Ventimiglia porta d'Occidente, profumo di mare nelle grotte dei Cro-magnon

testo e foto di ROBERTO ORLANDO*

Ventimiglia mi è sempre sembrato un luogo lontanissimo, anche se ho trascorso buona parte della mia vita a Genova. Dev'essere perché quand'ero bambino dopo aver letto Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne (e ora forse ti spieghi perché mi piace viaggiare) mi pareva che la differenza tra ventimila e Ventimiglia fosse davvero ridicola: giusto lo spazio di una g e di una i. Invece, primo colpo di scena, la misura della distanza non c’entra proprio nulla con il nome della città e poi ti racconto perché.


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(Ventimiglia alta)


Così l'altro giorno sono saltato in auto e, sfidando gli autovelox collocati ad ogni lega, ho raggiunto la "Porta d'Occidente" del nostro bel Paese in poco più di un paio d'ore, come del resto era facile prevedere anche senza l'ausilio del navigatore satellitare. Km percorsi 163, ossia molti meno di ventimila leghe, però anche molti di più dello spazio di una g e di una i. Una via di mezzo, insomma.

Da Ventimiglia di solito si passa per andare altrove, oltreconfine, magari semplicemente fino in Francia oppure, se hai voglia e tempo, fin dove finisce l'Europa e comincia l'oceano.

E quando ci passi soltanto, da Ventimiglia, vedi le parti meno gradevoli della città: ad esempio un intrico spaventoso di svincoli che ti fanno girare in tondo e poi come una specie di acceleratore gravitazionale ti sparano verso la tua destinazione. E quindi tutto quello che vedi sono tir, guardrail e segnali stradali in gran quantità e di ogni genere.    

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(La Cattedrale di Ventimiglia)


Ma stavolta esco, seguo le indicazioni per Ventimiglia, imbocco uno svincolo ben più micidiale di quelli genovesi descritti in una famosa canzone di De Gregori, e mi dirigo senza indugio verso la frontiera, lungo l’Aurelia. Perché oggi ho in mente un piano: visitare la parte vecchia della città, ossia Ventimiglia Alta. Così alta che lo scirocco si infrange sulla costa rocciosa in modo fragoroso e con tutto il suo profumo di mare, ancora gonfio di umidità salmastra. Siamo a Ventimiglia ma c’è aria d’Africa, ti affacci verso il mare e hai l’impressione netta e precisa di Mediterraneo che mescola tutto e che mi fa sentire a casa. Dai bastioni si vede bene il mare: è proprio verde acqua marina, mosso, e l’onda monta. E’ così che capisci meglio che questa non è una città di transito, una città di frontiera, e che la storia per molti secoli era andata in un altro modo prima che si segnasse qui il confine tra Italia e Francia.


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(Facciate restaurate di Ventimiglia alta)


La storia qui comincia nella preistoria e poi lascia tracce più rilevanti in periodo preromano e romano, con tanto di immancabile anfiteatro. Che si trovava, e si trova ancora come reperto archeologico, ad Albintimilium, che è il nucleo originale dell’insediamento urbano, vicino alla foce del fiume Roja. E così torniamo alla vera storia dell’origine del nome. Albintimilium e l’unione tra due espressioni della lingua dei liguri: Albom, cioè città capoluogo, e Intemeliom, nome della popolazione autoctona. Quindi letteralmente e semplicemente “Città degli intemeli”. Poi arrivano i romani, poi arrivano le storpiature linguistiche e di bocca in bocca si approda ad Albintimilium, nome foneticamente assai prossimo a Vintimilium che nel Medioevo diventa Vintimilia. E il gioco è fatto: in italiano fa Ventimiglia, toponimo che con l’avvento dell’automobile nella segnaletica stradale viene abbreviato così: XXmiglia. Per questo tutti credono oggi che il nome derivi dal calcolo di una distanza, anche perché, sia pure per una singolare coincidenza, effettivamente Ventimiglia dista da Nizza 20 miglia marine. Questo aneddoto aiuta anche a spiegare perché gli abitanti di Ventimiglia si chiamano solo formalmente ventimigliesi, però tutti preferiscono definirsi intemeli, ossia i discendenti più diretti dell’uomo di Cro-Magnon, una delle etnie più antiche tra i bipedi europei.

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(Un vicolo verso il mare)


In realtà ti ho fatto tutto questo preambolo etimologico soltanto per dirti che a Ventimiglia, quella bassa, c’è un anfiteatro romano da vedere: non è uno dei più grandi, conteneva “solo” duemila spettatori, però è ben conservato.

