Gli Uffizi vanno al mare, all'Elba i dipinti napoleonici

di BRUNO MISERENDINO* 

Napoleone in tutte le pose. A cavallo, a piedi, pensoso, in battaglia, in trionfo, in campagna, in barca, in punto di morte. Quadri, dipinti, ritratti, disegni, sculture. Se pensate di averne visti tanti, o che ne vedrete un bel po’ su internet o in televisione ora che il bicentenario della morte del condottiero si avvicina, vi sbagliate. Quel che si conosce e anche quel che vedrete è la punta di un iceberg. Di esercitazioni pittoriche sul tema ce ne sono migliaia sparse in Europa, buona parte ovviamente in Italia, sconosciute ai più. Tanto per dire: agli Uffizi di Firenze, uno dei complessi museali più famosi al mondo, di quadri dell’epoca napoleonica ne hanno diversi, ma sono visibili saltuariamente e per lo più restano in deposito. Eppure, sembra, c’è anche qualche opera di pregio che dovrebbe interessare non solo i cultori di reliquie napoleoniche. Così la decisione: un bel po’ di opere stipate nei depositi degli Uffizi fiorentini se ne andranno in giro per la Toscana e quelli su Napoleone o del periodo napoleonico faranno una bella gita al mare, all’Isola d’Elba, il luogo del dorato esilio del condottiero.

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 E’ il versante elbano del progetto “Uffizi diffusi”, ossia l’idea di decentrare in alcune sedi prestigiose di varie città toscane parte dell’immenso patrimonio del museo fiorentino. E’ anche, dicono governatore della Regione e direttore degli Uffizi, “il modo migliore per valorizzare culturalmente tutto il territorio toscano”, e per quanto riguarda Napoleone la scelta dell’Elba è naturale: non solo perché lì il più grande e discusso conquistatore dell’epoca moderna ha vissuto dieci mesi in esilio prima della fuga e la definitiva sconfitta di Waterloo, ma perché sull’isola l’uomo ha lasciato un’eredità tangibile: due belle residenze diventate musei nazionali, un teatro e soprattutto un’impronta indelebile che l’isola, entrata nei libri di storia grazie a quell’esilio, non sfrutta quanto dovrebbe o potrebbe. 

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Quest’anno però è il bicentenario della morte di Napoleone (5 maggio, “ei fu, siccome immobile…”) e l’isola, Covid permettendo, sta preparando diverse iniziative, in collegamento con la Corsica e le tante città italiane toccate dalle imprese del Grande Insonne. Portare all’Elba una vasta raccolta di opere riguardanti Napoleone, oltre a quelle che già si possono ammirare nelle due residenze, aggiungerebbe prestigio e spessore alle celebrazioni. Anche il luogo prescelto per portare sull’isola i dipinti napoleonici degli Uffizi sembra perfetto, ossia il Forte Falcone a Portoferraio, fatto costruire a metà del Cinquecento da Cosimo I dei Medici come presidio del Granducato di Toscana su tutto l’Arcipelago. L’imponente costruzione, riportata da qualche anno alla sua originaria bellezza, si trova accanto al Forte Stella e a una delle residenze napoleoniche, sulla sommità della collina di Portoferraio, il capoluogo dell’isola. Da lì si gode una magnifica vista su tutto il mare a nord dell’isola e sulla darsena, definita per la sua conformazione a chiocciola il “porto naturale perfetto” dall’ammiraglio Nelson, uno che di navi e approdi se ne intendeva.

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 Il gioiello mediceo è stato visitato qualche settimana fa dal presidente della Regione Giani e dal direttore degli Uffizi Eike Schmidt, che complice una splendida giornata di sole è sembrato entusiasta della destinazione: “L’idea è di organizzare una esposizione temporanea con nostre opere a tema napoleonico in vista del 5 maggio e questi spazi sono idonei ad accoglierla, ma non vogliamo fermarci qui… cercheremo di portare sul territorio in modo stabile la grande quantità di opere che abbiamo in deposito, perché è giusto riportarle dove possono raccontare i singoli capitoli della grande storia culturale della Toscana”. Non è un’impresa facile, servono tempo, soldi, organizzazione, partecipazione delle comunità interessate, ma il governatore Giani ha assicurato che la Toscana farà una legge ad hoc.

In attesa che la Regione approvi una normativa per il progetto e che i dipinti napoleonici prendano il traghetto, nell’isola sono tornate a galla vecchie idee. Ad esempio quella di ridare a Portoferraio il suo originario nome mediceo di Cosmopoli, (in onore appunto del fondatore Cosimo I), oppure quella di far diventare patrimonio universale dell’Unesco tutto il territorio orientale dell’Isola, quello delle miniere di ferro, teatro (anch’esso “diffuso” come gli Uffizi), di una storia millenaria di fatica, sudore, lavoro, trasformazione del territorio, architettura industriale che ha pochi eguali in Italia. L’elezione della piccola Procida a capitale italiana della cultura ha fatto da volano a un dibattito che percorre da tempo un’isola come l’Elba, assediata da decenni dal turismo di massa, con tutto ciò che comporta, nel bene e nel male. Bene per la ricchezza dell’isola e dei suoi abitanti, male perché il territorio non potrà reggerà a lungo questo assedio, senza una riqualificazione dell’offerta turistica e ambientale. 

