Seconda tappa, Stupinigi-Novara - Dai palazzi dei Savoia al borgo distrutto di Leri Cavour

di ROBERTO ORLANDO*

La seconda tappa del Giro d'Italia numero 104 è una corsa veloce: 179 km da Stupinigi a Novara, quasi tutti in pianura. Gli unici saliscendi, e nemmeno troppo impegnativi, gli atleti li dovranno affrontare tra le morbide colline dell'Astigiano, verso Montechiaro. E allora ti anticipo che correrò anch'io, diciamo a passo di bersagliere: del resto tra queste campagne si è gettato il seme del Risorgimento. E proprio per celebrare il 160° anniversario dell'Unità d'Italia il Giro è partito ieri da Torino e prosegue oggi su questa rotta. Passo di corsa non vuole però significare che ci sia poco da mostrarti, anzi. Sarà come una cronoscalata, ma in pianura: tra campi, risaie e canali studiati da Cavour con l'intenzione di applicare all'agricoltura i metodi della rivoluzione industriale.


La classifica dopo la seconda tappa (dal sito giroditalia.it)

classifica2JPG



Si parte da Nichelino, a una decina di chilometri da Torino, proprio davanti alla Palazzina di Caccia di Stupinigi sormontata non per caso dalla scultura di un grande cervo maschio con un palco così maestoso da lasciar intendere senza dubbio che questa è una palazzina solo di nome, perché in verità è una residenza reale grande e grandiosa. Nata per accogliere gli illustri ospiti delle battute di caccia, ma soprattutto per celebrare l'ascesa al rango regale dei Savoia, la dimora divenne rapidamente luogo di relax, di lussi e ovviamente di intrighi di corte. A volerla fu Vittorio Amedeo II di Savoia, quello che spezzò l'assedio francese di Torino, il capo di Pietro Micca insomma - il quale affidò la progettazione al maestro dell'architettura barocca, il messinese Filippo Juvarra.



leggi anche      UN GIRO FRA MILLE PENSIERI  di ANDREA SATTA

leggi anche       QUANDO IL VIETNAM FERMO' LA CORSA di GIORGIO OLDRINI 



Siamo nell'aprile del 1729. La reggia verrà inaugurata ufficialmente soltanto dieci anni più tardi, perché c'era una guerra in corso, tanto per cambiare, quella di successione della Polonia, e benché il Palazzo fosse pronto dal '37 fare programmi non era consigliabile. Tanto più che l'ospite d'onore avrebbe dovuto essere, come è stato, il futuro imperatore del Sacro Romano Impero, Francesco II. Il quale si sarà certamente sentito accolto alla grande nella sbalorditiva "palazzina di caccia" torinese. E' la stessa sensazione che puoi provare tu oggi, perché la reggia juvarriana ti avvolge come un abbraccio materno, ti mette subito a tuo agio e ti immette in un mondo difficile da immaginare. Lo sfarzo e la grandezza contraddistinguono ogni angolo dell'edificio. Stucchi, dorature, baldacchini, mobili intagliati dai migliori ebanisti... Il salone delle feste è davvero uno schianto anche per chi non ama il barocco: la Palazzina in pratica è nata intorno a questa meraviglia a pianta ovale, sulla cui volta sostenuta da quattro altissime colonne i fratelli bolognesi Giuseppe e Domenico Valeriani dipinsero - ovviamente - il Trionfo di Diana.


stupjpegjpg

(Stupinigi, salone dei ricevimenti                  foto Roberto Orlando)


Da questa residenza così bella, comunque considerata formalmente la dependance venatoria della vicina Reggia di Venaria, sono passati tutti i grandi dei due secoli a venire: qui si sposò per esempio il conte d'Artois, futuro Carlo X re di Francia, con Maria Teresa di Savoia; soggiornò il re di Napoli Ferdinando I di Borbone; passò la notte Napoleone Bonaparte prima di conferirsi l'investitura di re d'Italia a Milano con la Corona Ferrea. E per restare in famiglia trovò qui la quiete della villeggiatura anche la sorella dell'imperatore, Paolina Bonaparte, moglie del governatore generale del Piemonte, il principe Camillo Borghese (il principe Borghese a me ha sempre fatto sorridere) e i cui lombi scolpiti dal Canova, forse i più belli della Storia dell'Arte, si possono ammirare a Roma, a Galleria (ovviamente) Borghese.


