Auckland in New Zealand, una città per sognatori
di ENRICO FIERRO
Un albergo e appunti confusi dall’altra parte del mondo. Già, perché siamo a 18.404,75 Km da Roma. Alla fine del mondo, ad Auckland. Dove tutto è capovolto (osservate con attenzione la cartina della Nuova Zelanda, non vi sembra l’Italia sottosopra?), stagioni comprese. Quando da noi è inverno, nella terra dei maori è estate piena e il Natale si festeggia in riva al mare e al sole. Siamo nel cuore di un grande hub commerciale della città, non lontano dal centro, ospiti del “QuestHighbrook”, un hotel molto diverso dai nostri standard. Perché qui l’albergo è casa, nel senso che trovi tutto quello che puoi trovare a casa tua. E la stanza è un appartamento con ampio ingresso, angolo cottura, tavolo, e frigo capiente, più due bagni e stanze da letto se siete in quattro. Oppure dimensioni più piccole, fino a quella per single, se viaggiate in coppia o da soli. Comunque sempre con tutto quello che è necessario. A gestirlo Brendan Kelly e suo marito Keld Dalhoff. Ex manager giramondo della Dhl, il primo, assicuratore danese il secondo. Stufi delle loro vite precedenti, anni fa decisero di lanciarsi nel settore dell’ospitalità, prima in giro per l’Europa (hotel in Francia e Grecia), per poi approdare definitivamente in Nuova Zelanda.
(foto di Enrico Fierro)
Avvertenza per i lettori: conosco benino il Paese per motivi familiari, ci sono stato altre volte, e non sono un turista disciplinato. Quando visito un posto evito cartine e guide turistiche, mi piace girare un po’ a caso, osservare la vita delle persone, il loro modo di fare. Per dirla tutta, mi piace più fermarmi su uno sguardo che visitare un museo con le cuffie nelle orecchie e i percorsi prestabiliti. E in quei giorni (un anno fa l’ultima visita ad Auckland) devo rispettare un impegno. Andare nei pressi del porto a far visita ad un giovane. E’ il figlio di un mio amico napoletano, fotoreporter bravissimo, che a vent’anni ha deciso di piantare le sue radici dall’altra parte del mondo. Ho l’indirizzo del “Café” dove lavora. Ci vado, con me mio figlio sedicenne, entro e vengo accolto da una bella ragazza bionda. “Cerco Jacopo”. Lei mi guarda stupita. Si consulta con una sua collega. Insieme risolvono il rebus: “Jack, il ragazzo italiano”. Annuisco (e mi chiedo come farò a dire al padre mio amico, che il figlio ha pure cambiato nome). Non c’è. Peccato, lascio i miei saluti e quelli del papà. Piccola nota, un paio di mesi dopo Jack-Jacopo lascia il suo lavoro e diventa manager di una impresa che si occupa di ristorazione. Dall’altra parte del mondo ci sono belle opportunità.
La chiacchierata col ragazzo è sfumata, come impiegare il tempo? Il porto di Auckland è fantastico, per girarlo tutto conviene noleggiare un monopattino elettrico e avventurarsi tra i vecchi docks di quella che fu la parte commerciale. Con container trasformati in graziose boutique, piccole gallerie d’arte, spazi enormi che accolgono migliaia di visitatori. Per capire lo spirito dei neozelandesi è d’obbligo visitare il Museo del Mare.
(foto di Enrico Fierro)
Il parco giochi di chi ama barche (sono esposte tutte quelle che hanno partecipato alle varie edizioni della Coppa America), navi e legni galleggianti, ad iniziare dalle “waka”, le canoe polinesiane e maori. Il porto ospita anche un grandissimo mercato del pesce. Giri tra i banchi e i piccoli ristoranti, scegli quello che vuoi e te lo fai preparare. Con mio figlio puntiamo sui frutti di mare, pregando il cuoco giapponese di non mettere creme e diavolerie varie nel sauté di vongole che abbiamo scelto. Olio, aglio e prezzemolo con spruzzata finale di vino bianco secco. Ci va bene. Il giorno dopo un altro museo, il Memoriale di guerra della Nuova Zelanda. Dalla pre-colonizzazione alle guerre spietate contro le tribù Maori, fino al trattato di Waitangiche sancì la vittoria dei bianchi e la vita nelle riserve per i nativi. I loro eredi li incontriamo all’ingresso del museo, una famiglia intera in posa davanti alla riproduzione di una maestosa “casa delle riunioni” Maori, in ogni villaggio il centro della comunità. Sorridono, orgogliosi delle loro radici, e felici della gita. C’è spazio anche per le altre guerre combattute dai neozelandesi, dalla disastrosa battaglia di Gallipoli, fino alla Seconda guerra mondiale, con una sezione dedicata alla battaglia di Cassino.
(foto di Enrico Fierro)
Città multietnica e dalle mille radici Auckland, ma per scoprirne l’anima vera devi prendere un traghetto, attraversare il golfo di Hauraki e sbarcare sull’isola di Whaieke. Ottomila abitanti (ai quali si aggiungono 3mila turisti nella bella stagione) distesi su un territorio di baie, colline, foreste e mare limpido. “La piccola Toscana”, l’ha ribattezzata Antonio Crisci, un concreto sognatore italiano, inventore dei “Poderi Crisci”. La storia di Antonio è da raccontare. Napoletano di origine con due passioni: la cucina e i viaggi. All’inizio degli anni Novanta del secolo scorso arriva in Nuova Zelanda dopo una serie di peregrinazioni, sceglie Auckland per viverci. Fonda due ristoranti, “Toto” a Nelson Street e “Non solo pizza” a Parnell. Ovviamente sfonda, la sua cucina piace, ma è il suo modo di fare che lo consacra “Personalità eccezionale per l’ospitalità” nel 2009. Scopre l’isola e decide che colline e clima sono l’ideale per produrre vino e olio, ortaggi e frutta. Proprio come in Italia. La cucina, naturalmente, si adegua e i sapori oscillano tra Napoli e la Toscana. La cantina produce ottime bottiglie di Merlot, Montepulciano, Pinot, Syrah, ed è un punto di riferimento per i turisti che vogliono mangiare e bere (bene) italiano dall’altra parte del mondo.
Auckland, città di sognatori e visionari concreti.
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