Guida turistica al Purgatorio / seconda parte 7) E' inutile che fuggi

di PAOLO BIROLINI*

Io facevo un viaggio lungo. Da casa alla fermata del 124 era indifferente prendere a destra o a sinistra. Avevo 13 anni, volevo navigare. Andavo alla fermata prestissimo, ci tenevo a quella ostentazione, stavo con gli operai ed il loro biglietto azzurro con lo sconto. Sembravo comunista ma volevo dimenticarli, quelle oscure profezie, quelle comunioni blasfeme. Stavo con gli operai, quell’odore gommoso di fumo e tute e preoccupazione e figli. Il 1° ottobre del 1972.

Subito dopo la chiesa e di fronte all’edicola, c’è un tabaccaio e una fermata. Io prendevo il 124, il 1° ottobre del 1972. Facevo 5 fermate, poi saltavo nel mondo. Il tram numero 1 delle 7. La miopia vibrava, tutto lo sguardo andava dal carcere alla fabbrica, le cotoniere e il sangue arcaico della madre. Poi la stazione e il porto. A piazza Vittoria già dormivo. Mi svegliava a La Pietra un bigliettaio pietoso, una fermata di troppo, la pericolosa prossimità agli Eubei e alle loro parole incomprensibili. Tornavo un poco indietro, poi centravo l’obiettivo, la scuola, il lavoro, il Nautico, l’Italsider. Quel mondo che volevo per fuggire: una barca senza chiglia, un paese senza occhiali.

Nel viaggio a ritroso, più avanti c’è un salumiere minore, che si è giocato il suo pezzo di padre a puttane, un figlio redento e povero, un fornaio affollato di ciane, che non sapevano di esserlo. Trentenni dal seno pesante, cinquantenni piene di doppi sensi, tredicenni senza un senso compiuto.

Se ci passate adesso trovate televendite e tremori. Ma c’è ancora quel bar Spada che fa da contraltare al gemello distante, il bar De Rosa. E mentre questo è Weimar, è finis austriae, comprensione e decadenza della classe operaia, il bar Spada ha le stesse frequentazioni ma sguardi diversi. Una roba claustrofobica per le certezze degli avventori: ex calciatori di Eccellenza, venditori ufficiali di sigarette, barbieri, vigili urbani, parcheggiatori. Se ne avvertite il bisogno, prendete un caffè, poi si cambia registro, entriamo in questa preistoria di basoli e tufo: via Cupa Casoria, (un’altra Cupa), oppure il vicolo delle Vecchiarelle, è uguale.

L’ingresso dovrebbe avere un arco in metallo e lettere in ferro: è inutile che fuggi. Tufo e lapillo e basoli, da questa lava vieni. Un epitaffio. Il fuoco e la pietra raffreddata. Ma sulla sinistra non trovate niente. Era il luogo del mito, ora nemmeno le rovine del tempio, anche scavando e piangendo, potrete condividere. A destra ci sono occhi e i fantasmi di una drogheria, il basso dell’amico trasformista, le sigarette, i cattivi. Tutta una storia inutile, tutta una storia ignobile di sapone di piazza e zoccole annerite sui bracieri, di passione in passione, di braciere in braciere.

Tutto così questo posto: fabbriche e sigarette, omini dei palloni e puttane e befane della fabbrica, maschi slabbrati e maschi americani. Danze orgiastiche e debuttanti. Furbi. Gli occhi furbi e cantanti. Ma non ci distraiamo. Dopo il tufo la cantina bifronte. Di qua un ingresso anonimo, per gli acquisti minori. Entrate e il vino vi circonda, la meraviglia delle botti, i tre Giovanni: il Corto, il Lungo, il Senza Paura, che beveva e pisciava immobile di fianco al Mondragone appena aperto. E i prezzi al litro segnati con il gesso e il ghiaccio la domenica. Ma questa è l’entrata per avventori occasionali, gente d’oltre confine. C’era anche un’altra entrata. Portava al giardino esterno, alla pergola infinita dei glicini, ai cantanti a pranzo la domenica. Ci arriveremo.

Per ora solo entrate e niente uscite, nessuna via di fuga: è inutile che fuggi. Lo sento Giovanni senza paura, che me lo ripete. Qua ti aspetto, alla botte del Mondragone, alla cava del ghiaccio, a pisciarti addosso per tutte le storie che ti sei inventato, per le facce che hai pittato, l’indifferenza alle lacrime.


* PAOLO BIROLINI (Napoli, 1959; in lui convivono un fratello furbo e un fratello scemo. Quello scemo fa il Dirigente d'azienda e mantiene quello furbo, che prova a fare il poeta) 

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