Francesco da Jonia, morte di un Atlantideo

di FABRIZIO FUNTO'

Quando un artista muore, tutto il Mondo subisce uno scossone.

Perché non sta cessando una vita, ma una visione intera, una idea che raccoglie il sale della terra e lo plasma, lo modella in un qualcosa in cui il mondo stesso si rispecchia, e si comprende.

Franco Battiato si era scelto un singolare punto di osservazione sul pianeta. Questo ha fatto sorgere una infinità di incomprensioni lungo tutto l’arco della sua esistenza, soprattutto in un paese come il nostro, a fortissimo tasso ideologico connesso al larghissimo tasso di ignoranza (il cosiddetto analfabetismo di ritorno).

Incomprensioni, già. Perché per comprendere Battiato bisogna aver conosciuto i libri che lui aveva letto, aver preso le posizioni ideali che lui aveva preso, aver pensato pensieri simili, aver sentito gli stessi ritmi dentro, le stesse tumultuose sensazioni ed emozioni che le sue composizioni dovevano far emergere in lui, prima ancora che nel suo pubblico. 

Un artista parla solo attraverso le sue opere.

Altri minuziosi critici affronteranno l’aspetto musicale, ritmico, la biografia, le connessioni trasversali fra vita e arte, e tutto il restante ben di dio che ci deriva dallo strutturalismo. Fiat.  Per coloro ai quali è stato concesso invece di comprendere le opere d’arte dall’interno, dal punto di vista dell’artista e del Mondo che lui rappresenta, tutte quelle informazioni non servono. Serve “capire”.

Non senza un certo imbarazzo, e facendo ricorso ad un po’ di empietà, vorrei provare a far capire a chi legge, per quel poco che ne sono capace, cosa c’era probabilmente dietro la visione di Franco Battiato. Parlerò solo della canzone che mi è sempre parsa una pietra miliare della sua identità artistica: Atlantide. E che mi ha emozionato, provocandomi quel languore indescrivibile che sale alla gola come un groppo di pianto.


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(dal sito Battiato.it)


Quello di Battiato è un mondo molto fragile, molto intermittente e raffinato. E si fa presto a distruggerlo. Non c'è riuscito però Fiorello, che ne faceva una strepitosa parodia alla radio. Apprezzata dallo stesso Battiato, che una volta vi partecipò magistralmente di persona, facendo vedere di che pasta sublime fosse fatto, su Rai2.

Per capire il mondo di Battiato devo far riferimento ad un concetto fondamentale, che si divide in due, convenzionalmente espresso rispettivamente con l’iniziale maiuscola e con quella minuscola.

Il concetto è quello di “Tradizione”. E di “tradizione”.

Un concetto fondamentale per la vita degli esseri umani. E per le civiltà: qualunque civiltà si instauri sul pianeta fa ricorso alla Tradizione per progredire, per raggiungere le mete più importanti. La versione “volgare” di questo concetto, da trascrivere e denotare sempre con l’iniziale minuscola, è la “tradizione”. Quella per cui vanno matti quelli rivolti con la testa all’indietro, laddove la grande Tradizione si proietta verso il futuro. Fra i due concetti vi è solo un labile e molto apparente legame semantico.

In “Atlantide”, Battiato racconta con fedeltà assoluta e quasi ossessiva ciò che Platone (scusate: quanti hanno mai letto una vera “pagina” di Platone? E quanti sono riusciti a capirla, quanti in futuro saranno in grado di farlo?) racconta nel “Crizia” e nel “Timeo”. Vale a dire la storia del continente perduto. Scomparso.  E, come tale, diventato un “mito”, che ci riporta all’età in cui l’umanità si dice fosse felice. Lì si colloca Franco Battiato.

Atlantide è un Mondo, di cui oggi sentiamo solo un’eco lontana. Una sorta di rimbombo che torna indietro dalla notte dei secoli. Ma, ad Atlantide, c’eravamo noi. E ce lo siamo scordato. C’erano gli uomini come noi, che avevano scienza e misura. Ed è per questo che vivevano probabilmente felici. Perché ciascuno di essi, nella cittadella filosofica di Atlantide, dove la Tradizione diceva che abitasse  Clito, madre di tutti gli Atlantidei e di cui Poseidone si era innamorato, aveva il suo posto ed il suo ruolo nel mondo.

Un ordine superiore regolava la vita di Atlantide. E chi era re non era né di più né di meno di ogni altro atlantideo, ma era re perché conosceva ed amministrava scienza e misura. Il Continente perduto era diviso in dieci regni, con dieci re. Ma…  

“Ma il carattere umano s'insinuò… e non sopportarono la felicità, neppure la felicità”.

Così racconta Platone. Gli avidi si fecero avanti. I corrotti presero il potere con la protervia dell’arroganza. Con la forza dell’ignoranza, della dis-misura. Non il popolo comune, bensì i nobili fuori dalle porte della cittadella di Atlantide, combatterono per avidità. Per accaparrarsi potere ed il controllo sulle cose, sugli oggetti. E persero la felicità.

Vi ricorda qualcosa?

E così si arrivò al disastro. All’inevitabile disastro.

