Giornalista stai zitta, l'odio nella rete

di GIGI SPINA*

Un viaggio nell’odio della rete fa male. Fa molto male, innanzitutto, ai bersagli degli insulti, alle donne colpite in quanto donne; ma fa male anche a chi non ne sarebbe capace, a chi provava già fastidio quando i suoi amici fischiavano dietro le ragazze per strada, anche se sa che spesso gli viene attribuita la colpa dell’invenzione del patriarcato e non può far nulla per convincere l’accusatrice che lui, individualmente, non ne è per nulla responsabile. In questo viaggio nell'odio ci trasporta "#STAIZITTA giornalista! - Dall’hate speech allo zoombombing quando le parole imbavagliano" di Silvia Garambois e Paola Rizzi (Edizioni All Around, è acquistabile in formato ebook sulle maggiori piattaforme).

Presentatomi come recensore del libro (meglio sapere con chi si ha a che fare, per chiarezza), dico subito che davvero ho (ri)provato vergogna per il livello a cui possono giungere la stupidità e l’arroganza maschili. Ho anche pensato che non c’è traguardo positivo raggiunto che non possa essere messo in discussione da una minoranza (speriamo) arrogante e rumorosa, e pericolosa. Si sono fatti dei passi indietro, e non per colpa della rete, credo, se non per la evidente capacità e rapidità di diffondere anche le bassezze. No; penso, invece, per i calcoli soggettivi di singoli e gruppi, orizzontalmente estesi in particolare nell’attivismo ‘politico’, che hanno scambiato il progresso, la competenza, la libera affermazione di sé per offese a una presunta superiorità intaccata e messa in discussione.

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L’attività di analisi, di informazione e di denunzia di GiULiA, l’associazione di Giornaliste Unite Libere Autonome trova in questo volume una ricca documentazione e dà voce a molte delle giornaliste attaccate fino ai limiti insopportabili e inammissibili della minaccia personale.

Il fenomeno ha sicuramente una matrice politica ben definita e individuata in alcuni saggi, matrice alla quale, però, parti politiche diverse e di diverso orientamento culturale non sono state capaci di porre un freno prima che divenisse pratica anche di loro settori. Al punto che la demarcazione non passa più in maniera netta e precisa fra schieramenti diversi.

Le forme di aggressione analizzate e studiate, dall’insulto alla diffusione di materiale offensivo, allo zoombombing - l’incursione di estranei in riunioni on line, trasposizione telematica delle interruzioni di lezioni ai tempi della contestazione studentesca, con in più lo schermo dell’anonimato o del falso profilo - non si limitano però al campo politico e giornalistico, ma, per chi frequenta la rete e i social, investono spesso anche le conversazioni ‘private’ e amicali.

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Nella quotidianità della propria casa non è raro leggere, anche a firma di persone insospettabili, professori, professionisti a vario livello, in genere maschi, ma con l’altrettanto riprovevole consenso di qualche collega o amica, post in cui l’uso del linguaggio sessista passa quasi inosservato perché ‘giustificato’ dall’odio politico o letterario, o di altro tipo, e condiviso. E non parlo solo del recentissimo episodio che ha visto protagonista, alla radio, un professore dell’Università di Siena con offese intollerabili alla leader di Fratelli d’Italia.

Il problema che si pone, nel breve e nel lungo periodo, al di là della legislazione presente e di quella possibile, e della sempre difficile discussione sui limiti della libertà di espressione, è sicuramente la scelta del comportamento individuale di chi non vuole comunque condividere questo degrado; di chi, per usare una metafora usata nel libro, non vuole partecipare all’ingorgo e ai danni nei riguardi di una persona al centro di un incrocio stradale; di chi, comunque, non ne fa la marca caratterizzante lo spazio comunicativo dei social.

Valgono, collettivamente, le forme sperimentate di ‘scorte mediatiche’, cioè prontezza di risposta e di intervento a favore di chi è stata insultata e presa di mira, senza però ricadere in uno schema ritorsivo.

Individualmente vale, invece, la regola che chiamerei di Atticus Finch, l’avvocato protagonista del romanzo di Harper Lee, conosciuto in Italia come ‘Il buio oltre la siepe’ (il particolare passaggio non è riprodotto nel film). Alla figlia Scout, che protesta che il linguaggio offensivo verso i neri lo adottano tutti a scuola, Finch prospetta: "Da domani saranno tutti meno uno".

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titolo #STAIZITTA giornalista! - Dall’hate speech allo zoombombing quando le parole imbavagliano"  autrici      Silvia Garambois e Paola Rizzi   collana studi della Fondazione Murialdi, edizioni All Around  (acquistabile in formato ebook sulle maggiori piattaforme  e dal 26 febbraio in versione cartacea) 


Se ognuno di noi, e ora parlo di tutte e tutti, trovasse il tempo e la determinazione di contestare immediatamente, attraverso argomenti forti e inoppugnabili, l’uso di insulti e violenza verbale a partire da chi ha più vicino/a, quel tutti meno uno comincerebbe a rovesciare a poco a poco, nel tempo, le proporzioni, in modo da isolare fenomeni che, purtroppo, non si prevedono di breve durata.

Per questo libri, ricerche e conseguenti discussioni su questi argomenti devono essere favoriti e diffusi con la maggiore attenzione possibile.


*GIGI SPINA (Salerno, 1946, è stato professore di Filologia Classica alla università Federico II di Napoli. Pratica jazz e tennis. Gli piace pensare e scrivere, mescolando passato e presente)   


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