Invece quassù a Ventimiglia Alta devi assolutamente visitare la cattedrale di Santa Maria Assunta, chiesa pure lei molto antica, addirittura protoromanica, ma anche tardoromanica e infine un po’ barocca. Ultimo intervento di modifica a fine Ottocento, con l’aggiunta di una nuova facciata in stile neo romanico. Poi nella seconda metà del secolo scorso l’archeologo Nino Lamboglia si prende la briga di smontare un po’ di sedimentazioni di stili in saecula saeculorum e decide che è giunto il momento di riportare il tutto all’essenzialità della nuda pietra originale. Si smontano gli altari barocchi, via gli stucchi cinquecenteschi e la cattedrale torna ad essere nuda e cruda, anche in parte ricostruita secondo gli schemi originali. Alcuni oggi se ne lamentano: intervento troppo drastico. Io, non avendola mai vista tutta addobbata, ne sono invece rimasto affascinato: mi sembra luogo mistico, immerso in un’atmosfera di religiosità intima, senza fronzoli, eppure assai evocativa.


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(Il battistero della cattedrale)


Tieni conto che accanto all’abside di sinistra, c’è un singolare battistero sotterraneo, antico quanto la cattedrale, al centro del quale si trova una grande vasca del XIII secolo per l’immersione del “battesimando”. La pianta è ottagonale e su ogni lato sono esposti in mostra reperti architettonici e piccole sculture di epoche remotissime.

Nella piazza della cattedrale c’è un bistrot che si chiama così perché siamo a un passo dalla Francia, però prepara piatti deliziosi della tradizione ligure di Ponente, dalle tortine di verdure al brandacujun.

Lo spuntino sollecita una passeggiata per il centro storico. Ventimiglia Alta a quest’ora è silenziosa, quasi assorta nella sua decadenza che per di più sembra essersi cristallizzata nel secolo scorso. E’ una parte della città molto usata, vissuta, e bisognosa di restauri. E dove questi sono stati già eseguiti, inevitabilmente sbucano sulle facciate delle case le tinte calde tipiche della riviera ligure. Però i colori ravvivati dal pennello omologano questi vicoli così originali a quelli di tutti gli altri borghi della regione. E invece qui, sia pure malandato, scortecciato dal sole e dallo scirocco, c’è qualcosa di più e di diverso. C’è la storia scritta sulle pietre delle case e magari cancellata dai diversi conquistatori che si succedono nei secoli; c’è la bottega ristrutturata negli anni Sessanta e poi rimasta così con le sue vetrine di profilati dorate e le sue maglie a conchiglia, c’è un’edicola rimasta esattamente com’era nel giorno della fondazione che espone i ritagli delle testate di periodici d’antan, ingiallite ma ancora nel pieno delle loro funzioni, se lo scopo è ricordare un tempo che non c’è più.


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(L'Oratorio dei Neri)


A metà strada, ti segnalo l’Oratorio dei Neri. Prende nome dalla Confraternita che lo fece costruire e che si chiamava così perché gli adepti indossavano un mantello nero. Ma a parte la pregevole architettura barocca, l’elemento che colpisce è la scultura di un Cristo a grandezza naturale deposto sulla sua sindone, sistemato proprio davanti all’altare. Inconsueto, altamente simbolico e un po’ spiazzante. Però quel corpo esanime nel gesto e nei colori, adagiato su un telo bianco, illustra bene il mio immaginario sull’origine della Sindone.

Quando esci da lì, se vai di corsa ti perdi cose curiose. Per esempio non puoi notare alcuni bassorilievi, con i simboli di famiglie nobili intemelie, cancellati a colpi di scalpello dagli invasori della Repubblica di Genova, che a più riprese a partire dal 1140 cercarono di impadronirsi del borgo per riuscire nell’impresa solo nel 1220. Nella storia di Ventimiglia durante la dominazione genovese ci sono diverse vicende curiose, ma te ne segnalo una in particolare: nel Cinquecento, siccome la gestione amministrativa della città era piuttosto onerosa, la Repubblica decise di cedere la sovranità su Ventimiglia e dintorni al Banco di San Giorgio. Il quale per mezzo secolo cercò di far quadrare i conti senza successo, nonostante l’impegno, e alla fine decise di restituire al mittente l’intero pacchetto.


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(L'edicola d'epoca)

Se prosegui lungo la retta (quasi) via che attraversa il centro storico a un certo punto raggiungi la chiesa di San Michele Arcangelo. Fu voluta nel X secolo dai conti di Ventimiglia, all’epoca signori del “libero comune”, come cappella gentilizia. Rimaneggiata in stile romanico nell’XI e nel XII secolo, fu parzialmente distrutta dal terremoto del 1628. Infatti delle tre navate originarie oggi è rimasta soltanto quella centrale. Un’altra curiosità, poi ti porto al mare. Nella chiesa si trovano tre pietre miliari della via Julia Augusta che sono utilizzate come acquasantiere. Perché noi in Liguria non buttiamo mai via niente...

