Guida turistica al Purgatorio / 4 Una casa di certo

di PAOLO BIROLINI *

State appena entrando nel quartiere e già fate pensieri per le anime del Purgatorio. Vi sentite esploratori di pensieri minori. Fate la lista delle cose innominabili che racconterete su Instagram. Ma siete solo all’inizio e io devo fare uno sforzo per tenere in ordine questo racconto longitudinale. L’inizio degli iniziati, le prime epifanie, Orfeo.

Ogni quartiere aveva un cinema, aveva un bar. Ogni quartiere aveva sassi e angoli impronunciabili. Piccole pornografie. Canzoni. E aveva case e case. Quando vi girate di spalle per segnare il cinema, ecco che di fronte vi ritrovate un enorme quartiere nel quartiere ed una piccola edicola di giornali e leggende. Un rione pesante nell’immaginario di chi stava sulla riva sinistra. Le Palazzine.

Le Palazzine erano di certo una casa ma si poteva solo immaginarla, la casa. Ora le vedete con la premessa di un piccolo mercato immutato e con un’edicola. E potete anche entrarci. Anzi, se entrate e mi dite come sono fatte sciogliete un mistero. Che noi non ci siamo mai entrati, abbiamo solo immaginato quella fila di fabbricati, l’abbiamo solo sognata quella casa nel grattacielo, col bagno, col pianerottolo. Quelle aiuole che si intravedono, quei ritagli di cortile, quegli androni.

Voi potete solo vederne i balconi scrostati che affacciano sulla Stadera. Ma se osservate bene, se vi spostate sul lato sinistro e guardate da quella parte vi accorgerete che i tre palazzi più alti, quelli che svettano tra l’alveare di palazzine a tre piani, non appartengono alla stessa storia. Hanno un’altra storia. Segnano la fine della storia. Di quella stessa storia che proiettava Novecento al cinema Lora senza pensare ai due soli spettatori.

Ci riuscite a fare un selfie coi nuovi grattacieli alle spalle? Bene, fatelo. Lì si interrompe la pellicola, come accadeva regolarmente al cinema tutte le domeniche mattina, tra gli ululati dei demoni presenti. Lì, a un certo punto, pensammo che se tutta la città al di qua dai tre ponti stava crollando, tutta la città al di là de tre ponti era già crollata. Vico Tarsia e il cortile del Salvatore, il Bellini e la Floridiana, il Trianon e Pizzicato. Tutto finito, pensammo. E invece era finito solo il quartiere, era morta solo la Stadera, eravamo morti solo noi.

Quelli che stavano nelle case di ringhiera della riva sinistra osservarono la fine di quelle case con il bagno, col corridoio, quelle case enormi dietro alla piccola edicola dei giornali. Il luogo dei sortilegi, il posto dei riti che, in qualche modo, ci salvò dal cinismo, ci insegnò il distacco e l’amuleto. Ma poi ne parleremo.

Noi restammo timorosi, in quei cessi da ballatoio, in quelle case di tufo e bestemmie. Ve le racconto. Ve le dirò meglio. Perché non ce n’è più una. Le palazzine sono ancora lì. Grattacieli a parte, il lato destro è rimasto immutato col suo mercato minore, i muri che separano, l’edicola, il fotografo di cerimonie sparito nel bosco dei tossici a Rogoredo. E’ lì che potrete leggere quello che vi sto raccontando. E’ lì che mi fermerò per dirvi del venditore di uccelli, del primo diffusore di surgelati, dell’ultimo mago. Ma potrete vederli se non vi fate distrarre dalla polvere. Tra un po’ ve li racconto, che è un racconto di vivi.

Ma il lato sinistro non c’è più. Dovrete fidarvi. Dovrete credere che c’era una fabbrica che faceva cerini, una fabbrica che faceva corde di chitarra, un teatro, una fabbrica che faceva vetri. Un venditore di palloni ed un venditore di fichi d’India. Un campo di calcio ed un custode. Un figlio di custode e una donna contesa. Sezioni di partito e sezioni di partito bruciate.

Il lato sinistro mi toccherà raccontarvelo per ogni fontana sparita, per ogni pietra di confine. A destra non c’era un confine, a sinistra si. Ma non è una metafora.


1) Il prologo
2) Strada o fiume?
3) Praticamente il West


* PAOLO BIROLINI (Napoli, 1959; in lui convivono un fratello furbo e un fratello scemo. Quello scemo fa il Dirigente d'azienda e mantiene quello furbo, che prova a fare il poeta)


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