello furbo, che prova a fare il poeta) 

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