Branzi, torna l'orologio che raccontò gli anni Cinquanta

di REDAZIONE 

(foto© Piergiorgio Branzi/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia)



Il ragazzino guarda avanti, porta a due mani sulle spalle curve un orologio gigantesco, un cipollone; la pozzanghera riflette una scena che sta già restando indietro, è già il passato.

Questa immagine  è cronaca: il bimbo nella fanghiglia di Comacchio (gli amici lo chiamavano Il Cicca, perchè tanto grande di fisico non era) fotografato nel 1954 da Piergiorgio Branzi andava a consegnare il marcatempo a un orologiaio del paesino romagnolo. Ma la forza di quello scatto ne fece una metafora:  l'Italia che rinasce dalle rovine della guerra sperando che il tempo rechi con sè un avvenire meno rovinoso.  Ma anche - per qualcuno - la condizione umana, e la giovinezza "cupida di pesi" che Saba cantava in poesia.  Con questa potenza espressiva il "ragazzo con orologio”  fu elevato al rango di simbolo dell' Italia arcaica e povera che si avviava verso il Boom.


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Ora il viaggio fotografico che quell'anno il giornalista-fotoreporter fece fra la Romagna e l'Appennino diventa una mostra, a Comacchio. Si intitola "Un momento di grazia", sarà inaugurata il 4 settembre nella Galleria d’Arte di Palazzo Bellini e durerà fino al 24 ottobre. Un evento organizzato dal Comune e curato da Nicola Nottoli; collaborano la Fondazione Forma per la Fotografia e la casa editrice Contrasto.

Branzi era veloce di penna (dagli anni Sessanta alla Rai, fu corrispondente estero, poi conduttore) ma aveva sin da giovane il colpo d’occhio sagace del grande fotografo. Il suo racconto di una terra paludosa e piatta, dove frotte di bambini giocavano con poco lungo i canali, oscilla fra la testimonianza neorealista e lo spaccato simbolico dei tempi. Di quella narrazione la mostra offre  quaranta immagini, raccolte in un catalogo delle edizioni Contrasto.  
branzi foto 3 FILEminimizerpng  “L’Italia, uscita dal conflitto da meno di un decennio, era un paese povero, nel migliore dei casi di dignitosa indigenza. Cercai di affrontarlo con uno sguardo di empatia, sperando di dare alle immagini un contenuto di messaggio sociale” scrive l'autore-fotografo.   Che così ha raccontato anni fa all'Avvenire quello scatto memorabile:  «Comacchio appariva surreale, tutta attraversata da canali e, come Pienza, completamente disegnata da un solo architetto. Vidi passare quel ragazzo con l’enorme orologio e lo convinsi a fermarsi un attimo accanto alla pozzanghera. Mi parve un’immagine suggestiva, densa di significato. Mentre fotografavo, altri ragazzini facevano coro attorno, guardavano incuriositi e dileggiavano e incitavano quello con l’orologio". La fotografia era ancora una rarità, i cellulari non c'erano e la camera da cui riemerge la Comacchio di Branzi era ancora una scatola magica.


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