Trani, la pietra e l'eternità

di ANGELO MASCOLO*

«Là dove l'Adriatico già promette lo Jonio e perde il verde acidulo sotto le squame d'un azzurro tiepido e denso, questa città che nessuno celebra, Trani, eleva un duomo alto come un'acropoli e una torre che ne misura la distanza dal cielo».

Le parole dello storico dell’arte Cesare Brandi mi ronzano nella testa quando l’autobus, pieno di gente, transita a pochi chilometri da Canosa di Puglia. Davanti a me un abitato di pietre grigie e gialle adagiato su una piana che duemila anni fa fu teatro della rovinosa sconfitta dell’esercito romano a Canne, per mano di Annibale. A scorrere, come un tratto leggero di matita, la città di Andria, orgogliosa e geometrica. Canosa e Andria, due paesi. Un’unica promessa: spianarmi la strada di Trani.

20130414_153848jpg(foto di Angelo Mascolo)

Quando arrivo nella piazza principale della città – cinta come un diadema dalla cattedrale di San Nicola Pellegrino e dal Castello di età sveva – le parole di Brandi, ricordate in viaggio, assumono una forma concreta e piena. Diventano pezzi di quella roccia gialla e impenetrabile di cui Trani è rivestita in ogni sua parte. Ed è vero: il duomo di San Nicola che si staglia sul sagrato alla stregua di un atleta forte ed agile è un’acropoli. Il punto più alto che gli uomini hanno fissato per arrivare al cielo, a Dio. Una promessa d’eternità – di cui tutto il centro tranese trasuda – amplificata proprio dalla torre campanaria. Lo stile romanico dolce, ammorbidito dal sole e dal grecale di questa giornata che non è estate, le decorazioni ricercate e aggraziate conferiscono a quest’opera un ruolo, una funzione specifica nel tempo. Come una trasmittente chiamata a mettere in contatto gli uomini e il cielo. A conciliare gloria e umana fatica.

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(foto di Angelo Mascolo)

L’ingresso al Duomo è preceduto da una balaustra (rigorosamente in pietra) fiancheggiata da due scalinate. Una volta dentro mi sento accolto da un mondo diverso, estraneo a quello da cui provengo. Un tempo dove tutto scorre più lento, più eterno. Le colonne e i muri in pietra mi costringono ad accelerare il passo, ad arrivare fino in fondo. All’abside chiuso da finestroni austeri inondati della luce bianca e azzurra prodotta dal cielo di Trani. E qui, sotto l’altare maggiore, dove il profumo di antico e di fresco si mescola e si fonde all’ incenso, un passaggio porta alla cripta che ospita i resti del santo patrono di Trani: San Nicola Pellegrino. Il giovane umile e semplice. L’instancabile portavoce del Kyrie Eleison che gli cagionò dolori e sofferenze. Il santo venuto esule dalla Grecia ed approdato ad Otranto per venire a morire nel 1094 proprio nella terra di Trani che da allora non ha più perso la sua vocazione di incontro e di scontro tra Occidente e Oriente. Prima dominio degli Svevi e poi preda ambita da Angioini, Aragonesi e Veneziani per la sua posizione strategica e per il suo tendersi costantemente ad Oriente.

20130414_155052jpg(foto di Angelo Mascolo)

Questa elasticità ha portato i tranesi nel corso dei secoli a diventare ottimi mediatori e mercanti. E non è un caso, infatti, che proprio nell’agro di Trani (in territorio neutro dunque) si sia svolta nel 1503  la celebre «Disfida di Barletta» tra tredici cavalieri italiani e altrettanti francesi. Un episodio a cui è ancora legato, stando a quanto ho appreso da alcuni tranesi, un epitaffio poco fuori città e che tutti ricordiamo per la versione burlesca portata sul grande schermo grazie al film «Il soldato di ventura» con regia di Pasquale Festa Campanile e Bud Spencer nei panni del condottiero Ettore Fieramosca.20130414_155847jpg(foto di Angelo Mascolo)

La mia giornata a Trani volge al termine. Gli ultimi sprazzi di sole imprimono un colore misterico a monumenti e persone. Gente da secoli abituata al mare e ai commerci. Persone incrollabili come la pietra su cui è stata edificata la loro città eppure ricchi di sfumature come le vene che pulsano dentro queste stesse rocce. Uno strano e piacevole calore mi rimane sulla pelle una volta che lascio dietro di me Trani e il suo campanile rivolto al cielo. Un calore simile alla certezza di sapere che questo luogo, come pochissimi altri al mondo, possiede la capacità di annullare il tempo vertiginoso della modernità, riconciliandoti con la vita vera.


*ANGELO MASCOLO (Sono archeologo, giornalista e scrittore. Ho collaborato con i quotidiani «Roma», «Metropolis» e «Il Mattino». Nel 2016 il mio romanzo "Palestra Italia" si è classificato secondo al Premio Letterario RAI «La Giara». A novembre 2017 è uscito «La primavera cade a novembre», giallo edito dalla casa editrice Homo Scrivens, arrivato alla seconda ristampa, che ha ottenuto diversi riconoscimenti a livello nazionale)

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