Cento Uffizi in Toscana, così il Museo lancia il cuore nel Recovery Plan

di DANILO MAESTOSI*

Uffizi diffusi. E’ il progetto con il quale Elke Schmidt, primo direttore straniero del museo fiorentino, ha deciso di caratterizzare il nuovo mandato che il ministro della cultura Dario Franceschini gli ha nel novembre scorso confermato. Cinquantadue anni, tedesco, una laurea ad Heidelberg e una prestigiosa carriera sul campo in America e poi alla casa d’aste Sotheby di Londra, si insediò nel 2015 tra molti mugugni. Una diffidenza che in quattro anni di buona e apprezzata gestione Schmidt è riuscito in gran parte a smussare, conquistando stima, entrature e amicizie nei salotti della Firenze bene e nel giro che conta della politica.

Credito che ora ha deciso di rafforzare e mettere a frutto, in una Toscana svuotata e impoverita dalla pandemia ma decisa a cogliere tutte le possibilità di rilancio offerte dai fondi in arrivo con il Recovery Plan, anticipando in una riunione plenaria in Regione le linee di un piano di decentramento dei tesori che la Galleria degli Uffizi stiva nei suoi magazzini, in un circuito di nuove sedi dell’hinterland e delle città vicine da reperire, restaurare e riattrezzare per l’occasione.

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(Pubblico davanti alla Nascita di Venere di Sandro Botticelli       Galleria degli Uffizi         foto pixabay)

L’idea chiave, quella di mettere a disposizione e a vista i tanti cimeli che i musei italiani custodiscono ma non riescono ad esporre, si inserisce nel solco di un lungo e radicale processo di ammodernamento partito poco meno di trent’anni fa con la legge Ronchey: orari prolungati e accessibili, nuovi servizi d’accoglienza, bar, ristoranti, librerie, banchi di souvenir, accordi di gestione o cogestione con aziende e associazioni private, riaperture in concessione di siti chiusi  inaccessibili. Tanti passi in avanti sigillati da un forte incremento di visitatori, e anche - era inevitabile - qualche caduta e deragliamento soprattutto sul versante privato e a livello locale, dove è risultato più difficile tenere a bada clientele e speculazioni.

Positive ricadute anche per la valorizzazione delle opere in deposito, scattata in molti musei, soprattutto i più grandi, privilegiati da un concreto afflusso di fondi sull’onda lunga di un lodevole risveglio d’attenzione, viziato a volte da fughe in avanti, eccessi di semplificazioni, tentazioni di scorciatoie mercantili. Argomentazioni da brivido, all’americana, tipo: ci sono, specie nelle raccolte antiquarie, tanti doppioni, mettiamoli in vendita o barattiamoli con musei stranieri che ne sono sprovvisti. 

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Tra gli esempi migliori proprio la Galleria degli Uffizi: ora i magazzini sono ben organizzati, e predisposti per tenere al sicuro ma a vista per visite guidate o virtuali sul web, lavori e oggetti che, nonostante il via vai di mostre a tema e rotazioni, non trovano posto nelle sale museali.

Ma il problema resta aperto: come attenuare la sproporzione tra i cimeli catalogati in archivio ("decine di migliaia di epoche e valori diversi", si tengono sul vago i comunicatori del museo) e i capolavori in esposizione, non più di 4000? Con il piglio decisionista che ha impresso alla sua direzione, Elke Schmidt ha deciso appunto di cercare di trovare in via sperimentale una risposta con la sua proposta: Uffizi diffusi. 

Inutile - ha spiegato in Regione - continuare ad espandere le sedi del museo nella cerchia di Firenze, già sovraccarica di offerte e intasata dal turismo di massa, che si rimetterà sicuramente in moto quando lo spettro del Covid sarà neutralizzato. Imperdonabile tenere chiusi nei depositi e sottrarre al godimento della scoperta beni preziosi che possono diventare volano di una politica turistica più compatibile e di una crescita culturale davvero inedita se, trasferiti sul territorio in sedi periferiche, possono alimentare la linfa di nuove curiosità, nuove e più intense calamite identitarie - ha aggiunto paragonando il piacere dell’arte a quello del buon vino che a suo avviso non deve invecchiare in cantina. Molto meglio, insomma, decentrare. Come, dove?

