Tripoli, le Mille e una notte del Libano

foto e testo di LUCA FORTIS*

Le persone si muovono nel labirintico suq, si fermano a guardare la merce, chiedono informazioni, comprano. Nonostante la crisi economica e politica, tutto pulsa di vita. Forse perché Tripoli è sempre stata più povera delle altre città libanesi e conosce l’arte dell’arrangiarsi, in città l’impatto della crisi e del covid è meno evidente.

È tutto un camminare, un contrattare, un guardare,  un fiume carsico fatto di anime e storie le cui pareti non sono grotte, ma un’architettura dai tratti magici, fra le più belle dei grandi centri urbani del paese.

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Non ha le mille anime e diversità di Beirut, qui il contrasto è tra montagne e mare. Tripoli ha un’atmosfera ottomana, dove domina l’anima sunnita, pur avendo anche minoranze cristiane. Qui l’architettura e l’anima è quella delle città di mare dei grandi califfati e imperi musulmani di un tempo; ma è attorniata da campagne e montagne in cui la popolazione è in maggioranza di fede cattolico maronita. Qui si può cogliere bene la differenza tra i porti del Levante, luoghi dalle mille influenze, centri di potere del mondo prima bizantino e poi islamico e le montagne attorno, dove molti maroniti si arroccarono per sfuggire al mare e ai tanti popoli e influenze che portava con sè. Se le città di mare sono islamiche o cristiane ortodosse, le montagne in Libano sono piuttosto il regno dei cattolici maroniti e dei drusi. I libanesi scherzando e generalizzando amano dire che i cristiani ortodossi e i sunniti sono gente di mare, mentre i cristiani maroniti, i drusi e i musulmani sciiti gente di campagna e di montagna.


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La città è quella che in Libano ha più conservato la grande architettura araba, crociata e ottomana. È anche la città che assomiglia di più ai grandi centri urbani della vicina Siria.

Tra gli intricatissimi e labirintici vicoli del centro storico svetta il minareto della moschea Al Mansouri, un tempo campanile della cattedrale crociata. I due stili si sono fusi completamente, creando un edificio dalla grande armonia.


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Poco dopo la splendida moschea, entrando nel suq, si trova a destra un bellissimo hammam ormai in disuso, con cupole ricoperte da piccole finestre tonde, chiuse da vetri colorati, che formano un ideale mosaico dai mille colori e giochi di luce. Perdersi nelle sue stanze apre mondi infiniti.

Di fronte, sul lato sinistro della stessa strada, si trova una piccola moschea molto graziosa. In questa parte del suq vi sono molte botteghe di gioiellieri. Poco più avanti, entrando in un vicolo a sinistra si trova un bell' hammam ancora in funzione, dove è possibile fare vari trattamenti.

Nella via parallela a destra si incontra la parte del suq che vende verdura, frutta, carne, pesce, spezie, dolci e ogni genere alimentare. Qui la vita diventa davvero esplosiva, teatrale, antica e moderna allo stesso tempo. È sicuramente una delle parti più suggestive del suq. Venditori e acquirenti, ogni giorno, prendono parte a questo momento di “live theater”.


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Si compra e si vende per vivere, per nutrirsi, per il piacere della cucina e della convivialità. Ci sono anche botteghe dove fermarsi a mangiare l’ottimo cous cous locale, chiamato Moghrabiyeh, fatto con ceci, cipolla, spezie e palline giganti, molto più grandi del cous cous di semola nord africano.

Chi ha letto l’edizione delle Mille e una Notte pubblicata da Feltrinelli e tratta da un manoscritto siriano del 1700, può ritrovare in queste vie molte delle immagini descritte in quelle narrazioni. Il testo testimonia come fossero i famosi e antichi racconti prima che l’orientalista francese, Antoine Galland di fatto li censurasse dai riferimenti erotici e poetici, considerati dagli europei troppo forti o lontani dalla morale dell’epoca.



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L’edizione siriana tradotta da Mushin Mahdi, arabista di Harvard, da cui è tratta l’edizione Feltrinelli, è ricolma di elenchi di cibi, frutti, vini o perfino di nomi di parti intime citate in giochi erotici. Gli elenchi diventano quasi delle litanie. È ricca di poesie in cui la bellezza femminile e maschile viene celebrata e dove i volti e gli occhi delle persone diventano sensuali e vivi. Le avventure dei protagonisti delle storie, in cui esseri umani e Jinn, i tradizionali spiriti buoni o cattivi che tanta importanza avevano nella cultura locale, potrebbero avere tranquillamente come palcoscenico queste vie. In fondo, nelle storie si parla di amori, di ricerca della ricchezza o del benessere spirituale, del potere, della corruzione e della lotta contro di essa. Si racconta della ricerca di Dio, dell’avventura, dell’amicizia e del piacere. Ma soprattuto si parla di donne che combattono per i propri diritti e che grazie alla loro intelligenza li conquistano. Tutti temi universali e probabilmente ancora attuali in qualunque paese.


