Bulgaria 1968, con Rudy il rosso e il Komsomol

 di GIORGIO OLDRINI*

Ho letto il bel pezzo di Flavio Fusi su Sofia e il festival mondiale della gioventù che si tenne lì nel 1968 e mi ha preso la nostalgia: c’ero anch’io.

Ero segretario della Fgci di Sesto San Giovanni e partimmo in una decina dalla nostra “Stalingrado” milanese. Arrivammo a Trieste e lì ci fecero salire, insieme ad altre centinaia di giovani comunisti di altre parti d’Italia su un treno jugoslavo, sedili di legno, aspetto cadente. Ci fu un momento di tensione quando una giovane compagna “fuori linea” mentre eravamo fermi al confine con la Jugoslavia e gli agenti della polizia di Tito controllavano i documenti se ne uscì con un grido “Polizia, polizia per piccina che tu sia tu sei serva della Cia”.

Il nostro interprete traduttore era Renato, un giovane operaio della Faema che studiava lingue di sera. Quando ci fermammo alla prima stazione austriaca lui lesse il cartello appeso all’edificio e sentenziò “Questo è il paese di Ausgang”. Alla seconda fermata ci colse un dubbio, perché anche quello, a giudicare dal cartello, era il paese di “Ausgang”. Ci volle un esperto di lingue per spiegarci che era semplicemente l’indicazione di “uscita”.

Arrivammo a Sofia dopo un viaggio infinito, scendemmo alla stazione e ci misero subito in fila per la grande manifestazione. Percorremmo tra l’entusiasmo, le bandiere, i canti, le parole d’ordine gridate lunghi viali ed entrammo allo stadio Levsky. Sfilammo sulla pista e poi su, sugli spalti, a vedere l’arrivo delle delegazioni dalla I di Italia alla Zeta. Era notte quando ormai esausti tentammo di andare al bagno. Ma la via era impraticabile, centinaia di bianchi tedeschi, neri angolani, gialli vietnamiti si frapponevano tra noi e l’agognato locale. Rischiammo di far terminare una giornata eroica nella vergogna di farcela addosso.

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Il festival era percorso da una forte tensione. I sovietici del Komsomol e i loro compagni dell’Europa dell’est controllavano tutto, ma c’era aria di contestazione. Sotto le nostre finestre passava Cohn Bendit che alloggiava poco distante e si gridava “continuons le combat” e un giorno ricevemmo un invito: “Assemblea libera e informale sull’America latina” . Ci andammo incuriositi ed un po’ eccitati. C’erano i francesi, c’erano i tedeschi di Rudy il rosso, c’erano vari latinoamericani e si capì subito che alcuni erano lì mandati dal Konsomol per contestare i contestatori.

Per primo parlò un tedesco: “Questa è una assemblea libera, non ci sono relazioni, gli interpreti sono volontari. Chi vuole parlare basta che si iscriva. Il primo iscritto sono io” e cominciò con una relazione. Il culmine dell’incontro fu quando un nicaraguense-sovietico prese la parola facendo le lodi dell’Urss e allora l’interprete volontario si alzò e disse “Non sono d’accordo con quello che dice, quindi non traduco più”. E lì finì il confronto tra le unanimi proteste di contestatori e contestati.

Ma per noi fu una grande festa. Incontrammo giovani di ogni parte del mondo, in riunioni ufficiali e per le vie di Sofia. Della città ricordo solo il grande monumento a Dimitrov. E lo zoo. Una mattina non c’erano riunioni e qualcuno aveva detto che lo zoo era molto bello. Partimmo un gruppo di sestesi guidati da me come dirigente politico e da Renato come interprete. Naturalmente non sapevamo dove andare. Renato fermava bulgari per strada e in un preteso inglese chiedeva dove fosse lo zoo. Quelli non capivano, non sappiamo se per ignoranza dei sudditi del socialismo reale o per incertezze del nostro interprete.

All’ennesimo tentativo suggerii a Renato: “Chiedigli dove ci sono i leoni”. Il bulgaro capì e ci indicò con precisione la strada, che portava ad un ponte con leoni di pietra.


*GIORGIO OLDRINI (Sono nato 9 mesi e 10 giorni dopo che mio padre Abramo era tornato vivo da un lager nazista. Ho lavorato per 23 anni all’Unità e 8 di questi come corrispondente a Cuba e inviato in America latina. Dal 1990 ho lavorato a Panorama. Dal 2002 e per 10 anni sono stato sindaco di Sesto San Giovanni. Ho scritto alcuni libri di racconti e l’Università Statale di Milano mi ha riconosciuto “Cultore della materia” in Letteratura ispanoamericana)


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