Da Socrate a Abramovich. Veleni
di ANNA DI LELLIO*
La notizia, a dire al vero ancora misteriosa, del tentato avvelenamento del Russo Roman Abramovich e del suo interlocutore ucraino, entrambi impegnati in una “mediazione di retrovia” sulla guerra di aggressione russa contro l’Ucraina, ci lascia sconcertati ma non sorpresi. Non sappiamo ancora con certezza cosa sia avvenuto davvero, come, perché, e soprattutto chi sia l’autore. Ma lasciamo le indagini a chi le sa fare e asteniamoci da discussioni fondate sempre e solo sul “a chi giova”. Certo la Russia ha una storia recente di assassinii tramite veleno che indirizza i sospetti nella sua direzione. Ma sarebbe sbagliato partire subito con le accuse contro Putin & Co., o contro agenti dissidenti, tutti comunque di matrice russa. Soprattutto perché i Russi non solo i soli a usare il veleno e neanche l’epoca contemporanea è unica nel loro uso.
C’è un’ interessante storia dell’avvelenamento dall’antichità ad oggi, scritta da Eugenie Nepovimova e Kamil Kuca e pubblicata in Archives of Toxicology nel 2019, che aiuta a capire. L’avvelenamento consentito dallo stato nell’antica Grecia ma anche a Roma già offre una prospettiva più ampia sulla questione, ma non applicabile ai nostri tempi. Due mila anni fa, sia che uno fosse stato condannato come Socrate, o se avesse deciso di togliersi la vita, lo stato era pronto a passargli la pozione letale. Gratis.
Usando un altro strumento inquisitorio sempre utile, il cherchez la femme, troviamo invece Agrippina in primo piano nell’esercizio dell’avvelenamento. Il veleno è sempre il metodo preferito da chi vuole uccidere senza essere scoperto, ma non perché tema l’arresto. Teme la pubblicità. La geniale Agrippina non solo avvelenò il marito Claudio per far salire sul trono il figlio Nerone, ma avvelenò anche la piuma usata dai medici per suscitare il vomito nel povero imperatore, a mo’ di lavanda gastrica quindi, che altrimenti avrebbe neutralizzato il suo tentativo.
Altre donne, più tardi, furono esperte avvelenatrici, non sempre con successo. Alexander Dumas scrisse in La Regina Margot di come Caterina dei Medici, intenzionata ad eliminare l’odiato genero protestante Enrico IV, avvelenò le pagine di un prezioso libro sulla caccia. Ma il libro capitò nelle mani del suo amato figlio cattolico Carlo IX, che morì dopo una lunga e orribile agonia. La regina era una studiosa di sostanze tossiche, di cui sperimentava l’efficacia sui poveri e sui malati, ovviamente a loro insaputa.
Caterina dei Medici è un po' come Beria. Qui siamo nell’Unione Sovietica negli anni ’30, nel laboratorio “X”, all’interno del famoso Commissariato del popolo per gli affari interni (NKVD), fondato apposta per sviluppare veleni che potessero non essere riconosciuti nelle autopsie. Beria i veleni li sperimentava sui prigionieri della Lubyanka, il suo carcere di elezione, e pare che la prima cavia sia stato lo scrittore Maxim Gorki, in quella che fu la cancel culture in versione sovietica.
Ma erano tempi da dilettanti, la storia degli avvelenamenti oltre cortina dopo Stalin ha tutte le caratteristiche di un film di James Bond: perché avvengono in modo avventuroso nelle capitali occidentali, non nel chiuso dei gulag domestici. Il dissidente bulgaro Georgi Markov fu ucciso nel 1969 a Londra. Gli spararono del veleno alla gamba da un ombrello, mentre aspettava l’autobus. Nel 2004 toccò al politico ucraino Viktor Yushchenko, già governatore della Banca Centrale, Primo Ministro e Presidente. Sopravvisse all’avvelenamento, ma il suo viso resterà per sempre butterato. I sospetti avvelenatori, agenti della sicurezza ucraini, uno di loro con cittadinanza anche russa, si ritirarono in Russia per un po'. Avevano usato la stessa diossina TCDD che si trova nell’Agent Orange, usato in Vietnam dagli Americani ma non ad hominem. Ne infestarono il paese in modo talmente indiscriminato da colpire gli stessi soldati americani.