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Questo lato del bazar sta alle pendici della montagna su cui si erge il castello crociato e poi mamelucco. Tra i labirinti di archi, palazzi e vicoli del suq, alcuni archi si aprono su delle scale che si arrampicano lungo il pendio, scalinate attorniate da un intrico di antichi palazzi e vicoli splendidamente conservati e rimasti profondamente popolari allo stesso tempo.  

Vale la pena girovagare tra queste viuzze prima di salire al castello. Sono luoghi pieni di vita, dove gatti e bambini si rincorrono e con antiche abitazioni, addossate una all’altra, ricolme di storie di vita vissuta.


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Giunti al castello crociato, ci si deve perdere all'interno. Il maniero, costruito sopra un santuario fatimida e altre antiche costruzioni, ha conosciuto varie fasi e dopo i crociati ognuno dei regnanti musulmani che si sono susseguiti nei secoli ha lasciato il suo segno.


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Facendo attenzione a dove si mettono i piedi, per evitare di precipitare nelle  molte buche, si può entrare in torri, sotterranei e anfratti di ogni genere. In alto si gode di una vista strepitosa sia verso il centro storico sia verso il quartere di Mina, con la sua “corniche” sul mare. Si vede in un solo colpo d’occhio tutta la baia, fino alla vicina costa siriana. Dalle torri che danno verso le montagne si scorge invece il fiume della città che attraversa ripide colline, con i quartieri popolari che si aggrappano letteralmente alla viva roccia.

Uscendo dal castello e scendendo per le stesse scale percorse prima, si torna nel medesimo punto del suq. Ripercorrendo indietro la galleria in cui si vendono i generi alimentari ci si avvicina alla parte del suq che costeggia il torrente. All’incrocio si trova una splendida piccola moschea, passata la quale vi sono alcuni artigiani del legno che fanno forme e stampi per dolci e altri generi alimentari.  


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Raggiungendo il lungofiume si trova un’altra moschea che ha un bel Mirab con un piccolo mosaico dai medesimi colori di quelli della Grande Moschea degli Omayyadi di Damasco.

Visitata la moschea, si rientra nel suq da una via con tanti archi aperti sul cielo, attraverso la quale si giunge a un caravanserraglio dove gli artigiani producono saponi artigianali, tra cui quelli di Aleppo.

Se si prosegue si arriva alla zona cristiana, dove si susseguono chiese di confessioni diverse. Durante gli anni delle guerra civile la comunità cristiana della città è diminuita, una parte ha raggiunto zone a maggioranza cristiana del paese. Alcuni sono poi ritornati in città alla fine del conflitto, altri sono rimasti nelle zone cristiane limitrofe.


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Tornando alla grande moschea al Mansouri e superando il suq si trova ancora un’ampia porzione di centro storico con moltissimi monumenti e palazzi di grande interesse. Qui c'è anche la Seed Guest House, un ostello gestito da una ong locale che si occupa di educazione e diritti delle donne. L’ostello è un’ottima base per vedere la città.

Oltrepassata questa parte del centro si arriva a un grande cimitero, affascinante perché ogni tomba ha una fioriera nel mezzo, con delle piante se non degli alberelli. Un grande cimitero giardino, oltre il quale si trova una splendida moschea.

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Prendendo un taxi o facendo una passeggiata, si può visitare il quartiere di Mina e la  “corniche” in riva al mare, e vedere un enorme caravanserraglio, oggi occupato da famiglie povere, probabilmente profughi siriani.

Tripoli è forse la città con maggiori problemi economici del Libano, ma anche la più affascinante. La vitalità ricorda a tratti Napoli o Palermo. I popoli del Mediterraneo si sono mescolati in tutte le  sponde e le similitudini sono evidenti.


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La città ha partecipato attivamente alle proteste di piazza antigovernative degli ultimi due anni e molti analisti si aspettano che i movimenti nati dalle proteste qui possano ottenere buoni risultati alle prossime elezioni parlamentari. Allo stesso tempo però ci sono stati anche disordini o tentativi di infiltrazioni islamiste da paesi terzi, ma per fortuna non sembrano aver attecchito. Tripoli pare essere munita di robusti anticorpi contro chiunque voglia distruggere la sua naturale apertura al Mediterraneo e al mondo. In questa fase le radici profonde della città, la consapevolezza che l’Islam nei secoli ha permesso l’esistenza di mille sfaccettature religiose e culturali, sembrano aver aiutato gli abitanti a non farsi influenzare eccessivamente dagli integralisti islamici, che sussurrano alle loro orecchie ideologie che di islamico non hanno veramente nulla.  

 


*LUCA FORTIS (Mi considero un nomade, sono attratto dai percorsi irregolari, da chi sa infrangere le barriere e dalla scoperta dei tanti “altri”. Ho un pizzico di sangue iraniano. Sono giornalista freelance specializzato in reportage dal Medio Oriente e dalle realtà periferiche o poco conosciute dell’Italia. Lavoro anche nel sociale)


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