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(Il teatro dei vigilanti)

Proprio dopo la nomina di Procida, in tanti sull’isola si sono chiesti cosa mancherebbe al loro territorio per ottenere un riconoscimento del genere. E facendosi la domanda si sono dati anche la risposta. All’Elba, si potrebbe dire, manca ancora la cultura della cultura: ossia la capacità (e la volontà) di valorizzare in modo sistematico dal punto di vista culturale l’offerta turistica. Perché non basta avere la storia, bisogna saperla raccontare e usare. Insomma, ormai iniziano a prenderne atto persino quelli che erano contrari molti anni fa all’istituzione del Parco dell’Arcipelago, servono molta più attenzione all’ambiente e al suo decoro, marino e terrestre, più cultura, turismo meno concentrato ma spalmato su più mesi, perché l’isola è bella (soprattutto) all’interno e nelle mezze stagioni e d’inverno, non solo d’estate. E a un turismo più attento all’ambiente e alla cultura avrebbe molto da offrire, anche se la maggioranza degli avventori non lo sa o non se ne accorge. Solo da qualche anno si stanno ampliando le ricerche e gli scavi sui resti romani dell’Elba, a cominciare dalla Villa delle Grotte, una grande costruzione del I° secolo d.C. che sta su una collina di fronte a Portoferraio, che ha già a sua volta importanti resti romani (alla Linguella, l’ingresso della rada).

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(Portoferraio)

Da pochi anni si sono avviati i restauri dei gioielli medicei dell’isola, (tra cui appunto Forte Falcone), nonché delle residenze napoleoniche e del Teatro dei Vigilanti, mentre attendono cure tanti resti dell’epoca medievale sparsi sull’isola, edifici, mura, chiese romaniche, romitori. L’Elba è del resto un pezzo di Toscana circondato dal mare ed è inevitabilmente ricca di storia, non solo napoleonica, per via della sua posizione strategica nel Tirreno, al centro di un arcipelago che ha peraltro altri tesori turistici e ambientali. Ma è anche un’isola in cui ogni tanto si scopre qualche piccola discarica abusiva in pieno territorio del Parco e in cui può accadere che una vecchissima mulattiera immersa nei boschi di castagni e lastricata di pietre antiche di secoli venga devastata dagli scavi per portare la fibra da un paese a un altro. Ora della vicenda si occupa la magistratura, ma si sa che quando arrivano i giudici il danno è già fatto. E difficilmente tutto si rimette a posto e torna come prima. Ma come dicono gli amministratori più avveduti, il fatto che dei gioielli culturali dell’isola si parli sempre di più e li si voglia valorizzare, e ci sia un fiorire di iniziative per disegnare un diverso destino dell’isola, è già un segnale importante.

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 Il futuro è lì, anche se detto fra noi sembra improbabile che il territorio delle miniere riesca ad essere inserito tra i siti dell’Unesco. Il tentativo dei tre sindaci interessati alla zona (l’Elba ha ben otto comuni in 225 chilometri quadrati di superficie) è oggetto di qualche critica, perché sembra velleitario. Non perché le miniere e la loro millenaria storia non meritino la candidatura, ma perché l’iter per essere inseriti tra i siti Unesco è costoso e complicato. Inoltre l’Italia è il paese più rappresentato del mondo e difficilmente la richiesta avrà un seguito. Diversi anni fa si tentò di inserire l’intero Arcipelago toscano tra i siti patrimonio dell’umanità, ma la domanda non corrispondeva ai criteri previsti dall’Unesco perchè il territorio era troppo disomogeneo e esteso, poi si ritentò restringendo la domanda ai gioielli medicei e alle miniere. Adesso si ritenta di nuovo, ma solo l’istruttoria per presentare la candidatura ha un costo pesante, un milione di euro, e il rigetto è molto probabile. Al momento sembrerebbe più facile ridare a Portoferraio il vecchio nome di Cosmopoli. Ma siccome gli aggettivi facile e rapido nella lingua elbana non esistono, per ora conviene andare a visitare i gioielli dell’isola, resti romani, chiese romaniche e romitori, fortezze medicee e residenze napoleoniche, senza aspettare l’Unesco. Sono belli lo stesso. E se vi incuriosisce Napoleone e la sua epoca visitate Forte Falcone coi dipinti che usciranno dagli “Uffizi”. Non capita tutti i giorni che i quadri di un serioso museo vadano in gita al mare.


BRUNO MISERENDINO (Nato a Roma nel 1951, inutile laurea in Storia, insegnante e poi giornalista all’Unità per 33 anni, inviato di politica per troppo tempo e per questo pre-pensionato felice. Amo la musica, anche se il violoncello non se ne accorge, alle città preferisco montagne, deserti e mare. Prima o poi andrò a vivere all’Elba. Ma devo sbrigarmi)

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