leggi TUTTO IL GIRO DI FOGLIEVIAGGI


Ma l'ospite più grande di tutti - e poi taglio perché avevo promesso che sarei andato di corsa - è stato certamente un elefante indiano, l'elefante Fritz, donato nel 1827 dal viceré d'Egitto Mohamed Ali (non scherzo) al re Carlo Felice di Savoia. Fritz era grande, grosso e irritabile: le tracce della sua irruenza distruttiva ci sono ancora nella Palazzina. E così venne abbattuto, imbalsamato e sistemato al Museo di storia naturale di Torino, dove si trova tuttora.


Castello-di-Racconigi_facciata-sudjpg

(Racconigi    foto dal sito museale del Piemonte)


Voltate le selle alla Palazzina di Caccia, dopo una trentina di km i corridori del Giro si troveranno a sfilare davanti a un'altra residenza sabauda, il Castello reale di Racconigi. Noi invece ci fermiamo. Racconigi, al di là dell'assonanza e della comune appartenenza al patrimonio dell'umanità dell'Unesco, è molto diversa da Stupinigi. Intanto è nato tre secoli prima e poi si trova in provincia di Cuneo. Non è irrilevante, soprattutto per ragioni di rivalità storica con Torino. Il castello di Racconigi nasce come fortificazione e quindi l'aspetto è più spartano di quello di Stupinigi, anche se nel corso dei secoli ha subito diverse modifiche. Le più importanti però sono due: una nella seconda metà del Settecento, in chiave neoclassica, e l'altra nella prima metà dell'Ottocento per volontà del re Carlo Alberto - padre dello Statuto albertino nonché del primo re d'Italia, Vittorio Emanuele II - che la elesse a dimora reale e a sede delle "Reali Villeggiature". 

Ma Racconigi è stata amata anche, ironia della sorte, dall'ultimo re di Italia Umberto II, il re di maggio, e da sua moglie, l'ultima regina, Maria Josè del Belgio, che avevano ricevuto la residenza come dono di nozze. A Racconigi l'ambiente di maggior pregio è considerato il Gabinetto Etrusco, da dove Carlo Alberto amministrava il regno durante le vacanze. L'ambiente è decorato con riferimenti alle scoperte archeologiche del periodo e per questo si chiama così. La sala dei ricevimenti è invece la più sontuosa del castello, mentre molto più particolare è il cosiddetto Appartamento Cinese, la cui tappezzeria è in carta di riso dipinta a mano con motivi orientali, acquistata a Londra a metà Settecento.  

Castello-di-Racconigi_Salone-dErcolejpg

(Racconigi      foto dal sito museale del Piemonte)

Se vuoi infine vedere quanto si somigliassero i nobili rappresentanti del casato dall'origine ai giorni nostri ti puoi intrattenere (io ammetto di essermi arreso presto) nella Galleria dei Ritratti, creata proprio da Umberto II con paziente opera di collezionismo. Sono interessanti la cucina del castello e il parco, con i suoi duemila alberi e il raffinato sistema di canali che alimentano un lago: visita obbligatoria.

