Albania - Kosovo 5) Theth, le Torri e il Kanun

testo e foto di LUISA PECE* 

Il fascino dell’Occhio Blu non poteva farci dimenticare che questo piccolo villaggio del nord dell'Albania, Theth,  accoglie anche alcune testimonianze storiche importantissime. Durante la piacevolissima passeggiata verso la zona “bassa” del paese abbiamo fatto un incontro speciale, un cane di razza Sharrit, una delle due razze autoctone albanesi. Dalla foto non si intuisce la mole che confermo essere imponente. È un cane tipicamente da pastore, coraggioso, risalente alle origini illire del paese. L’altra razza autoctona è quella dei Molossi, strettamente legati alla figura di Alessandro Magno, il re macedone.

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La strada, ampia e un po’ dissestata, ci ha portato alla deliziosa chiesetta di Theth, costruita alla fine dell’Ottocento, profanata durante il regime e riportata poi al suo antico splendore, un gioiellino in mezzo a un prato dove si respira calma e pace. Pare, e ripeto pare, che qui sia sorta una delle prime scuole in lingua albanese. Purtroppo la chiesetta era chiusa ma è tutto l’ambiente che colpisce il visitatore, incastonato com’è tra le montagne, nel silenzio.


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Lì accanto, in un piccolo cimitero di montagna, un po’ isolata rispetto alle altre, c’è una tomba bianca, di semplice fattura, sempre piena di fiori colorati.


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È la tomba di Robert Elsie, studioso canadese di origini tedesche, noto per i suoi studi sui dialetti albanesi. Amava profondamente l’Albania e vi si era recato innumerevoli volte anche come accompagnatore dei suoi studenti dell’Università di Bonn. E la leggenda vuole che abbia chiesto di essere seppellito proprio qui, a Theth, in quelle Alpi Albanesi che lo avevano affascinato.

Dopo questa parentesi di tranquillità, a poca distanza, abbiamo raggiunto la Kulla e Ngujimit, cioè la Torre di Isolamento.

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Qui occorre molta prudenza nel raccontare. Queste sono le zone in cui più viva fu la tradizione della faida, regolata dal Kanun, raccolta di norme consuetudinarie che regolava la vita degli abitanti della regione, secondo la quale il sangue va pagato con il sangue. Il Kanun fu abolito ufficialmente da Enver Hoxha. Ufficiosamente, nulla si sa.

Quando il membro di una famiglia uccideva un uomo di una famiglia rivale, l’omicida e tutti i maschi del suo clan familiare si rinchiudevano, per anni o anche per tutta la vita, in una di queste torri, senza finestre, con feritoie solo per la canna del fucile. A occuparsi del resto, cioè il bestiame, la terra, la cura dei figli, la sussistenza dei maschi chiusi nella torre erano ovviamente le donne. Mi è stato raccontato, ma non so se ci sono prove a sostegno, che quando la famiglia “offesa” decideva di volere far pace, deponeva uno dei suoi neonati davanti alla porta della torre. Se il neonato veniva portato all’interno, pace era fatta. In caso contrario, dopo qualche ora veniva ritirato dalle donne della famiglia di cui faceva parte e altro sangue scorreva. 

Si entra in uno spazio che definire stanza è azzardato e con una scala a pioli si sale al primo e al secondo piano, costituiti ciascuno da un unico locale decisamente poco confortevole.

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Alle pareti foto/ritratti incorniciati di uomini dall’aria truce, componenti della famiglia, ma anche l’effigie di Lek Dukagjini, contemporaneo di Skanderbeg (XV secolo) che fu l’estensore delle regole ferree del Kanun, come si evince dal rotolo di pergamena che tiene fra le mani.

 

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Si esce un po’ provati da questo luogo che ricorda tempi duri, difficili da comprendere oggi.


LEGGI LA PRIMA PUNTATA   La laguna di Patok

LEGGI LA SECONDA PUNTATA  Il santuario di Kisha e Shen Ndout

LEGGI LA TERZA PUNTATA Verso le faggete del Parco di Theth

LEGGI LA QUARTA PUNTATA  L'Occhio blu



*LUISA PECE (nata a Bologna tanto tempo fa, malata di adolescenza senile, appassionata viaggiatrice, attrice per diletto, un passato lavorativo tra i libri - Il Mulino - , poliglotta, curiosa come un gatto rosso)


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