FOTORACCONTO - San Leucio, il sogno di un Borbone fra broccati e seterie

di TINA PANE*

Capita spesso, a curiosare nella storia dell’architettura, di scoprire che un’opera è frutto di capricci di re, i quali per allontanarsi dalle atmosfere cupe o complottistiche delle corti si facevano costruire, a debita distanza, siti di svago dove essere più liberi di invitare (o non invitare) chi gli pareva.

E in parte anche la nascita del Real Belvedere di San Leucio

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un enorme complesso a pochi chilometri da Caserta, si deve alla voglia di isolamento di un re, Ferdinando IV, che nel 1759 salì fanciullo sul trono perché il padre Carlo III di Borbone aveva dovuto lasciargli il Regno di Napoli per andare a fare il re di Spagna.

Fu così che Ferdinando, desiderando trovare “un luogo ameno e separato dal rumore della corte” decise di farsi costruire una residenza

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“atta alla meditazione ed al riposo dello spirito (…), un luogo più riparato, che fosse quasi un romitorio”, e trovò “il più opportuno essere il sito di San Leucio”.

E il sito dovette portargli veramente consiglio, perchè il giovin Borbone non si limitò a far restaurare a vantaggio suo e della sua signora Maria Carolina d’Austria (sposata appena divenuto maggiorenne nel 1768) l’edificio dei signori di Acquaviva già presente alle pendici del monte di San Leucio e da cui si godeva una tale splendida vista fino al mare da fargli meritare appunto l’appellativo di Belvedere.


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Ferdinando 


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istituì infatti nel 1778 la Real Colonia di San Leucio, una sorta di comunità ideale fondata sull’uguaglianza e sul lavoro di uomini e di donne.  Al centro di questo progetto vi era la manifattura della seta, un vero polo industriale che controllava tutte le fasi del processo produttivo, dalla gelso-bachicoltura alla commercializzazione del prodotto finito.

Nel 1789 la Manifattura Reale

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diventò un’entità autonoma attraverso la promulgazione di un apposito codice di leggi ispirate alle idee illuministe, realizzando un esperimento d’avanguardia basato su un modello di giustizia e di equità sociale.

I lavoratori delle seterie usufruivano di diversi benefici: veniva loro assegnata una casa

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all’interno della colonia, usufruivano di formazione gratuita (qui il re istituì la prima scuola dell’obbligo d’Italia femminile e maschile che includeva discipline professionali) e di un orario massimo di lavoro (11 ore, a fronte delle 14 del resto d’Europa).

Le donne ricevevano una dote dal re per sposare un appartenente della colonia, e a disposizione di tutti vi era una cassa comune “di carità”, dove ognuno versava una parte dei propri guadagni. Non c’era nessuna differenza tra gli individui qualunque fosse il lavoro svolto, l’uomo e la donna godevano di una totale parità in un sistema che faceva perno esclusivamente sulla meritocrazia. Era abolita la proprietà privata, garantita l’assistenza agli anziani e agli infermi, ed era esaltato il valore della fratellanza.

L’evidenza di questa sintetica ricostruzione storica sta nella visita (obbligatoriamente guidata) al sito di San Leucio 

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che insieme alla più famosa e vicinissima Reggia di Caserta è riconosciuto Patrimonio dell’Umanità dal 1997.

Si visita la sezione di Archeologia industriale

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che ospita su due piani numerosi macchinari e attrezzature dell’epoca utilizzati nelle varie fasi della lavorazione della seta, tra cui nove telai a mano restaurati e funzionanti e due grandi torcitoi cilindrici 

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in legno, sui quali 1200 rocchetti girano all’unisono, ricostruiti negli anni novanta del secolo scorso secondo i disegni originali e mossi dalla ruota idraulica posta nel sottosuolo.

Si visita l’Appartamento Reale, composto da una serie di stanze particolarmente affascinanti - in cui la seta è sempre protagonista - tra cui il cosiddetto “Bagno di Maria Carolina” (interamente dipinto ad encausto nel 1792 dal primo pittore di corte, Philiph Hachert)

 

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la sala da pranzo, la stanza da letto e il Coretto, da cui i sovrani assistevano alle celebrazioni liturgiche nella sottostante chiesa di San Ferdinando Re, tuttora aperta al culto e ambita per celebrare i matrimoni. 

Si visitano infine i Reali Giardini

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disposti su sette terrazze dove, dopo aver eseguito studi e rilievi, si è potuta ottenere una conoscenza dei luoghi tale da poter riproporre anche la sistemazione dei giardini con le essenze e il disegno che originariamente ne componevano l’architettura.

Qui, dove venivano prodotti broccati 

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e damaschi di eccellente qualità e frutto di innovazioni tecniche come l’utilizzo del cotone per la trama e della seta per l’ordito, che dava ai tessuti per arredamento maggiore robustezza, la colonia industriale dei setaioli produceva anche calze, tappeti e cotonerie, mentre i parati in seta leuciana ancora decorano, oltre alla Reggia di Caserta, il Vaticano, il Quirinale, lo Studio Ovale e Buckingham Palace. 

Il progetto di Ferdinando e dell’architetto Francesco Collecini di ampliare il nucleo originario e realizzare una vera città, che avrebbe dovuto chiamarsi Ferdinandopoli

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si infranse nella rivoluzione del 1799 e poi con la Restaurazione fu definitivamente accantonato, mentre lo speciale regime comunitario fu abolito con l’unità d’Italia, che inglobò nel demanio statale tutto il complesso leuciano.

A seguito di numerosi reclami e petizioni dei leuciani, la Colonia fu dichiarata comune a sé con decreto reale del 1866 e il nuovo comune acquisì territorio, strade, stabilimento 

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e relativi macchinari. Per molti anni l’opificio rimase attivo sotto la gestione di privati, fino a che nel 1910 arrivò il fallimento. Dopo dieci anni di chiusura la fabbrica tornò operativa grazie alla famiglia leuciana dei De Negri che la mantennero in attività fino agli anni ’70. Seguirono  abbandono e degrado, poi l’arrivo di Fintecna nel 1985 come concessionaria del comune per la realizzazione di un progetto esecutivo teso a restituire al complesso le funzioni che lo hanno storicamente caratterizzato.



Oggi restano i sogni di un re visionario che ha lasciato una forte connotazione al territorio, e un sito museale che, custodendo un patrimonio di storia sociale e industriale, si segnala per uno strettissimo rapporto tra l’edificio-contenitore e la raccolta di beni che custodisce. 

La visita supererà ogni aspettativa che quest’articolo possa avere generato.

 

 

 * TINA PANE (Napoli, 1962. Una laurea, un tesserino da pubblicista e un esodo incentivato da un lavoro per caso durato 30 anni. Ora libera: di camminare, fotografare, programmare viaggi anche brevissimi e vicini, scrivere di cose belle e di memorie)


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