Ma ora corriamo, dài, la tappa è ancora lunga. Se vuoi fermarti a Carmagnola, la capitale del marchesato di Saluzzo, possiamo anche metterci a tavola perché qui, tra il medioevo e il barocco del centro storico, si possono gustare ben tre eccellenze dei prodotti tipici piemontesi: i peperoni di Carmagnola, il porro dolce lungo, e il delizioso coniglio grigio, presidio Slow Food. Se hai ancora un momento ti segnalo anche la chiesa di Sant'Agostino che fuori sembra un'anonima chiesa ottocentesca, ma dentro è una cattedrale gotica.  Ma da Carmagnola non te ne puoi andare senza aver dato un'occhiata alla riserva naturale della Lanca di San Michele detta anche del "Po morto". Storia straordinaria. In pratica nel 1977 a causa di una piena il Po decide di tagliare una curva, creando così una lanca appunto, cioè un piccolo ecosistema dove resistono alcune piante molto rare e si rilassano numerose specie di uccelli acquatici tra cui il martin pescatore. Pescatore però vuol dire anche mare. E infatti a Carmagnola c'è un Museo Navale. Incredibile. Ma una spiegazione logica in realtà c'è: siccome qui si coltivava la canapa e molte piccole aziende locali la lavoravano per realizzare cime e vele destinate ai cantieri navali liguri (ma anche francesi e inglesi), la tradizione marinaresca è diventata familiare anche in mezzo alla campagna piemontese. Tanto da giustificare un museo.


leri2jpeg

(Il borgo di Leri                                    foto Roberto Orlando)


Il Giro del 160° dell'Unità d'Italia riallaccia un filo diretto con il Risorgimento qualche km più in giù, a Santena. Perché qui c'è il Castello Cavour, ultima dimora di Camillo Benso, padre dell'unità e primo presidente del Consiglio del Regno d'Italia. Qui il conte di Cavour a volte riuniva i ministri. Nella biblioteca del Castello sono custoditi oltre seimila libri, quasi tutti del XIX secolo, e l'archivio di tre grandi famiglie piemontesi. Nello studio Visconti Venosta si trova invece una copia del celebre ritratto di Cavour opera di Francesco Hayez. Non è l’unico ritratto custodito nel castello. Un altro molto famoso, e questa volta originale, è quello del pittore fiorentino Antonio Ciseri. Accanto all'abside della chiesa parrocchiale, nella stessa piazza del castello, c'è invece la tomba di Camillo Benso. Il quale volle essere sepolto accanto al giovane nipote Augusto, morto a vent'anni nella battaglia di Goito. La tomba è monumento nazionale dal 1911.

Senza titolo-2jpg

Poco dopo, rincorrendo i ciclisti, vale la pena di fermarsi a Chieri dove tra seminario, chiese e singolari consuetudini si formò Don Bosco, uno dei santi più celebrati al mondo. Qui a Chieri il prete dei giovani disagiati, il fondatore dell'ordine dei salesiani, aveva studiato, lavorato, era pure diventato saltimbanco per passione e per ragioni di missione. A Chieri un'iscrizione ricorda anche la "Società dell'allegria" fondata da don Bosco e da un gruppo di amici suoi. Tre sole regole per aderire: mai offendere un cristiano, fare i propri doveri scolastici e religiosi ed essere allegri. Il centro storico di Chieri, al di là degli aneddoti salesiani, è caratteristico per la sua pianta urbanistica e per un mix particolarmente ben riuscito tra medioevo e barocco.  Se poi tu volessi esagerare, otto km più avanti, sempre sulle tracce del Giro, si passa da Castelnuovo Don Bosco, paese di tremila anime dove sono nati ben tre santi (Giovanni Bosco appunto, Giuseppe Cafasso e Giuseppe Allamano), ma anche terra di buon vino. Insomma se il tour ti ha seccato la gola puoi scegliere di riempire la borraccia con alcuni vini particolari: la Freisa di Chieri e quella di Asti, la Malvasia di Castelnuovo, l'Albugnano (da uve di nebbiolo più una miscela di altre uve sempre locali), il vecchio Cari (il vitigno ha 4 secoli), la Bonarda, ma anche la Barbera e il bianco Arneis.


leri4jpg

(Leri                  foto Roberto Orlando)            

Se sei ancora lucido, proseguiamo verso la prossima destinazione che il Giro sfiorerà: è un altro luogo davvero particolare e praticamente sconosciuto del Piemonte. Eppure ha un ruolo fondamentale nella vita di Cavour e nello sviluppo dell'agricoltura moderna in Italia. E' un piccolo borgo che si chiama Leri Cavour e lo trovi al limite del nulla, sperduto in mezzo a una campagna sterminata. Poi, se imbrocchi la prospettiva giusta di una delle sue strade. sullo sfondo vedi la sagoma gigantesca e tipica di una centrale nucleare, quella di Trino Vercellese.

