Guida turistica al Purgatorio / seconda parte 4) Il volto degli amanti

 di PAOLO BIROLINI*

Quando iniziammo a passeggiare per quella strada, mi tenevano per mano. Mia madre gli disse: ora dobbiamo occuparci di lui. Il volto degli amanti, nella memoria, prende una sfumatura di tramonto.

Ho sempre pensato a quell’attraversamento dal mio punto di vista. Ho sempre pensato al superamento della pietra di confine come a un gioco, partito come il giovane esploratore Tobia, figlio di un padre e di una madre distratta. Un altro passo verso la costruzione della mia astronave personale. La casa aveva due balconi. Uno era mio. Le mie piste, gli astroporti, la fuga. Ancora non ci ero arrivato e già progettavo la fuga.

Ho sempre pensato a me. Ininterrottamente. Ma loro? Cosa avevano in testa, quando l’avevano deciso, di partirsi dalla ringhiera? Quando avevano realizzato che era il momento preciso dell’evoluzione? Di lasciarsi alle spalle il muro di cinta della nascita, staccare di spalle sui talloni e saltare?

Eppure, tutto era ancora tradizione. Mani rugose e consuetudini. Lavoro, fabbrica, macchinari, frese infinite. Lo sapevano che di là c’era il vacuo benessere degli anni e di qua tutto parlava di protezione e amori adolescenti. Di qua era la Cupa San Severino e la piccola borghesia del fondo, la prima bonifica. Di qua era Boccalatte, l’ignoto, lo chalet. Quell’appartamento e quell’amico minore che poi, dopo anni, visitai nella sua pochezza.

Com’era il volto degli amanti mentre decidevano di me, posso solo immaginarlo. Ero piccolo per i miei sei anni, non crescevo nonostante la carne, ma ignorai volentieri quell’espressione beata disegnata sugli anni ’60. Sapevo che era una trappola da cui non sarei più uscito. Così mi furono indifferenti i platani, i fantasmi, le liquirizie. Mi affidai, confidai in quei due quarantenni, attraversai con loro la pietra del destino.

Voi ora la vedete. E vedete il mercato, l’abbandono di fronte e la cupa che sale, arida per l’estate. Mi immagino di maggio quel discrimine, quella scelta serale: potevamo lavarci, potevamo sorridere, potevamo inventarci un astroporto, un cortile, un’abitudine. Che un’abitudine è un lusso.

Facciamo un passo avanti. Come in un videogioco, superiamo quell’era di artigiani. L’ultimo pezzo è insignificante, un meccanico e un gioco, un cortile adattato e il pensiero della prateria. Riparte tutto da una Chiesa, come sempre, come al solito. La Chiesa è angolare. Come sempre, come al solito. La chiesa è attaccata a un orto, l’orto a un campo libero, a una vasca, a un catechista, d’estate. Era il nuovo quartiere, la donazione, il lascito, Agrippino, il feudo. Era la nuova casa.


* PAOLO BIROLINI (Napoli, 1959; in lui convivono un fratello furbo e un fratello scemo. Quello scemo fa il Dirigente d'azienda e mantiene quello furbo, che prova a fare il poeta) 

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