Come entrai a Skywalker ranch, la casa di Guerre Stellari

di FABRIZIO FUNTÒ*

Dunque, sedetevi. State comodi sul divano? Lì, sul carrello, ci sono delle bevande. Servitevi da soli.

Nei film di Hitchcock c’è sempre un carrello dal quale ci si serve da soli dell’ottimo scotch.

Sto per raccontarvi come misi piede nel Ranch di George Lucas. Posto non visitabile dagli umani. Esclusivo. Vi si accede solo – e pochissimi - per inviti diretti.

Tutto parte da Gillo Pontecorvo.

Ero fra i pionieri della realtà virtuale. Avevo appena finito di realizzare l’attrazione principale del museo della tecnologia di San Jose, finanziato dalle principali società digitali della bay area: Intel, Apple, Silicon Graphics soprattutto — di cui eravamo un po’ i pupilli, perché ogni volta al Siggraph ci presentavamo insieme e stupivamo il mondo intero. Paesaggi archeologici o artistici nostrani, ricreati nello splendore delle tecnologie di simulazione tridimensionale. In tempo reale.

Gillo a quel tempo dirigeva Cinecittà, e capiva — o meglio, “intuiva” — che il cinema italiano non avrebbe potuto fare a meno degli effetti digitali. La possibilità di ricreare mondi di fantasia, o di inventare trucchi meravigliosi in grado di far vedere al pubblico le inusitate creazioni della mente degli autori, era troppo importante.


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Tutti i registi nostrani si attardavano a magnificare ancora la pellicola, la sua profondità di campo, le meraviglia della vecchia cinepresa contro i videogiochi di Hollywood. Ma con lui non attaccava. Gillo era quasi insofferente con il vecchiume polveroso, e tagliava corto. Doveva fare qualcosa. Assolutamente.

Sicché mi convocò nella palazzina di Cinecittà e mi impose (a Pontecorvo non potevi dire di no, con quegli occhi azzurri glaciali che ti guatavano dentro) di imbarcarmi sul primo volo, in compagnia di un tipo che doveva capirci di economia, di andare a vedere la situazione negli studi digitali della California e di verificare a quali condizioni si potesse ricreare a Cinecittà uno studio digitale con i nostri “cervelli” — quelli emigrati e formati alla scuola dei VFX (sta per “Visual effects”) di Hollywood — che potevano essere reimportati. Per fecondare il ritardato cinema italiano.

Prima, però, dovevamo far capire al campanilismo locale l’importanza dei nuovi linguaggi espressivi digitali. E il valore dei tanti italiani emigrati ad Hollywood che stavano arricchendo ed impreziosendo il cinema americano. E cosa di meglio, dunque, se non un bel convegno a tema? Poi in volo a recuperare talenti. Il piano lui, Gillo, ce lo aveva chiaro in mente. E Abete, che era il suo amico-nemico dirimpettaio, nonché Amministratore di Cinecittà, che non osava fiatare.

Naturalmente mi fece inginocchiare e mi nominò sul campo Gran Cavaliere di Cinecittà per gli Effetti Digitali, nonché suo organizzatore preferito della manifestazione imminente. Correva l’anno 1997, e molti interni videro la mia nomina come un affronto. Fra poco capirete perché.

Io peraltro guidavo il dipartimento STUDIO di ACS, una società che lavora per l’ESA. Quindi mi ero sdoppiato, ma non riuscivo a triplicarmi (sicché mia moglie, a casa col figlio, non mi vedeva più). Avevamo organizzato tutto, interventi, demo, proiezioni nella tensostruttura che c’era dietro gli ultimi studi a Cinecittà. Naturalmente, avevo pregato Gillo di mettersi in contatto con George Lucas per farci mandare uno speaker, che ci parlasse anche - possibilmente - del nuovo episodio di Guerre Stellari, girato in digitale per la prima volta, il quarto per intenderci, che poi si chiamerà Episode I.

Lucas aveva declinato l’invito, perché il film era ancora in lavorazione. E tutti sanno che finché non debutta, un film è un segreto inviolabile.  

Avevo lasciato sulla scrivania di Gillo una lista di domande da fare, fra le quali campeggiava, sottolineata tre volte, quella per Guerre Stellari. E poi, siccome per fare quella telefonata bisognava aspettare che si svegliassero in California (9 ore di fuso) me ne ero andato in sede a lavorare per ACS. Il mio secondo lavoro. Per Gillo, s’intende.

E qui inizia la tragedia.

