Ventunesima tappa, Senago-Milano - La cronometro del Duomo e l'aereo che volò una volta sola
di GIORGIO OLDRINI*
E’ l’ultima tappa la Senago Milano, poco più di 30 chilometri a cronometro. Quest’anno niente passerella finale, come di solito si usa, tutti in gruppo ad accompagnare la maglia rosa al trionfo finale. Invece questa volta una corsa individuale contro il tempo, ognuno sta solo sul cuor della terra Lombarda trafitto da un tic tac, per parafrasare Quasimodo. Una lunga cavalcata, nella quale le salite più ripide sono i cavalcavia, che attraversa il Nord Milano, quella che prima era la terra dei gelsi e del frumento e che dal ‘900 è stata la casa della grande industria. La corsa passa da Cormano, dove veniva in ferie da Milano Alessandro Manzoni e quindi i ciclisti rotolano verso Bresso, con il suo Parco Nord. Qui c’era la Breda Aeronautica che produsse aerei dall’alterna fortuna, fino al Bz, l’unico quadrimotore mai costruito in Italia, che nell’immediato dopoguerra venne fermato dagli Stati Uniti che temevano facesse concorrenza al loro Costellation. Ne fu costruito solo un esemplare che venne portato dagli operai in corteo lungo le strade della città che oggi percorrono i girini per chiedere di iniziare la produzione e che poi finì misteriosamente la sua vita in un aeroporto di Mogadiscio. I ciclisti passeranno vicino al piccolo aeroporto, ricordo di quell’epoca industrialmente gloriosa che oggi ospita piccoli aerei dell’aviazione generale.
(Parco nord di Bresso)
Nel 1957 avevo 11 anni e proprio qui mi portarono a vedere sfrecciare il Giro Adriano, cugino di mio padre, bel ragazzone che aveva un’auto con cui percorreva il nord Italia per vendere tessuti, e mio zio Peppino, operaio alla Garelli. Passarono tutti insieme i girini, e alcuni gettarono le borracce verso il ciglio della strada. Non c’erano evidentemente regole assurde e zone verdi dove si potevano gettare le borracce come ora, e l’AdrIano ne afferrò una che mi regalò. C’era scritto il nome del proprietario, Raymond Impanis, un belga di cui ignoravo l’esistenza, ma che da quel momento divenne uno dei miei ciclisti preferiti. Ad ogni corsa cercavo il suo nome tra gli arrivati, e spesso non lo trovavo.
(San Babila)
A Sesto San Giovanni la corsa sfilerà accanto alla pista ciclabile che quando ero sindaco avevo deciso di intitolare a Luigi Malabrocca, la maglia nera. Mi aveva affascinato la storia di questo ciclista con qualche vittoria nel suo palmares, ma certo non un grande campione. Arrivava quinto, decimo e i premi erano miseri. In una tappa arrivò per caso ultimo e scoprì che lo riempivano di regali. Qualche prosciutto, i soldi di una colletta. Si presentò persino un pastore regalandogli una pecora. “Sono l’ultimo di sette fratelli e so cosa vuol dire essere l’ultimo. Tieniti la pecora”. Malabrocca scoprì che il mondo si può vedere benino anche alla rovescia e da allora si impegnò ad arrivare ultimo, ma senza finire fuori tempo massimo. Meglio in coda a tutti che quinto o decimo. Per due anni fu l’incontrastata maglia nera del Giro, ma poi, come spesso succede agli innovatori di successo, cominciarono ad esserci gli imitatori e se era duro arrivare primi, lo fu anche essere gli ultimi.
Da Sesto San Giovanni il Giro arriva a piazzale Loreto di Milano, dove è passata nel 1944 e nel 1945 la storia. Prima, il 10 agosto del 1944, sul piazzale furono fucilati 15 antifascisti, lasciati lì per un giorno intero perché tutti vedessero cosa succedeva a chi osava lottare contro fascisti e nazisti. Poi nell’aprile del 1945 vi furono appesi i cadaveri di Mussolini, della sua amante Claretta Petacci e dei gerarchi fascisti fucilati a Dongo. Ora piazzale Loreto è un grande spartitraffico, ma proprio in queste settimane il Comune di Milano ha presentato un progetto di recupero, fatto di verde, di riduzione del traffico, di piste ciclabili. Chissà se in una prossima edizione il Giro passerà dal nuovo piazzale Loreto.
(Piazzale Loreto)
In fondo alla lunga via commerciale di Buenos Aires ecco piazza San Babila e poi, finalmente, il Duomo, il cuore di Milano. Per l’ultima pedalata di questo Giro, al suono dell’ultimo tic tac che risuonerà sotto la Madonnina, la testimone della vita di Milano. E poi la festa, la premiazione per la maglia rosa e per tutti gli altri che hanno vinto qualcosa. Non ci sarà il premio per la maglia nera, che non è più prevista in questo tempo che ormai non sa guardare il mondo anche al contrario. Nessuna pecora per il Malabrocca di oggi. Ma io scorrerò l’ordine d’arrivo per mandare a memoria il suo nome.
*GIORGIO OLDRINI (Sono
nato 9 mesi e 10 giorni dopo che mio padre Abramo era tornato vivo
da un lager nazista. Ho lavorato per 23 anni all’Unità e 8 di questi come
corrispondente a Cuba e inviato in America latina. Dal 1990 ho lavorato a Panorama.
Dal 2002 e per 10 anni sono stato sindaco di Sesto San Giovanni. Ho scritto
alcuni libri di racconti e l’Università Statale di Milano mi ha riconosciuto
“Cultore della materia” in Letteratura ispanoamericana)
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