Santo Stefano di Sessanio: torna la Torre e rinasce il borgo dei Medici e della lana

di STEFANO ARDITO*

 

Da qualche settimana, un piccolo grande pezzo dell’Abruzzo è tornato finalmente al suo posto. La torre cilindrica che sorveglia Santo Stefano di Sessanio è stata il simbolo del borgo a partire dal Cinquecento, quando quest’angolo del Gran Sasso apparteneva ai Medici di Firenze.

Il terremoto del 6 aprile 2009, che ha devastato L’Aquila e i centri vicini, ha fatto meno danni nei borghi di pietra del Gran Sasso. A Santo Stefano case e palazzi sono rimasti quasi intatti. Ma la torre, appesantita da un pesante tetto in cemento, è crollata.

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Da allora solo uno scheletro di tubi metallici ha segnalato ai residenti e ai forestieri la sua posizione e le sue dimensioni. Nei primi anni, quei tubi erano un segno di speranza. Poi, con il passare del tempo, sono diventati un simbolo triste.


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(Santo Stefano di Sessanio    foto di Stefano Ardito)


Negli ultimi mesi la torre è tornata al suo posto. I lavori per la ricostruzione sono finiti d’inverno, poi c’è voluto altro tempo per attrezzarla per i visitatori. Venerdì 8 ottobre, finalmente, i residenti di Santo Stefano e molti innamorati del Gran Sasso festeggiano la riapertura. “E’ un momento straordinario. Dopo il restauro della Torre concluderemo quelli del palazzo baronale e della chiesa” sorride il sindaco Fabio Santavicca.

Santo Stefano di Sessanio, 1250 metri di quota, è uno snodo della storia e della geografia del Gran Sasso. Qui la strada che sale dall’Aquila raggiunge i dossi ondulati che precedono Campo Imperatore, il “piccolo Tibet” d’Abruzzo.


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(La torre provvisoria dopo il terremoto     foto di Stefano Ardito)


Ogni autunno, dall’epoca dei popoli italici, le migliaia di pecore che avevano trascorso l’estate sui pascoli ai piedi del Corno Grande scendevano verso la Piana di Navelli insieme ai pastori e ai cani. Poi, lungo il Tratturo Magno, iniziavano il loro viaggio verso il Tavoliere di Puglia. In primavera, tornavano per lo stesso percorso.

L’economia della pastorizia transumante ha raggiunto l’apogeo nel Cinquecento, quando a spostarsi erano cinque milioni di pecore all’anno. I tratturi, larghi 110 metri, erano protetti da leggi severe.

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I Medici, che basavano il loro potere e la loro ricchezza sulla lana, hanno acquistato nel 1579 Santo Stefano. Sulla porta all’ingresso del borgo, campeggiano le sei “palle” dello stemma della famiglia fiorentina. Basta uno sguardo alle mura, ai palazzetti nobiliari e alle chiese, per capire che la lana generava una ricchezza diffusa.

Raccontano di un relativo benessere, intorno a Santo Stefano di Sessanio, anche gli altri borghi della baronia medievale di Carapelle. Castel del Monte, il più alto, a due passi dal tesoro verde dell’altopiano. Calascio, con la sua Rocca che è diventata uno dei simboli dell’Abruzzo, e dove Michelle Pfeiffer nel 1985 ha girato Lady Hawke.


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(La Torre medicea     foto di Gabriella Di Lellio)

Rimangono un po’ fuori mano Castelvecchio e Carapelle Calvisio, che sorgono più in basso di Santo Stefano, e si affacciano sul Sirente e sulla Piana di Navelli. Tra i campi di quest’ultima, quasi novanta anni fa, è tornato alla luce il Guerriero di Capestrano, la statua più nota dell’Abruzzo antico.    

Poi, tra l’Otto e il Novecento, la ricchezza degli altopiani d’Abruzzo è svanita. L’arrivo della lana made in Manchester, e poi di quella della Nuova Zelanda ha rovinato il mercato, e i borghi si sono rapidamente svuotati.


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(Santa Maria del Monte di Paganica e il Monte Camicia     foto di Stefano Ardito)


Dopo l’emigrazione verso gli Stati Uniti e l’Argentina è arrivata quella verso Roma, Pescara, il Triangolo industriale e l’Europa. Nel 1956, nell’esplosione della miniera di Marcinelle, in Belgio, hanno perso la vita 60 minatori abruzzesi. Alcuni, ricordati da un monumento, venivano da Castel del Monte. 


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Nel Novecento anche in Abruzzo è arrivato il turismo, ma i borghi della Baronia sono rimasti tagliati fuori. Aquilani e romani andavano a sciare a Campo Imperatore, teramani e marchigiani ai Prati di Tivo. In estate, escursionisti e alpinisti hanno iniziato ad affollare le vette del Corno Grande e del Corno Piccolo, ma Santo Stefano e i borghi vicini sono stati scoperti più tardi.