Nel 2006 l’ex tenente colonnello dei servizi russi Aleksander Litvinenko, da tempo cittadino inglese, fu ucciso dal polonio. Anche Yasser Arafat, nel 2004 in un ospedale vicino a Parigi, morì in circostanze che fecero sospettare l’avvelenamento, dopo una visita proprio di Litvinenko. Per quest’ultimo furono sospettati i servizi russi, mentre per Arafat i sospetti si appuntarono tutti contro Israele. Nel 2018 l’agente nervino Novichok fu molto probabilmente usato a Londra in un attentato contro l’ex ufficiale dell’intelligence russa Sergey Skripal e sua figlia Yuliya. Le due vittime furono trovate prive di coscienza su una panchina vicina ad un centro commerciale presso Salisbury, nel Regno Unito. Il Novichok fu sviluppato negli anni ’70 dall’Unione Sovietica in reazione all’invenzione americana/inglese dell’agente VX.
Ma non pensiamo che gli avvelenamenti moderni siano monopolio russo. Negli anni ’90 il sarin fu usato diverse volte in Giappone dalla setta Aum Shinrikyo, in un’occasione per eliminare dei giudici nemici, inseguito anche piú indiscriminatamente nella metropolitana di Tokyo. Impossibile poi dimenticare l’avvelenamento nel 2017 di Kim Jong-Nam, il fratellastro del leader nord coreano Kim Jong-Un, ad opera di due giovani donne all’aeroporto di Kuala Lumpur.
Se devo confessare qual è l’attentato che preferisco, anche perché fallì in modo spettacolare, è quello contro Khaled Mashal, leader di Hamas. Si può tutto leggere in un libro fantastico, Kill Khalid. Nel settembre del 1997, agenti del Mossad per ordine di Netanyahu cercarono di assassinarlo col veleno. Ma come? Gli agenti andarono in Giordania, dove lui si trovava in esilio, travestiti da turisti canadesi. Un giorno lo aspettarono davanti all’ufficio di Hamas ad Amman e uno di loro, arrivando da dietro, gli avvicinò all'orecchio una penna che riversò un veleno potente nel suo labirinto indifeso. Le guardie del corpo, in allarme perché avevano avuto dei sospetti, riuscirono a catturare gli agenti in fuga, che, non conoscendo bene Amman, si persero per strada.
Il re Hussein di Giordania telefonò immediatamente a Netanyahu e gli chiese l’antidoto, minacciando di trattenere a vita gli agenti israeliani e di rompere le relazioni diplomatiche con Israele, costruite dal 1994 con tanta fatica. Netanyhau rifiutò. Hussein insisté: se muore Khaled, tra noi è finita. Il presidente americano Bill Clinton dovette intervenire e forzò Netanyahu a mandare l’antidoto. Il quale antidoto arrivò ad Amman portato personalmente dal capo del Mossad, Danny Yatom. Khaled era in coma, ma l’ antidoto lo salvò.
Ma torniamo in Russia, prima dell’Unione Sovietica. Alla voce veleno-assassinio troviamo subito Grigori Rasputin. I maligni penseranno che lui sia stato un grande avvelenatore, data la fama di uomo misterioso e malvagio di cui gode. E invece no, fu una vittima. Solo che sopravvisse al cianuro di potassio che gli avevano messo nella torta e nel vino. Come fece? Gli avvelenatori non avevano studiato bene la chimica e non sapevano che il glucosio presente nel dolce e nel vino avrebbe neutralizzato il cianuro. Rasputin poi amava molto l’aglio e l’aglio facilita l’espulsione dei sali contenuti nel metallo. E infine era un esperto di ipnosi e autocontrollo. Insomma, si sarebbe salvato da sé.
*ANNA DI LELLIO (Sono Aquilana di nascita, ma mi sento più a casa a New York, Roma, e Pristina. Un po' accademica, un po' burocrate internazionale, e un po' giornalista. Ovviamente ho lavorato per l’Unità. Tra le mie grandi passioni giovanili c’erano lo sci, la lettura, i viaggi, il cinema e la politica. A parte lo sci, sostituito dallo yoga, le mie passioni attuali sono rimaste le stesse)
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