Capitale italiana della cultura - PIEVE DI SOLIGO / Zanzotto e il cuore del mondo

di MARZIO BREDA*

Claudio Magris sostiene che grazie ad Andrea Zanzotto Pieve di Soligo è divenuto “un piccolo grande cuore del mondo, terra fantastica e reale come la contea di Yoknapatawpha dove William Faulkner ambientò tanti romanzi e racconti”.

L’intuizione di Magris è perfetta e vale per l’intera opera zanzottiana, dai versi alle prose a tante battaglie civili che il poeta ha combattuto. Della sua terra, infatti, amava tutto: il paesaggio fisico, dietro il quale cominciò a scavare fin dalle prime poesie e che malgrado lo sviluppo brado nessuno ha potuto vampirizzare fino in fondo, al paesaggio umano, con gli infiniti depositi storici, sociali, etici e linguistici che il passaggio dei secoli qui ha lasciato.

Un luogo magico, con le geometrie pettinate dai vigneti e dai filari di gelsi, con i boschi, i torrenti, i laghetti e le colline “piccole come noci”, in cima alle quali fino a qualche anno fa capitava d’incontrare delle “vecchiette intente a parlare con dio e con le galline” (succedeva davvero, alla Locanda delle Lucrezie, sul Mondragòn di Arfanta).

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Un’Arcadia dove, come del resto anche negli angoli più remoti del pianeta, la stessa semiologia del paesaggio consentiva a Zanzotto di cogliere le tracce di una trasformazione divenuta nell’ultima metà della sua vita brutale: un rullo compressore che minacciava – e minaccia -  identità, memorie e culture. Un meccanismo perverso contro il quale questo intellettuale così diverso da tutti e “moralmente indispensabile” si è battuto con ripetuti allarmi. Essendo “un protagonista della poesia mondiale”, come di lui disse Gianfranco Contini, le sue riflessioni sono state raccolte. A partire da quelle sulle morte delle lingue minori, i dialetti.

Un “vecio parlar”, quello di Pieve di Soligo, che Zanzotto ha fatto rifiorire attraverso una operazione iperletteraria, riabilitandolo nei suoi versi proprio mentre la globalizzazione ci impone un inglese esperantizzato e, dal punto di vista dell’espressività, povero e banale. Anche in questo modo si può dire che ha gettato dei lampi di luce in questi “tempi che civettano sinistramente da notte dei tempi”.


*MARZIO BREDA (Da più di 40 anni al Corriere, seguendo nella mia seconda vita professionale soprattutto il Quirinale, cui ho dedicato anche un paio di saggi. Ma il libro del quale sono più orgoglioso è 'In questo progresso scorsoio', scritto a quattro mani con Andrea Zanzotto. Passioni: la letteratura angloamericana e le passeggiate sulle colline del prosecco, mia terra natale)

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