Trent’anni fa Daniele Kihlgren, milanese di origini scandinave, ha realizzato a Sessanio un albergo diffuso, e ha avuto subito successo. Lo stesso è accaduto a Paolo Baldi e Susanna Salvati, romani, che hanno trasformato in un rifugio-albergo uno degli edifici abbandonati di Rocca Calascio.

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(Il rifugio del lago Racollo     foto di Stefano Ardito)

Negli stessi anni sono nate le piste per lo sci di fondo sull’altopiano, e scialpinisti arrivati da mezza Europa hanno iniziato ad affollare il “Paginone” del Camicia. Oggi le ciaspole, nate qualche anno più tardi, danno lavoro da dicembre ad aprile alle guide escursionistiche e agli accompagnatori di media montagna. Anche i bed&breakfast del paese, e il rifugio del Lago Racollo, lavorano sia in estate sia d’inverno.

In estate, insieme agli escursionisti diretti alle vette, arrivano quelli impegnati sul Sentiero Italia, che a Sessanio fa tappa, e gli appassionati della bici. La versione abruzzese dell’Eroica, l’evento per bici d’epoca nato a Gaiole in Chianti, nascerà ufficialmente nella primavera del 2022. Qualche mese fa, causa Covid, c’è stata una piccola anteprima.    

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(L'anteprima dell'Eroica Gran Sasso       foto di Stefano Ardito)


Ma il turismo, in un luogo speciale come questo, non può essere fatto solamente di sport. Chi visita i borghi della Baronia, da anni, ama inoltrarsi tra le vie lastricate e le volte dei ricetti, i centri fortificati di Castel del Monte e Sessanio. Da Calascio, una strada e una breve passeggiata portano ai bastioni della Rocca, che è un magnifico balcone sull’Abruzzo.

Nel borgo di Santo Stefano, offrono piacevoli soste la bottega di artigianato di Antonella Mantini, e quella di Daula Pannunzio con i suoi lavori al tombolo. Eugenio Ciarrocca, ingegnere, produce delle ottime lenticchie. Il personaggio-simbolo della “nuova Sessanio”, però, è Valeria Gallese.

Nata ad Avezzano, moglie di un pastore e madre di due figli, Valeria ha studiato Veterinaria, si è appassionata alle pecore, ma quando è arrivata sul Gran Sasso ha scoperto che venivano allevate solo per il latte e la carne. I pastori, invece di vendere la lana, dovevano pagare per smaltirla come rifiuto speciale.


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(2018, manifestazione contro la chiusura della strada di Campo Imperatore     foto di Stefano Ardito)


La situazione è cambiata anche grazie al Parco del Gran Sasso e Monti della Laga, che ha iniziato ad acquistare la lana e a rivenderla alle aziende tessili. Poi Valeria si è messa in proprio, ha creato il marchio AquiLANA, e ha avuto successo. Da qualche anno compra la lana dai pastori, la manda a filare a Biella, e poi la tinge e la lavora all’uncinetto. Dai 50 chili di lana tessuta e venduta nel 2012 è passata ai 6.500 di quest’anno.

Produce berretti, sciarpe e maglioni, usa colori ricavati da piante locali come la ginestra (giallo) e l’iperico (verde). Per ottenere il tortora, immerge la lana nel Montepulciano d’Abruzzo. Da un anno, utilizza nella tintura anche lo zafferano

“Oggi Santo Stefano è una comunità viva e attiva, ma venire a vivere qui è stato duro. Quello dei pastori è un mondo al maschile, una donna che pretendeva di insegnare loro qualcosa è stata accolta malissimo. Poi hanno visto che avevo ragione, e ora collaboriamo bene” spiega Valeria. Dopo i tempi di Lady Hawke, a Santo Stefano di Sessanio sono iniziati quelli di Lady Wool.


*STEFANO ARDITO (E' noto ai camminatori per le sue guide dedicate ai sentieri dell’Appennino e delle Alpi. Giornalista, scrittore, documentarista, scrive per Il Messaggero, Meridiani Montagne, Plein Air e il sito Montagna.tv e Plein Air. Ha lavorato per Airone, Repubblica, il Venerdì, Specchio de La Stampa e Alp. E’ autore di circa 60 documentari, in buona parte trasmessi da Geo&Geo di Rai Tre. Tra i suoi ultimi libri sono Alpi di guerra, Alpi di pace, Premio Cortina Montagna 2015, e Alpini, finalista al Premio Bancarella 2020, entrambi editi da Corbaccio. Ha raccontato di Darjeeling e della cima più alta della Terra in Il gigante sconosciuto - Corbaccio, 2016 - dedicato al Kangchenjunga, e in Everest - Laterza, 2020 -, che celebra i cent’anni della prima spedizione britannica).


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