Durbuy delle Ardenne, regina dell'arte topiaria

foto e testo di GIULIA GIGANTE* 

Benvenuti a Durbuy, la “città più piccola del mondo”. In un angolo della regione ardennese c’è un paese situato in una posizione scenografica che, per ragioni storiche, può fregiarsi del titolo di “città” grazie a un documento del 1331 con cui il re Giovanni di Boemia, conte di Lussemburgo,  attribuiva tale status. E così, un po’ surrealmente, il minuscolo borgo medievale con un grappolo di case grigie raccolte intorno a un castello drammaticamente sospeso su un’ansa del fiume Ourthe, nonostante le sue dimensioni ridotte e i suoi scarsi 400 abitanti, si trova ad essere una città. Forse per rimediare a questo paradosso nel 1977 Durbuy è stata unita amministrativamente ad altri 11 comuni della provincia (il cui nome, per un altro piccolo paradosso, è Lussemburgo, pur trovandosi in Belgio…). In tempi normali, in estate, vi si svolge un festival internazionale di musica hard rock.

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Per immergersi nell’atmosfera medievale (nonché evitare problemi di parcheggio), la cosa migliore è arrivarvi a piedi o in bicicletta. Durbuy si trova al centro di un reticolato di sentieri e piste ciclabili e può quindi essere la mèta di una bella camminata in un paesaggio bucolico lungo il corso della Ourthe, per esempio partendo dal non lontano paesino di Barvaux. Siamo in zona francofona, i viandanti si scambiano un rapido “Bonjour” e un sorriso a mezza bocca (sui sentieri di campagna si può togliere la maschera), in attesa del momento in cui - come una visione - appare il castello di Durbuy. L’attuale maniero, costruito al posto di una precedente fortezza del IX secolo andata distrutta, risale al XII secolo e dalla metà del Settecento appartiene alla famiglia dei conti di Ursel, insieme a ben altri sei castelli, sparpagliati qua e là per il Belgio.


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Alle porte della città si trova un parco davvero insolito, il “Parc des Topiaires”. Confesso che era la prima volta in vita mia che m’imbattevo nell’arte topiaria (dal latino ars topiaria), le cui origini pare si perdano nell’antica Roma. In questo grande giardino con vista sul castello si succedono siepi di ogni forma e grandezza che l’opera dei giardinieri ha trasformato in sculture vegetali spesso bizzarre, come l’omino che fa ciao con la mano all’uscita del parco. Le figure create dagli arbusti rappresentano animali (conigli, elefanti, orsi e tanti altri), persone (notevoli i cavalieri al galoppo) o elementi simbolici di vario tipo.

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Prima di ripartire, se ci si trova da queste parti in estate, si può completare il tour con la visita a Barvaux di un’altra stravagante installazione: un labirinto i cui meandri si snodano tra piante di mais.

*GIULIA GIGANTE (nata a Napoli, vive attualmente a Bruxelles, ama andare alla ricerca di nuovi mari, venti e conchiglie, di altri modi di vivere e di pensare, di tracce di passati remoti e recenti. Conosce dieci lingue, ma a tutte preferisce il russo ed è convinta, con Dostoevskij, che “la bellezza salverà il mondo”)

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