Canta Franco Battiato, sulle orme di Platone:

“In un giorno e una notte, la distruzione avvenne. Tornò nell’acqua, sparì Atlantide”.

Ora — a parte la canzone che ha un paroliere d’eccezione, nientemeno che il più grande filosofo greco in persona, Platone — che senso ha che un artista, un musicista, metta in scena quel dramma e lo offra al pubblico teleconnesso?

Possiamo chiedercelo per Atlantide, ma anche per l’Era del Cinghiale Bianco, che aveva cantato agli inizi della sua carriera (e pochi ne capirono i riferimenti), o anche per la Cura, che anch’essa va scritta con la C maiuscola, perché si tratta di un preciso e deliberato riferimento filosofico.

Sono citazioni di Friedrich Nietzsche, di Réne Guenon, di Martin Heidegger, di una créme dell’intellettualità fra Occidente e Oriente, che ci vogliono anni ed anni per farla propria.


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(dal sito Battiato.it)

La posizione nel mondo di Franco Battiato è quella di un Atlantideo.

Non riusciva probabilmente a capire gli uomini, perché non voleva abbandonarsi alla tradizione con la “t” minuscola. Alla meschinità di passioni brutali, all’abbrutimento, allo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. L’Età dell’Oro, quando vive nella mente e nel cuore anche di un solo essere umano, è un fatto. Al pari di tanti altri fatti e fatterelli della nostra esistenza, al pari dell’incidente che ti accade sotto casa, del matrimonio di tuo cugino, dell’inaugurazione di una scuola.

La realtà quadrupede, somara, non è meno vera della realtà artistica rappresentata da quello stesso equino, ma trasformato in cavallo ed alato, portatore delle idee che ci rendono così diversi dal resto del regno animale: Pegaso.

Prova ne sia che la visione artistica genera eventi, provoca emozioni che fanno scaturire opere poi d’arte in varie forme, anche in forma di canzoni. Genera concerti, genera spinte interiori che attraggono e talvolta guidano folle di umani. E che determinano “Movimenti”.

Se c’è un dramma nella nostra esistenza attuale, è che non vediamo più Pegaso, ma solo PIL, SPREAD, COVID, Debito, Bond, e tutti i “miti” — perché di tali si tratta: fatti umani, irreali, virtuali, epperò al pari delle idee alate determinano fortune e insuccessi, arricchimenti e suicidi per impoverimento repentino — dicevamo tutti i “miti” avvelenati della cosiddetta “modernità”.

La quale modernità avrebbe dovuto portare in sé, secondo i suoi sostenitori — l’idea di un movimento verso il futuro, verso il nuovo, verso il domani.

Già molti avvisavano di quanto questo moto fosse apparente, di quanto fosse rotatorio, che al flusso si opponeva il riflusso. Oggi noi constatiamo che effettivamente la cosiddetta “mondernità” (chiamatela globalità, chiamatela crisi, chiamatela post-moderno o come vi pare) può riportarci anche indietro. E lo sta facendo effettivamente.

È per questo che sarà sempre importante e decisivo capire Atlantide. Appellarsi a quella Tradizione che conservava gli uomini nella felicità, data a sua volta dalla scienza e dalla misura.

L’illimitato, l’innumerabile, l’”apeiron” greco, il desiderio sconfinato di potere e di ricchezza — che sono poi miti antiumanitari condivisi sia dalla Mafia che della Finanza — la brama assoluta, perdono l’uomo e lo fanno ritornare all’animale che è parte di lui. Lo scimmione che è ancora da addomesticare.

Per concludere cito un’altra canzone, non di Battiato, e che a mio avviso gli fa da pendant ed è un “classico”: “Message in a bottle”, di Sting (Police). Ed è un classico proprio perché molte delle generazioni che si sono succedute, soprattutto dopo la fine della Grande Ribellione, hanno visto in questa canzone un elemento che la rappresentava, che esprimeva una verità della loro condizione. Una verità negata dai media.

Al termine della canzone, nelle stesse acque nelle quali è sprofondata la nostra Atlantide mentale, Sting vede affiorare milioni di bottiglie che contengono un messaggio individuale, milioni di bottiglie con la richiesta di aiuto andare alla deriva sulle onde, come turaccioli nella risacca, prima di infrangersi sugli scogli nel Nulla.

La condizione dei nostri ragazzi, oggi, dovrebbe essere quella di Atlantidei, ed invece è quella delle bottiglie di Sting.  

Ed è solo facendo leva sulla Tradizione, che ha al centro gli uomini e non i numeri, le cose o i soldi, che potremo risolvere i problemi del Mondo.

Come ci spiegava, con le sue note atlantidee, Franco Battiato.

 

P.S.: Su Youtube sopravvive solo una versione “giusta” (a mio modesto giudizio) di Atlantide, eseguita dal vivo dal compositore, inframezzata con echi di cori infantili e rimembranze liriche. Chissà perché. La trovate qui.

 

*FABRIZIO FUNTO` (Lecce, 1957. Filosofo pentito, docente mancato, è stato mandato subito a fare il guru della Realtà Virtuale e dell’Innovazione Tecnologica oltreoceano. Ci ha preso gusto. Ogni tanto tossisce qualche storia inattuale)

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