Decima tappa, L'Aquila-Foligno - Fra Rieti e Greccio, nelle terre di san Francesco

di ANGELO MELONE*

L’Aquila-Foligno avrebbe potuto essere una tappa micidiale, ancor più dura di quella che si è snodata ieri per i passi e i valichi abruzzesi. I corridori invece potranno – si fa per dire – tirare il fiato, e lungo il percorso – dolce e bellissimo – verranno solo guardati dall’alto dal Gran Sasso e dal Terminillo, due “cime Coppi” di tanti giri d’Italia.

La partenza dall’Aquila è un simbolo, gli organizzatori la considerano un messaggio di speranza come lo è la selva di gru che sono diventate il nuovo skyline di una città che sta iniziando a rinascere. Dalle case ai piedi della collina che si ripopolano, al meraviglioso centro storico ancora imbragato ma aperto. Ho percorso (al contrario) la parte finale di questa tappa con una carovana di ciclisti che arrivava da Roma – qualche anno fa – per dare vita insieme alle associazioni cittadine del dopo terremoto al primo concerto di riapertura della piazza principale del centro: era il “palco a pedali”  con i Tete de Bois e Francesco di Giacomo, una emozione incancellabile.


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(Sella di Corno, la stazioncina)


Scendemmo all’Aquila dalla Sella di Corno. Invece per la carovana del Giro il valico appenninico sarà la prima fatica della giornata, con la sua stazioncina ferroviaria antica proprio in cima. L’altipiano era dei Sanniti, che poi ottennero la cittadinanza romana “sbloccando”, di fatto, la costruzione della via Salaria (nella piazza di Sella di Corno è tuttora presente la pietra miliare che indica la distanza da Roma: 72 miglia).

E, alla fine della discesa, i corridori entreranno appunto nella Salaria, ad Antrodoco. Una cittadina molto bella che culmina nella agguerrita Rocca medioevale. Il simbolo di una zona di confine del Regno di Napoli – da qui a Rieti – strategica e da sempre contesa. Terra di battaglie risorgimentali (come Rieti) tra cui quella durissima e decisiva nel 1820 in cui gli austriaci sgominarono le truppe guidate da Guglielmo Pepe. E terra di briganti, dopo il 1860. Il gruppone che pedala veloce probabilmente non lo vedrà, ma alle sue spalle c’è il Monte Giano con il piccolo bosco piantato nel ventennio in modo da formare la scritta “Dux” che ancora sopravvive.


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(Antrodoco)


Siamo in pianura, sfilando accanto alla cinta di mura che ancora cinge il centro storico di Rieti. Una città dalla storia densa, spesso poco conosciuta. Amatissima dai romani (soprattutto dalla Gens Flavia), presa per fame e distrutta da Ruggero il Normanno, anche se nella sua cattedrale poi si sposò Costanza d’Altavilla con il figlio del Barbarossa, Enrico VI di Svevia. Ma soprattutto protagonista di un tempo di grande splendore per un lungo tratto del medioevo (del quale sono evidenti le testimonianze): fu più volte sede papale, da Innocenzo III a Bonifacio VIII. E nella prima parte del XIII secolo, dalle sue mura i Papi poterono assistere all’esplosione di uno dei più grandi movimenti spirituali del mondo.


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(Il monte Giano)


La verdissima conca della piana di Rieti che entra in Umbria, per Francesco, fu di fatto un prolungamento delle sue terre: poco più avanti verso nord, la Valnerina e poi Spoleto ed Assisi. Una via che con i suoi frati percorse spesso: i santuari di Poggio Bustone, la Foresta, Greccio indicano solo alcuni dei luoghi in cui i poverelli di Assisi si fermarono e predicarono. Tanto che all’inizio del 13° secolo nella piana si contavano fino a 23 conventi francescani: la Valle Santa, come ancora oggi è chiamata.

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(Greccio)


I ciclisti la percorreranno sfiorando Poggio Bustone, dove Francesco si ritirava in una grotta a pregare e racconta di aver avuto la visione del perdono dei suoi peccati. E’ rimasta uguale, con il suo piccolissimo eremo danneggiato dal terremoto (quello drammatico di Amatrice). E, poco distante, il monastero della Foresta sorto intorno ad una chiesetta dell’anno mille che ancora c’è. Nasconde una fenditura nella roccia dove Francesco si isolava in preghiera. Quella dove, secondo la tradizione, nacque il “Cantico di Frate Sole”.

A vista d’occhio, lontano dall’altra parte della valle, Greccio. Una costruzione che lascia senza fiato. Il grande eremo sembra una parte viva della parete di roccia. Dentro, intatti, l’antico refettorio, il dormitorio con i posti assegnati ai monaci da piccole croci, le cellette in legno minuscole e spoglie e, in fondo, la cella di Francesco scavata nella roccia con un giaciglio di pietra: tra queste mura, nel Natale del 1223, insieme ai suoi poverelli organizzò una rappresentazione sacra intorno ad una culla con un bambino, posata su una pietra. Per la storia è la nascita del presepe.


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(La cascata delle Marmore)


Lasciandosi alle spalle il bivio per Poggio Bustone (e per la statua di Lucio Battisti che è nato qui) il Giro entrerà in Umbria intorno al lago di Piediluco, passando prima sopra e poi accanto alle cascate delle Marmore fino all’imbocco della Valnerina, con gli antichi borghi arroccati, devastati dal terremoto ma altrettanto ben ricostruiti.

Poi la seconda salita della giornata al passo della Somma che immette in una lunga discesa nel bosco sacro di Monteluco, con il santuario letteralmente immerso in una mare di lecci. Custodisce l’antico eremo perfettamente conservato dove Francesco stette nel 1218. Cellette piccole e poverissime che, vi racconteranno, hanno ospitato anche sant’Antonio da Padova e San Bernardino. La strada continua a scendere mentre gli alberi si diradano per far intravvedere la meraviglia di Spoleto, prima di arrivare al celebre ponte delle Torri che unisce il bosco alla rocca Albornoziana e porta nella città che è una delle meraviglie del mondo.


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(Spoleto)


 Ci siamo: si torna a pedalare in pianura dritti verso Foligno. Ma prima la tappa passa accanto alle Fonti del Clitunno, le cui acque limpide erano celebri fin dall’antichità, cantate da molti poeti latini (Properzio e Giovenale per tutti) e a fine Ottocento da Giosuè Carducci in una sua celebre poesia.

Siamo al traguardo, tra le vie e i palazzi storici di Foligno anch’essi, purtroppo, ancora segnati dal terremoto.


*ANGELO MELONE (Nato nel '56, giornalista prima a l'Unità poi a Repubblica. Ama fare molte cose. Tra quelle che lo avvicinano a questo sito: la passione per i viaggi, tanta bicicletta e i trekking anche di alta quota)  


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