Verso le dieci e mezza di sera, forse un po’ più tardi, ricevo una telefonata. Io ero ancora in ufficio a recuperare il tempo perduto a Cinecittà. Sento una simpatica voce squillante dall’altra parte del telefono, che chiede tutta contenta e allegra di poter parlare con Fabrizio. “Normale”, pensai. Con tutti gli speaker che avevamo chiamato, forse qualche cosa era andata storta per qualcuno. Che so? Una rinuncia…

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Invece la squillante voce americana mi dice: “Ah, sei tu? Ti passo George”. A Hollywood esiste solo un George: è lui. Chiamandomi per nome con molta familiarità, George mi chiede dapprima come sta andando l’organizzazione della conferenza e come sta il suo grande amico Gillo. Già così mi era preso un mezzo colpo. Non capita tutti i giorni di essere chiamati da “George”. Ma il peggio doveva arrivare subito dopo.  Accertatosi che tutto stesse andando per il meglio, ad un certo punto si fa serio e duro e mi spara una frase del seguente tenore: “Senti, Fabrizio, mi spieghi come diavolo (eufemismo) fate ad avere nella vostra conferenza un’anteprima del mio prossimo film di Guerre Stellari, visto che il film è mio e non ho autorizzato nessuno a parlarne, tantomeno al tuo meeting?”

Ecco, a quel punto non ero più rosso. Sulla mia faccia era passata tutta la palette di colori, alternandosi a velocità vertiginosa. Cadevo letteralmente dalle nuvole, e sapevo solo con certezza che non c’era nessuno che avrebbe parlato di Guerre Stellari, anche se mi sarebbe piaciuto molto. A meno che…

Ribatto: “George, ma non abbiamo nessuno che parlerà di Guerre Stellari! So che hai parlato con Gillo e lui poi mi ha ritelefonato confermandomi che non se ne fa nulla, che siete in lavorazione… Come fai a sapere che invece ci sarà un’anteprima non autorizzata?”

E qui mi infilza, cinico, come un torero navigato. “Perché c’è scritto sul vostro sito!”

Mi connetto, raggiungo il sito di Cinecittà, e cosa scopro con orrore? Già, tutto vero! Ed io, che lavoravo in ACS ma ero pur sempre Gran Cavaliere di Cinecittà, cosa potevo obiettare al grande George, Principe di Hollywood?

Non potei fare altro che assicurargli che quella comunicazione sarebbe sparita in un battibaleno. E lui, dall’altra parte del filo, lasciando che il suo cinismo degenerasse in sadismo puro nei miei confronti, mi disse gioviale: “Bene, attendo in linea finché non è sparita!”

Io non so cosa spinga gli umani a fare quello che fanno. Ignoro perché si venga nominati Cavalieri di Cinecittà. Perché ci si debba caricare sul dorso dromedario fardelli che non ci appartengono, e per quale recondito motivo ci si offra, a petto in fuori, alla lancia che inevitabilmente ci atterrerà. Ma è il destino degli eroi, direbbe Omero.

Svegliai Pontecorvo, chiedendo cosa mai fosse successo. Lui era inferocito, mi disse che forse qualcuno aveva preso la lista che avevo scritto io e aveva creduto che fosse tutto confermato, e lo aveva pubblicato. Mi passò il numero di cellulare dell’ingegnere responsabile del sito (fu già un miracolo per lui trovare quel numero) il quale propose di cambiare la pagina solamente la mattina seguente. Dopo una bella dormita. Quando tutta Hollywood avrebbe saputo dell’anteprima di Cinecittà, collegandosi al suo sito. Spiegai al mio interlocutore che invece doveva alzare il posteriore immediatamente ed andare a rimuovere quella pagina sciagurata! Volarono bestemmie. Naturalmente l’ingegnere non riconosceva la mia autorità e il mio cavalierato, quindi dovetti richiamare Gillo e pregare di mettere sull’attenti il webmaster. Pensai allora ai possibili rancori dovuti alla mia nomina, che potevano aver scatenato fantasie morbose. Mie illazioni, certo. Peccati.millenium-falcon-1627322_960_720jpg

Gli innocenti giochini locali, però, le goliardate poi messe scherzando sul sito, che tanto non lo vede nessuno, si traducono invece talvolta in grandi tragedie. Ne stavamo vivendo una in diretta, con George all’altro capo del telefono. Gli toccò scappare di corsa a Cinecittà e rimuovere tutto. Passai una piacevole oretta con Lucas, nel frattempo, che avendo avuto finalmente il racconto completo di quali fossero le mie responsabilità effettive in tutto quel caos, non trovò di meglio che invitarmi al Ranch alla prima occasione.  

La conferenza poi andò benissimo, col pienone. Venne Bill George dalla ILM a parlare di come avevano realizzato gli effetti sorprendenti del film Deep Impact, l’enorme onda che travolge New York, la geniale soluzione dell’esplosione del meteorite nel mare — naturalmente portandoci i saluti di “George”. Lo ospitai col suo compagno a cena, confabulammo del Colosseo digitale, che avevo creato e mostrato al Siggraph proprio l’anno precedente, per un loro progetto supersegreto. Si trattava del Gladiatore. Di cui voi però sapete sicuramente già tutto.

* * *

È passato un anno. Agosto, tempo di Siggraph, la più grande conferenza di tecnologie del mondo. A Los Angeles.