La grancia era stata fondata dai monaci cistercensi nell'XI secolo e nel 1822 era stata acquistata dal padre di Camillo Benso, Michele. Era una tenuta molto estesa, addirittura 900 ettari, dove Cavour cominciò i suoi esperimenti per intensificare l'allevamento del bestiame, per impiegare le macchine in agricoltura, per semplificare e accelerare la distribuzione dell'acqua irrigua nelle risaie attraverso un sistema di canali che vide la sua piena realizzazione, qualche anno dopo, con il Canale Cavour, opera idraulica ancora modernissima a livello europeo, che preleva acqua del Po a Chivasso e la trasporta di campo in campo fino a Galliate, nel Ticino, dopo un percorso di 83 km. Leri oggi è un monumento all'incuria, il paradiso dei vandali e degli appassionati di war games. E' tutto distrutto, dalla casa padronale all'ultimo dei fienili. Eppure da qui nei tempi d'oro erano passati Giuseppe Verdi e il re Vittorio Emanuele II, nonché illustri ingegneri idraulici affascinati dalla fantasia creativa e dall'intraprendenza di Cavour. Mah, ogni volta che ci vado non riesco proprio a farmene una ragione.

leri5jpg


Procediamo, è meglio. Prossima tappa Vercelli. Qui devo segnalarti la basilica di Sant'Andrea, costruita tra il 1219 e il 1227. E' davvero bella ed è uno dei più antichi esempi di gotico europeo in Italia. Ma a Vercelli vorrei portarti anche a vedere la sinagoga. E' in stile moresco, torri alte e snelle smuovono il motivo della facciata, contraddistinta da fasce di pietra arenaria di due colori, bianco e azzurro. Fu abbandonata durante il periodo delle leggi razziali, quando la folta comunità ebraica, a Vercelli fin dal XV secolo, si disperse o si nascose per sfuggire alla deportazione nei campi nazisti: le vittime accertate dei lager furono 26. La Sinagoga è stata restaurata di recente e si può visitare su prenotazione.

La Corsa Rosa subito dopo torna tra le risaie, il cosiddetto "mare a quadretti", e punta dritto su Novara dove si immagina il primo arrivo in volata. L'ingresso in città è particolare, perché il distacco fisico dalla campagna non è graduale, ma davvero netto e improvviso. Ed è un po' come  tornare a Torino, all'inizio del Giro. La cupola della basilica di San Gaudenzio, che data l'altezza si vede da lontano, è considerata la sorella minore della Mole. L'autore del resto è sempre Alessandro Antonelli. La cupola sale fino a 121 metri e sulla sua cima in origine era stata collocata una statua in bronzo scintillante di Gesù Salvatore, alta cinque metri. Ora lassù c'è una copia in vetroresina, l'originale è invece dentro la basilica, nel transetto di sinistra. Se hai ancora un po' di energie puoi visitare, nella stessa piazza del Duomo, il Battistero che è l'edificio più vecchio della città e uno dei più antichi di epoca paleocristiana di tutto il Piemonte.

1-la-cupola1jpg

(La Mole di Novara)

Ora però puoi finalmente riposarti, magari dopo un piatto di paniscia al tapulone. Come, che cos’è? E’ la ricetta più antica della zona, a base di riso e carne d’asino. Ma se diffidi c’è sempre il risotto al gorgonzola. Oppure, se hai fortuna, rane fritte.


*ROBERTO ORLANDO (Nato a Genova in agosto, giornalista professionista dal 1983. Ultimo capocronista del Lavoro. Dopo uno scombinato tour postrisorgimentale che lo conduce in molte redazioni di Repubblica è rientrato tra i moli della Lanterna. Viaggia, fotografa e scrive. Meno di quanto vorrebbe)

clicca qui per mettere un like sulla nostra pagina Facebook
clicca qui per seguirci su Twitter
clicca qui per consultarci su Linkedin
clicca qui per guardarci su Instagram