"Basta una pillola". Dal fotoromanzo alla graphic novel, cinquant'anni fa
di DONATELLA ALFONSO *
Si, “basta una pillola”, come recitava in un lontanissimo 1967 una delle campagne promozionali più efficaci lanciate dall’AIED, l’Associazione Italiana Educazione Demografica, per cambiare la vita: una pillolina rosa di fronte a un piccolo esercito di bambolotti marcianti; e quel “basta” che significava come finalmente le donne potessero decidere se avere uno, zero, tre figli. Ma senza subirli. Eppure, fino al 10 marzo del 1971 – quindi quattro anni dopo quel manifesto - parlare di contraccezione in Italia poteva costare un anno di galera, visto che l’articolo 553 del Codice Rocco vietava e puniva “la propaganda dei mezzi atti a impedire la procreazione”, accomunando nella condanna chi promuoveva i metodi contraccettivi come chi decideva di usarli. E proprio quel giorno di marzo di cinquant’anni fa, invece, una sentenza della Corte Costituzionale cancellava l’articolo, parte integrante del Titolo X (“Reati contro l’integrità e la sanità della stirpe”) che sarebbe stato cassato solo nel 1978, con l’approvazione della legge 194 sull’aborto.
LEGGI ANCHE: 8 marzo, cambiano i nomi delle strade di SILVIA GARAMBOIS
(foto
archivio Tano D'Amico)
Ma,
mentre non mancano gli attacchi a quest’ultima, i cinquant’anni della
liberazione della pillola vanno non solo celebrati, ma utilizzati per
rilanciare in tutta Italia la necessità di un vero impegno per la contraccezione
e la maternità responsabile. AIED, fondata nel 1953, ancora una volta, è in
prima linea: stavolta per far introdurre nelle scuole l’educazione sessuale
e affettiva perché, come spiega l’attuale presidente, Mario Puiatti, l’Italia è
praticamente rimasta tra gli ultimi paesi europei a non prevederla – insieme a
Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Cipro e Lituania - “mentre l’educazione sessuale è materia
scolastica dal 1955 in Svezia, dal 1970 in Austria, dal 1995 in Germania, dal
2001 in Francia, dal 2017 nel Regno Unito”.
Saperne poco significa far male l’amore, specialmente tra i giovanissimi: l’Atlas europeo 2019, che misura l’accesso alla contraccezione in 45 Stati dell'Europa geografica, colloca l’Italia in 26esima posizione con un tasso del 58%, vicina a paesi come Turchia e Ucraina e lontanissima dalla Ue per non parlare del Grande Nord. Triste realtà: una persona su 4, maschio o femmina, secondo i dati Istat sceglie il coito interrotto come metodo contraccettivo. E l’89% dei ragazzi e l’84% delle ragazze ricerca online le informazioni su salute sessuale e riproduttiva. Cinquant’anni sono passati invano? No, certo, anzi : ma questi dati, la difficoltà di accedere, in certe aree del paese, a consultori pubblici o privati che siano, e la casualità con cui ancora adesso si affronta il sesso fanno tanto rimpiangere quegli anni Settanta in cui di sesso – oltre che farlo più liberamente, come imponeva la rivoluzione dei costumi seguita alla spinta delle proteste d’oltreoceano e poi dal Sessantotto – si parlava, e tanto.