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(La Villa medicea dell'Ambrogiana, uno de luoghi candidati agli Uffizi diffusi)

Elke Schmidt da sette mesi ha iniziato una serie di verifiche e sopralluoghi in vari centri toscani, che prosegue e conta di intensificare. Ne è nata una prima mappa di luoghi da cui partire. Come la villa fiorentina di Careggi, che accolse le dotte dispute dell’Accademia neoplatonica di Marsilio Ficino, culla di gestazione del Rinascimento, che potrebbe ospitare molte opere che ne ripercorrono la storia e ne documentano l’influenza.

 Come il museo di Anghiari, dove si potrebbe esporre stabilmente una copia dell’affresco della celebre battaglia abbozzato su cartone ma mai realizzato da Leonardo, come è già avvenuto con grande successo prima dell’embargo antiCovid.

Come il museo civico di Castagno, il borgo dove Dante soggiornò prima dell’esilio, e dove il fulcro dei prestiti dovrebbe essere il ritratto del poeta realizzato da un maestro doc nato proprio là come Andrea del Castagno. 

Come la villa medicea di Montelupo, ex residenza di Ferdinando I, cui sarebbero restituite molte tele della raccolta originaria finita nei depositi degli Uffizi, quando l’imponente e fascinoso edificio fu trasformato in Carcere e poi in manicomio giudiziario, chiuso solo pochi anni fa: intreccio di storie che il restauro dell’edificio, ormai concordato ma ancora da finanziare, dovrebbe riproporre.

Un trasferimento quest’ultimo che fa emergere alla ribalta il problema dei fondi necessari a condurre in porto l’operazione. Gli interventi strutturali, poi le spese per  l’allestimento e la climatizzazione necessarie a garantire la adeguata conservazione di cimeli centenari tanto fragili. Una valanga di soldi se si moltiplica  il costo di quest’operazione per il numero di luoghi che si stanno, giorno dopo giorno, aggiungendo alla lista. Più di sessanta, ma perché non cento, calcola trascinato dall’entusiamo il direttore degli Uffizi. 

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(Uno dei corridoi degli Uffizi      foto Uffizi)

Un’euforia contagiosa, innescata dalla certezza del sostegno di una legge regionale data per imminente, e dalla speranza di molti amministratori locali di poter salire con valida legittimazione sul carro dei finanziamenti del Recovery Plan, che ha scatenato una gara di autocandidature da parte dei Comuni piccoli e grandi del territorio cui si stenta a star dietro. Ogni centro pronto ad esibire un edificio storico in attesa di destinazione da recuperare con il marchio beneficente degli Uffizi. 

Come Livorno che si è inserito in concorso offrendo una bellissima palazzina liberty da anni in disarmo sul lungomare, che ha le carte in regola per accogliere quadri e oggetti d’epoca che il museo fiorentino sembra interessato a concedere. 

O come l’isola d’Elba che si è fatta avanti con la Fortezza d’Ajaccio, dove fu rinchiuso e da cui riuscì ad evadere, per l’ultimo rovinoso canto del cigno, l’imperatore Bonaparte, trovando ampia disponibilità al prestito di una serie di quadri che rievocano le imprese, i fasti di corte, la caduta di Napoleone e il perdurare del suo mito.

Tra tre mesi Elke Shmidt si è impegnato a chiudere la fase di questa complessa e confusa istruttoria e buttar giù un primo elenco di luoghi e d’accoppiamenti. E a scrivere, caso per caso, l’elenco di garanzie e adempimenti indispensabili per concedere il passaporto d’uscita ai gioielli del suo museo. L’operazione - inutile illudersi- durerà anni. E perderà sicuramente per strada più di un pezzo  prima di arrivare al traguardo, sotto il fuoco amico della concorrenza di campanile tra i vari centri  e quello ostile delle polemiche che ha suscitato.


*DANILO MAESTOSI  (Romano, 1944, laurea in legge. Giornalista da 55 anni: Tempo, Rai, Paese Sera, Ansa, Messaggero. Ora collabora da pensionato per varie testate d'arte e cultura. Da 25 anni ha iniziato una carriera parallela di pittore. Non ha mai smesso di domandarsi perchè)

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