Dialogo sul FantaTour, che tanto fanta poi non è

di GIAN PAOLO e TIMOTHY ORMEZZANO*

Sai papà che il fantaciclismo per il Tour de France recluta esperti, indovini, aruspici, fan, insomma bipedi appassionati di sport, come se non più del movimento omologo per il Giro d’Italia, corsa rivale ma dai francesi snobbata?  Da ex suiveur di lunghissimo corso, hai qualche consiglio per l’asta con i miei amici-colleghi invasati? Pogacar bisserà l’impresa dell’anno scorso oppure sarà la volta del suo connazionale Roglic?


tour-de-france-244348_960_720jpg

(foto pixabay)

A proposito, lo sai che la Slovenia ha gli stessi abitanti (2,1 milioni) di Torino e provincia? Oltre agli uomini di classifica mi servono un paio di sprinter (Sagan, ok, poi Ewan oppure Cavendish?), uno scalatore (Alaphilippe o Carapaz?), un cronoman (no, Top Ganna non c’è, pensa già ai Giochi di Tokyo) e un paio di fuggitivi, quelli che devono spolmonarsi per mostrare lo sponsor alle tivù prima di farsi risucchiare dal gruppone.

E poi in squadra vorrei anche un italiano, perché noi non saremo sciovinisti come loro ma una quota azzurra nella fantasquadra è dovuta. Che dici? Meglio Colbrelli di Nibali? Sì, credo anche io. La scelta è presto fatta, perché ci sono appena nove dei nostri al via della Grande Boucle, mai così pochi dal 1983, addirittura uno in meno dei nostri tennisti a Wimbledon. E se avessimo snobbato anche noi quei vicini di casa che ogni volta che si parla dei cosiddetti «ritals», termine assolutamente dispregiativo, alzano gli occhi al cielo e dicono: «Ah, les italiens...»? Così lontani, così vicini. Così diversi, così uguali. In fondo siamo tutti transalpini, uno dell’altro.

Figlio mio, «odio e amo» scriveva Ovidio, uno bravino. E poi: non so perché ma so che è così e me ne dolgo. Da giornalista, inviato e invidiato, di 28 Giri e 15 Tour la cosiddetta esperienza – che spesso si fa peraltro fossile inutile, quando non dannoso - mi suggerisce un parallelo fra questo entusiasmo e la soggezione che noi italiani ciclofili proviamo di fronte al Tour. Trattasi in fondo di due stati di suddistanza psicologica apparentabili. Personalmente ignoro se non addirittura schivo tutto quanto è fantasport, leggi pure fantacalcio o fantaciclismo. Tanto più adesso che, in vecchiaia, arrivo a pensare che forse ho scritto sempre e soltanto di fantasport senza accorgermi che inamidavo a parole scritte qualcosa di aeriforme, gassoso, insomma fasullo.

velo-1678972_960_720png

(immagine pixabay)


Semplicemente mi chiedo se sia il caso di patire il Tour alla cui grandezza abbiamo dato (e imposto) grandi campioni, su tutti Bartali e Coppi e prima Bottecchia e dopo altri sino a Pantani, rivoluzione economica (le squadre nazionali e regionali sono state spazzate via dalle squadre di marca per lo più appoggiate alla nostra industria grande che sceglieva il ciclismo massimo per farsi conoscere meglio e di più), strade alpine fra le migliori, traguardi nostri prestigiosi e folle ricche di affetto forte e rispettoso insieme, e tanti ma tanti ecc. ecc.

E adesso vedremo al Tour tappe noiosissime (come poche al Giro), volate acri e sporche (come poche al Giro), scalate morbide spacciate per grandi avventure e impresucce spacciate per impresone, ma reverenti diremo «oh le Tour». Come da sempre diciamo («oh la France») di un paese in decadenza, della Costa Azzurra rapinatrice, delle femmes nues parigine patetiche e squallide, di formaggi e vini qualunque, noi misteriosamente psicosudditi di fronte alla pedalata banale di un ostrogoto al Tour come ad una pastasciutta scotta o a una pizza con la frutta però sotto la Tour Eiffel.

*TIMOTHY ORMEZZANO (classe 1975, laureato sì ma al Dams. Ha picchiettato tasti per Tuttosport, Repubblica e Corriere della Sera. Affamato, ahilui, più di calembours che di notizie. Se non è bravo a scrivere come suo padre Gian Paolo non è soltanto perché gli mancano due falangette della mano sinistra)

*GIAN PAOLO ORMEZZANO (classe 1935, orgogliosamente non laureato - galeotti gli ultimi quattro esami di Giurisprudenza -, primatista di Olimpiadi seguite da inviato e invidiato speciale e di articoli scritti in prima persona proprio come l’ultima fatica letteraria, “Io c’ero davvero – Reportage da due virus: il Covid e il giornalismo”)