(Il fotoromanzo, foto archivio Aied)
L’idea della divulgazione, in quell’Italia che stentava a liberarsi del bigottismo (ricordiamoci che la legge Fortuna-Baslini che introduceva il divorzio era stata promulgata solo il 1° dicembre 1970, quattro mesi prima del via libera alla contraccezione, benchè nel 1974 avrebbe dovuto affrontare la durissima battaglia del referendum che voleva abolirlo) passava anche attraverso la creatività. Ma attenzione: non c’erano solo le donne e le ragazze delle grandi città, specialmente del Nord, le studentesse, ma anche le operaie, spesso sindacalizzate e interessate alla politica; i manifesti, i depliant, i volantini parlavano a loro. Ma c’era l’altra Italia, forse quella della maggioranza delle ragazze di allora, magari casalinghe o poco scolarizzate, residenti in piccole città o paesi, nelle zone rurali o al Sud. Però potevano essere anche signore borghesi ma legate alla tradizione. Come raggiungerle? A tutte, in quegli anni, parlavano i fotoromanzi: riviste passate di mano tra le adolescenti come tra le loro madri, storie d’amore che avevano come punti di riferimento i “belli” come Franco Gasparri, Franco Dani o Alex Damiani, ma anche le eroine Michela Roc, Katiuscia e tante altre.
Toccherà a un’attrice “impegnata”, come si diceva allora, cioè Paola Pitagora, interpretare nel 1973 “Il segreto”, il fotoromanzo flash ideato e diretto da Luigi De Marchi, segretario nazionale AIED, nascosto dallo pseudonimo di Ugo Fornari. Paola Pitagora, reduce da “I pugni in tasca” di Marco Bellocchio, disse subito di sì, accettando – senza compenso e per spirito di servizio civile, aprendo la strada ad altri fotoromanzi sempre realizzati da AIED – di fare da testimonial alla contraccezione. Rigorosamente in bianco e nero, nella prima scena del “foto-racconto-lampo”, com’è definito dai promotori, la Pitagora e l’attore che interpreta il marito sono su un letto in disordine. Lui sbotta: «Così non si può andare avanti! Quando ti abbraccio sei sempre fredda, svogliata». E lei: «Come potrei essere diversa? Sempre con l’angoscia di restare inguaiata ... E poi tu t’interrompi sempre sul più bello». In un fotogramma successivo i due sono nuovamente a letto, sorridenti, appagati. Lui è felice perché lei si è lasciata andare e lei rivela “il segreto”: ha preso la pillola. E finalmente, esclama, ho potuto «abbandonarmi a te senza timore e gustare per la prima volta il piacere supremo». Prima di parlare di orgasmo, vabbé, ci vorrà tempo.
(1967 Giancarlo Iliprandi, manifesto per l'Aied)
E in questa strana Italia di oggi, se non ci sono più i fotoromanzi e non è ancora arrivata una vera educazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole, l’AIED riparte dalla mobilitazione e dalle immagini: da mercoledì 10 marzo, cinquant’anni dal giorno del riconoscimento della legalità della contraccezione, l’associazione ripartirà con la sua campagna di sensibilizzazione in tutta Italia sui temi della maternità consapevole, per festeggiare e al tempo stesso rilanciare il “diritto alla libertà”, una conquista che è patrimonio comune di civiltà. Alle 12 caricherà sulla sua pagina facebook il cartoon celebrativo #lapillola50 realizzato da due giovani artiste, Nadia De Velo e Silvia Ferrari, utenti dei consultori AIED: un racconto d’animazione che si rivolge alle giovani e ai giovani di oggi, per ripercorrere la conquista di 50 anni fa. E ancora, sarà facile vedere sui muri e sui bus i manifesti della campagna coordinata dalla pubblicitaria Paola Russo, tra cui, martedì 30 marzo alle 18, sarà il Blister 21 Talk, un evento digitale al quale sono invitate donne e uomini, ragazze e ragazzi di ogni latitudine, per un confronto aperto sui temi dell’educazione sessuale, affettiva ed emotiva rivolta all’adolescenza.
*DONATELLA ALFONSO (Nata a Genova nel 1957. Giornalista, scrittrice e curiosa - delle persone e della storia - per natura e per professione. Confida di tornare a viaggiare oltre i confini)
clicca qui per mettere un like sulla nostra pagina Facebook
clicca qui per rilanciare i nostri racconti su Twitter
clicca qui per consultarci su Linkedin
clicca qui per guardarci su Instagram