Guida turistica al Purgatorio / seconda parte 6) Entracte / Tre metamorfosi brevi

di PAOLO BIROLINI* 

Era un quartiere senza eroi, una volta e pure adesso. E pure io continuavo a costruirmi le mie Metamorfosi, la mia mitologia privata. Voi lo vedete com’è adesso, nella sua indifferenza. Ci passate e non si accorgono di voi. È difficile che qua si accorgano di qualcuno. Anche essere maschi/femmine non fa specie.

Solo nel mio cortile ce n’erano due o tre di queste storie. Tipo Angelo o Renato. Che tutti erano convinti fosse una malattia e lo riempivano di ormoni e lo sposarono con la più brutta del rione, (poi vi spiegherò la differenza tra strada, quartiere, rione), ci fece anche un figlio e poi morì coi reni spaccati.

Ma io uscivo coi tre illuminati. Giravo con loro le botteghe del quartiere portando fortuna e chiedendo oboli.

Non li nomino, che magari sono ancora vivi, (di uno sono certo, che è vivo, di uno sono certo che è morto, il terzo l’ho lasciato in un carcere di Stoccarda e non so se e come ne è uscito). E dunque A. era il più controverso, il più incomprensibile. Figlio di un venditore cieco di sigarette di contrabbando e di una madre distratta, viveva in un basso del Vico delle Vicchiarelle, (ci arriviamo, con calma arriviamo anche lì). Il primo possessore di stereo in tutto il quartiere, il primo importatore di vinili di ProgRock. Ci scoprii i Genesis, i Van der Graaf, gli Yes, i Gentle Giant. E poi il Banco, Claudio Rocchi, il Perigeo. Ci scoprii l’angustia di un luogo di prostitute, con lenzuola al posto delle mura e cartoni di sigarette per sedersi. Musica, sigarette, sorelle inavvicinabili di cui innamorarsi. Poi lo persi di vista, poi lo ritrovai con le frange ai pantaloni e le sopracciglia ridotte. Poi lo persi di vista e lo ritrovai e non mi ricordo più il nome ma le zizze e il degrado della musica. Lo persi di vista ancora, che abitava da solo nel basso deserto e stendeva i pochi panni e mi raccontarono che, come sempre alla moda, si ammalò e morì, di AIDS.

S. era il migliore e il più cattivo. Cucinava. Aveva imparato a fare il cuoco in Germania a seguito di un vecchio amante impazzito innamorato delle mie sopracciglia. Veniva da via Botteghelle estrema. Figlio di ortolani e di una famiglia malata. Attore, cuoco, morfinomane. Quella roba stupida che ti porta a rientrare e a fare la fila alla farmacia di Piazza Garibaldi, insieme agli eroinomani, negli anni ’80, ma diverso. Senza un lavoro apparente, con l’amante distante e impazzito d’amore, sulle spalle dei vecchi ortolani delle paludi. Lo persi di vista. Tornò in Germania, a Stoccarda, a fare il cuoco in carcere, per eccesso di zelo e di passione. Non so se è ancora dentro o e fuori in libertà obbligatoria o è morto. Non lo so.

Con D. (il terzo ed ultimo), mi è piaciuto giocare. Mi ha presentato ogni amante, ogni sussurro, ogni sconfitta. Ho letto uno ad uno i suoi titoli, ho cantato ogni opera, ogni aria che mi vedesse protagonista e sofferente. Ma era cinico. Aveva migliaia di dischi. Aveva amici poeti di prammatica. Cantavano quando odiavo cantare, scrivevano quando avevo già smesso di scrivere. Conoscevano a memoria autori, citazioni, dediche. Il peggio.

Aveva un cane cattivo. Io odio i cani cattivi, però il quartiere ne è pieno, ne incontrerete. A volte hanno letto i vangeli, a volte i libri della fiera di Natale. A volte hanno studiato quel tanto e ve lo dicono, ve lo mostrano irridenti. A dire: siamo uguali, figli di quella estrema unzione, di quel battesimo. Siamo uguali. È inutile che fuggi.


* PAOLO BIROLINI (Napoli, 1959; in lui convivono un fratello furbo e un fratello scemo. Quello scemo fa il Dirigente d'azienda e mantiene quello furbo, che prova a fare il poeta) 

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