Calatrava, Capodimonte e la scoperta di San Gennaro
di TINA PANE*
Che Santiago Calatrava fosse un artista poliedrico e copioso, e non solo il famosissimo architetto che negli ultimi quarant’anni ha riempito di grandi opere - ponti, stazioni, chiese - il mondo, una profana come me se ne era accorta in occasione della bella mostra “Nella luce di Napoli”, inaugurata in presenza del Maestro al Museo di Capodimonte nel lontano settembre 2019, praticamente una vita fa.
La mostra, allestita al secondo piano del Museo
e anche nell’edificio del Cellaio nel Real Bosco, dopo le varie chiusure causa Covid, è stata prorogata fino al 22 agosto e presenta una collezione di 400 opere tra maquette, sculture e disegni (nel Museo)
e di 50 opere in ceramica
(nel Cellaio).
Così, se è vero che visitare il
Museo di Capodimonte equivale a leggere un manuale di storia dell’arte dal
Duecento al Novecento, vedere la mostra dedicata a Calatrava è come entrare
nel mondo dell’artista e scoprire in quante direzioni e modalità si è espressa
la sua creatività.
Soprattutto da quando, qualche tempo fa, la mostra di Capodimonte si è arricchita dell’ultimo tassello,
ovvero l’inaugurazione della chiesa
di San Gennaro (opera di Ferdinando Sanfelice, del 1745)
nella quale Calatrava ha operato una rilettura completa dello spazio,
dalle vetrate al soffitto
decorato di stelle, dalle nicchie con disegni di rose, foglie e uccelli a una
nuova illuminazione e nuovi arredi.
Nella chiesa, di nuovo aperta al pubblico e alle celebrazioni, perché mai sconsacrata nonostante una chiusura di quasi 50 anni, spiccano le preziose sete di San Leucio
come paramenti d’altare e i vasi in porcellana
che l’artista ha prodotto ad hoc per il sito, realizzati durante i laboratori
con gli studenti e i maestri artigiani dell’Istituto ad indirizzo raro Caselli-De Sanctis / Real Fabbrica di
Capodimonte, che si trova proprio di fronte alla chiesa.
L’effetto è davvero sorprendente, e ciò che più colpisce è la profonda armonia che unisce il vecchio al nuovo, le forme barocche a quelle contemporanee, e la luminosità - la spiritualità gioiosa, direi - che domina tutta la scena.
D’altra parte Calatrava,
che riassume la sua vicenda artistica dicendo di essere “sempre alla ricerca di
più luce e di più spazio”, ha scelto personalmente il titolo della mostra in
omaggio alla cultura millenaria della città di Napoli, una cultura che si è
sempre nutrita e ispirata al clima e alla luce del Mediterraneo. “Provo una grande
gratitud - pur parlando benissimo
l’italiano, continua a dire la parola gratitudine in spagnolo- per il
contributo che l’Italia ha dato all’arte, e con questo lavoro nella chiesa
di San Gennaro mi sento come un piccolo maestro Muti, che ha armonizzato
l’ispirazione proveniente dalla natura del Real
Bosco di Capodimonte per decorare questa chiesa”.
Nello scegliere i fiori, gli uccelli, le foglie come
elementi decorativi
c’è la ricerca di “un linguaggio semplice, che possa essere capito anche dai bambini”, continua Calatrava, “per meravigliarsi come loro della bellezza del creato e del talento degli artisti”.
Lui, architetto, ingegnere, pittore, scultore, disegnatore,
non ha mai smesso di dipingere (acquerelli, carboncini) e di scolpire (sperimentando svariati materiali) perché “per me è importante lavorare sulla pittura, sulla scultura e sulla ceramica, non solo come discipline indipendenti ma come nutrimento incessante per la mia architettura”.
Quando la mostra smonterà, a Napoli resterà una traccia indelebile di Calatrava che si andrà ad aggiungere alle altre opere presenti sul territorio nazionale, dal quarto ponte di Venezia alla costruenda cittadella universitaria di Torrenova, dalla stazione Mediopadana di Reggio Emilia al porto di Salerno e al ponte di Cosenza.
Ma quello che è esposto a Capodimonte, in tre posti diversi, racconta qualcosa in più dell’artista e del suo rapporto speciale con la città. Oltre alle parole di rito del Ministro Franceschini, dal Governatore De Luca e da Alfonso Dastis Ambasciatore di Spagna, restano i ringraziamenti di Calatrava al direttore di Capodimonte Sylvain Bellenger, “restaurare è un gesto culturale”, e alla città: “La luce di Napoli siete voi”.
L'esposizione è curata dal direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte Sylvain Bellenger e da Robertina Calatrava, moglie dell'artista, sostenuta dalla Regione Campania grazie ai fondi europei POC, organizzata dalla Scabec, società regionale dei beni culturali, e realizzata in collaborazione con lo Studio Calatrava.
Orari particolari per il Cellaio e la chiesa di San Gennaro, che saranno aperti solo dal venerdì alla domenica dalle 10 alle 16.
* TINA PANE (Napoli, 1962. Una laurea, un tesserino da pubblicista e un esodo incentivato da
un lavoro per caso durato
30 anni. Ora libera: di camminare, fotografare, programmare viaggi anche
brevissimi e vicini, scrivere di
cose belle e di memorie)
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