Guida turistica al Purgatorio / seconda parte 8) Il barbiere, il licantropo, la sposa

di PAOLO BIROLINI*

Superato l’ingresso commerciale della Cantina, e in attesa di portarvi a vedere quello
privato dei glicini, percorsi 20 metri avrete a destra un budello che porta all’unico campo
di calcio libero del posto. In verità i campi erano due, quello per i grandi in piano, quello
per i piccoli in discesa. E aveva anche due nomi, se arrivavate dalla parte bassa era il
campo delle Vecchiarelle, se dalla parte alta, il campo della Linvea. Fu lì che
incontrammo il vecchio mago cieco che tutte le sere ci chiedeva di indicargli la luna e
tutte le sere ci offriva una gassosa.

Nella mia deviazione ho sempre pensato quel pezzo in salita come una parte del
Quartiere, tutto il resto un’escrescenza del mondo. Chi lo sa se ci giocano ancora e se il
vecchio ancora offre gassose in cambio di visioni. Voi guardate a sinistra.

La premessa è il barbiere Alfredo, il segno della mia evoluzione, (ma che mio padre ha
sempre rifiutato), e di fianco una donna dalla vita antica. Non so perché mi sembrano
l’ovvia preparazione al passaggio. Una questione di ambiguità. Tra un po’ vi mostro casa,
ma prima girate a sinistra. Una volta si chiamava Traversa Cupa Casoria poi, chissà
perché, hanno intitolato quel budello a Giacomo Leopardi, (non in mio onore, credo).
Una volta era chiusa a metà da un muro per questioni proprietarie, per affermazioni
proprietarie. Ma prima di arrivare al vicolo del vento e al mio cortile, ve ne voglio
mostrare un altro di cortile. Che sembra una corte emiliana senza maiali ma con un lupo.
Lo sentivi ululare di notte, d’estate, tra le civette e l’odore del pane. Tra i cani perduti e le
fiamme di San Giovanni e le luci della funicolare.

Sotto la scala e dietro le forcine, abitava G. Un calzolaio indefinito alto un metro e
quaranta per le gambe ricurve. Viveva in un locale largo un metro e quaranta, per letto
un asse e sotto l’asse la bottega. Scarpe e cuoio e cromatina. Ululava la notte, di giorno
risuolava e in quei tre metri quadri era tutto il destino di chi sognava il sangue delle
vittime. Nero il lupo, nero l’antro, la cromatina nera. Assente l’acqua e assente la
salvezza.

Poi, per un attimo, la sposa. La figlia del malato immaginato, persa in quella tribù di fine
secolo, la custode, quella che redime e salva persino l’uomo lupo, la donna di compagnia,
preludio e precipizio. Era a tre scale nel primo palazzetto. Le fui affidato in un’estate
febbrile, ma andò male. Mi lasciò troppo libero, girai troppo presto quell’angolo e un
dardo mi colpì tra l’anima e gli occhi, l’affido fu revocato.

Ma non conta, girate voi in quell’androne, nel vicolo del vento. Nessun pericolo adesso.
A destra il mio cortile, ma di quello farò una biografia. Di fronte il glicine, l’entrata dei
cantanti, il parcheggio del festival. Mario Trevi, Giacomo Rondinella, Mario Abate e
Alfonso che cantava mentre serviva ai tavoli, io che compravo il ghiaccio e il Terzigno
nel fiasco.

Praticamente domenica.


* PAOLO BIROLINI (Napoli, 1959; in lui convivono un fratello furbo e un fratello scemo. Quello scemo fa il Dirigente d'azienda e mantiene quello furbo, che prova a fare il poeta) 

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