Mi prendo un giorno di pausa, salgo sull’airbus per S. Francisco e mi do appuntamento con Bill George alla Industrial Light And Magic, la società che produce gli effetti visivi per i film della Lucas. Bill mi indica il punto di incontro. Ed così arrivo in una piazzetta di un quartiere periferico circondato di casette.

Il vuoto. Non c’è nessuno, là.

Aspetto un po’ e poi richiamo Bill. “Sono nella piazzetta che mi hai indicato, ma forse ho capito male: qui non c’è niente. E nessuno. Ridammi l’indirizzo che ti raggiungo”.

No — mi fa Bill — il posto era giusto. Dovevo solo entrare nel negozio di fotografo. A fare cosa? “Ti aspetto lì dentro”.

Entro, un negozietto con tanti rullini gialli Kodak in vendita. Ma che ci faccio qui? Non c’è nessuno, tranne un ragazzo dietro il bancone, che mi sorride. Accenno ad andargli incontro, ma lui mi fa un gesto con la mano, come a dire “tutto a posto, tranquillo”.

Aspetto. Dopo un po’, si apre il tendone che dà accesso al retrobottega ed esce Bill. In realtà, dietro il tendone c’è una scultura a grandezza naturale di Dart Vader. Il lato oscuro della Forza in un anonimo negozietto di foto?

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Quello era in realtà l’ingresso segreto, per gli ospiti, proprio della Industrial Light & Magic, la ILM. Lo avevano mimetizzato per evitare la presenza inopportuna di centinaia di migliaia di fans di Guerre Stellari. Così, di passaggio in passaggio, di casetta in casetta, di cortile in cortile passando per i garage, era tutto un brulicare di computer e di animatronic, diavolerie varie di effetti visivi e di render farm. Modellini, e ricostruzioni in miniatura, macchine da presa digitali con enormi bracci robotizzati. Tutto occultato e nascosto in un tranquillo quartiere di casette multifamiliari, giardini e orticelli. E ve lo posso rivelare solo perché ora ILM si è spostata nella vecchia caserma di Presidio, di fronte al glorioso ponte del Golden Gate. Non lo avreste trovato mai.

Terminato il giro, Bill mi fa a bruciapelo: “Ah, naturalmente andiamo a mangiare al Ranch: George ci aspetta”. Io francamente avevo rimosso l’episodio dell’anno prima, quello della simpatica conversazione telefonica. Ma ogni promessa è debito, e quindi saliamo tutti nella macchina di Bill e ci dirigiamo in un posto imprecisato fuori S. Rafael, nella parte Nord della baia.

Prendiamo ovviamente la Lucas Valley Road e, dopo un tempo che mi sembra infinito, arriviamo al cancello, dove siamo autorizzati ad entrare. Da lì ci vuole ancora una mezz’ora di strada tortuosa che risale lungo tutta una valle per arrivare ad una gentile ed enorme casona coloniale bianca, da “Via Col Vento”. Ma all’interno molte soprese, ad iniziare dal colore dei pavimenti e dei rivestimenti, un legno rosso mogano. George mi accoglie e mi racconta di aver acquistato un galeone o non so quale vecchio bastimento il cui legno, dopo essere stato smantellato, ora fodera ed impreziosisce le stanze del suo ranch. Nel salone c’è una apertura tonda, nella quale si intravedono scaffali pieni di libri di ogni sorta di una mega biblioteca. Bellissima. Un paradiso.

La mia curiosità deve essere stata del tutto evidente, perché una gentile assistente mi accompagna a farne visita. Non prima di aver salutato Lucas, dopo esserci scambiati un paio di battute al vetriolo su quanto era successo fra noi.

Lo Skywalker Ranch ospita anche una sorta di ristorante, dove abbiamo uno dei cinque o sei tavoli prenotato.

Dopo pranzo,  giro allo Skywalker Sound, un enorme impianto che sta sempre lì, nella valle, e dove quattrocento persone lavorano agli effetti sonori (SFX, che sta per sound effects) dei suoi film. Un secondo paradiso, almeno per i patiti di suono. Ogni sorta di macchinario, di studio, di dispositivo. Così si fanno i film, diamine!

Ritornando verso S. Francisco prego Bill George di fermarsi un attimo a Muir Wood, la foresta delle querce giganti, dove la natura ti schiaccia e ti fa sentire una formica.

Ottimo posto per meditare sui miei peccati. Che sono sempre tanti. Troppi.

Ma non bastò.

Ci ricaddi qualche anno dopo, quando mi chiesero di creare Virtuality a Torino, la prima conferenza di VR e VFX (stavolta non traduco) di una Regione Piemonte che si stava per lanciare sul digitale.

Se avessi meditato più a lungo, a Muir Wood, forse…


*FABRIZIO FUNTO` (Lecce, 1957. Filosofo pentito, docente mancato, è stato mandato subito a fare il guru della Realtà Virtuale e dell’Innovazione Tecnologica oltreoceano. Ci ha preso gusto. Ogni tanto tossisce qualche storia inattuale



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