Ora però scendiamo verso il mare, anzi, ci balziamo: ti porto ai Balzi Rossi che in realtà, escludendo il (poco) funambolico gioco di parole, non trattasi di salti, ma di sassi, secondo l’origine dialettale del toponimo. Rossi perché lì la roccia è così, color della ruggine ferrosa. Però l’acqua del mare è fantastica: ha i colori degli smeraldi, oppure è di un azzurro chiarissimo, come quando il cielo si specchia sul ghiaccio. Forse sarà per il bianco dei ciottoli arrotondati che compongono la “Spiaggia delle uova” e che si spingono per qualche metro anche sotto la superficie del mare. La spiaggia, essendo bianchissima è sempre freschissima, anche quando il sole martella a picco.


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(I Balzi rossi)


E’ destino che anche qui Ventimiglia evochi i miei ricordi più antichi, in questo caso dovrei definirli primordiali. Perché questo è uno dei siti archeologici più importanti del Mediterraneo: nel complesso delle 15 grotte vista mare che si estendono proprio qui dietro la spiaggia bianca viveva il cugino bello di Neanderthal, ovvero l’uomo di Cro-Magnon, uno degli anelli fondamentali dell’evoluzione dell’Homo Sapiens, di cui da bambino ammiravo le figure nell’altrettanto leggendaria enciclopedia Conoscere. Cro-Magnon era alto in media 1 metro e 75 ma ci sono i resti anche di omaccioni di 1 metro e 90. E doveva essere tutt’altro che stupido, vista la straordinaria bellezza dei luoghi in cui aveva deciso di stabilirsi. Cro-Magnon scolpiva la pietra in modo ammirevole (deliziose statuine di donne prosperose rivenute qui ai Balzi sono custodite a Parigi) e incideva bellissime figure di animali domestici nelle pareti di casa, cioè queste grotte di calcare dolomitico che si erano formate nel Giurassico, all’epoca dei dinosauri.  


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(Il Museo dei Balzi rossi)


Ai Balzi Rossi nell’800 è stata scoperta anche una sepoltura che risale a 25mila anni fa, nella quale sono stati trovati gli scheletri perfettamente conservati di un adulto e di due giovani che dovevano avere pure un certo rango sociale. Accanto a loro erano stati sistemati gli oggetti del corredo funebre: pendagli in osso elegantemente lavorati, lame di selce, conchiglie forate e denti di cervo.

Il primo a finanziare un museo per custodire questi preziosi reperti fu sir Thomas Hanbury, nel 1898. Un museo proprio in riva al mare che è stato ricostruito di recente e dipinto con i colori del luogo, tanto da confondersi con le grotte che si trovavo proprio alle sue spalle e che si possono in parte visitare.


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(Villa Hanbury)

Però sir Hanbury è divenuto ben più famoso per un’altra iniziativa da vero visionario e che ancora oggi rappresenta uno dei motivi principali per fermarsi a Ventimiglia, e per la precisione alla Mortola. Ovvero i Giardini di Villa Hanbury, che traducendo liberamente significa tutta la flora del mondo in un solo luogo, stretto tra il mare e la montagna. Qui resiste un microclima esclusivo che consentì a Hanbury di mettere radici, non solo in senso figurato, e quindi di coltivare specie vegetali provenienti da tutti i continenti, disposte con grazia e filo logico intorno alla villa in cui si era stabilito con la moglie dopo una vita di avventura e grandi fortune accumulate grazie all’importazione di tè, cotone e seta dall’Estremo Oriente. Un benefattore, anche, sir Thomas, da Shangai fino a Ventimiglia.

Quando verrai da queste parti, anche se la destinazione fosse la Costa Azzurra, ai Giardini ti dovrai fermare. Non hai proprio scuse: qui ci sono fioriture in tutti i mesi dell’anno, non fa mai freddo davvero e se c’è scirocco come oggi il mare romba e spumeggia su una secca poco al largo, completando così la magia del paesaggio, lontano ventimila leghe da quanto tu possa immaginare. E da quanto io riesca a descrivere.


*ROBERTO ORLANDO (Nato a Genova in agosto, giornalista professionista dal 1983. Ultimo capocronista del Lavoro. Dopo uno scombinato tour postrisorgimentale che lo conduce in molte redazioni di Repubblica è rientrato tra i moli della Lanterna. Viaggia, fotografa e scrive. Meno di quanto vorrebbe)

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