Stromboli, o la ami o fuggi

di MARCELLA CIARNELLI*

O la si ama, e allora è per sempre. Oppure non si riesce a stabilire con essa alcuna sintonia, e allora dopo poche ore la fuga con qualunque mezzo è un copione  visto e rivisto. Va così a Stromboli, un cono di 926 metri, poco più di 12 chilometri quadrati, emerso all’improvviso dal mare centinaia di migliaia di anni fa stanco di fare il vulcano sottomarino. Un evento di cui è testimonianza ancora Strombolicchio, scoglio della stessa natura e con una storia analoga, sede  di un faro e di una variegata macchia mediterranea, poco al largo del porto, riserva naturale.

Stromboli è un’isola piccola che si consente il lusso di avere un paese più grande, qualche centinaio di casette bianche sparse come zucchero a velo alla base del cono e poco più in su per i più atletici, e una frazione, Ginostra, isolata da terra, raggiungibile solo via mare, con vista privilegiata sull’attività del vulcano ma anche su uno straordinario tramonto. Stromboli è un’isola che ha aspetti geografici e naturali straordinari e imprevedibili, ancora molti da studiare e da scoprire. Un’isola che è concentrato di bellezza ed eventi scientifici, costantemente monitorata per l’attività vulcanica ininterrotta, che tutto il mondo continua a studiare con scienziati che la animano anche d’inverno. Perché questo è un posto vivo in cui si può solo guardare avanti aspettando che qualcosa accada, nella terra fiammeggiante e nel cuore e nella testa di chi la ama. E qualcosa accade sempre.

 Strongoli, come riporta l’antica  carta geografica  custodita nei musei Vaticani, nella sala dedicata ai luoghi del nostro Paese, è innanzitutto un luogo del cuore. Di quelli risolutivi, dove all’improvviso ti rendi conto che i dolori, i dispiaceri, le speranze, le curiosità non sono più misurabili con i tempi cittadini, qualunque sia la dimensione da cui ti sei messo in viaggio.

San Vincenzojpg(San Vincenzo     foto di Marcella Ciarnelli)

E che viaggio. Perché una delle caratteristiche di questa isoletta spruzzata nel mar Tirreno assieme alle sei sorelle Eolie è quella di essere difficile da raggiungere. Arrivarci è una conquista. Più semplice dalla Sicilia,  anche se Stromboli è la prima che si incontra arrivando da Napoli. Comunque sempre complicato. Basta una mareggiata forte per mandare in tilt il sistema di comunicazioni, fatto di aliscafi vecchiotti e navi che hanno conosciuto lontani momenti di splendore. Eppure quei natanti portano la ricchezza del turismo. Collegano con le necessità di un ospedale o di un lavoro. Ce n’è uno che porta l’acqua perché le sole cisterne di acqua piovana non sarebbero sufficienti al fabbisogno quotidiano.  Qui si impara a non sprecare. L’acqua non si fa scorrere.

“Non ti agitare. Qui il tempo deve passare. Intanto guarda su”. Così mi accolse Giulio, portatore di bagagli con la sua Ape a motore, per tutti la Lapa, mezzo rumoroso ma indispensabile ora sostituito da taxi elettrici,  quando misi piede per la prima volta sull’isola. Giulio, poi Italo, Gianluca. Da allora negli anni supporti indispensabili ma innanzitutto amici. Era luglio del 1985 e esibivo sul molo tutta la mia agitazione di neofita in attesa di una valigia che sembrava dispersa nella pancia dell’aliscafo. La valigia arrivò. E guardando su scoprii Iddu nella luce del tramonto. Lui. Il vulcano. Un brontolio e uno sbuffo che per me furono un saluto esclusivo. Quando tace, e ci sono stati anni in cui ha scelto il silenzio, si avverte una preoccupata mancanza.spiaggia lungajpg(Spiaggia lunga            foto di Marcella Ciarnelli)

 Il paese comincia da lì. Case bianche da conquistare a piedi, lasciati alle spalle San Vincenzo, una delle due chiese, o il lungomare di Fico grande a seconda se si vada di sopra o di sotto; si arriva alla punta di Piscità dove c’è la chiesa di San Bartolo, il patrono, e da cui parte la mulattiera che porta su al vulcano. L’arrivo avviene in  un porto che è solo attracco, perché la violenza del mare è riuscita a mettere in discussione qualunque tentativo di una costruzione più funzionale. Per questo le barche dei pescatori vengono tirate sulla spiaggia quando rientrano all’alba, equelle dei turisti vengono ormeggiate alle boe in rada. Ce ne sono tante quando il mare è calmo e rassicurante. Il segnale del maltempo è la fuga improvvisa dei natanti grandi e piccoli, solleciti a trovare riparo verso Panarea e oltre. C’è il rischio di spiaggiare. Di affondare.

Stromboli è uno scoglio in mezzo al mare con grande vocazione di terra. Ormai d’inverno ci vivono non più di quattrocento persone, aspettando la stagione estiva. Ma c’è stato un tempo, fino all’inizio del secolo scorso, che sull’isola abitavano anche oltre tremila persone. C’era la vite e la malvasia, gli ulivi, i capperi. Terra fertile da lavorare che dava frutti per tutti. Poi arrivò la filossera che attaccò le piantagioni. E infine la grande eruzione del 1930 distrusse tutto, coltivazioni e case, e preparò un destino di emigrazione in America e in Australia. Le rimesse di quei migranti sono servite a sviluppare la vocazione turistica dell’isola. Turisti, parola da usare con cautela:  appena arrivano, già non lo sono più. Scappano. O diventano isolani, condividono problemi e aspettative. E si scontrano con quanti - qualcuno c’è - non resistono alla tentazione di omologare l’isola ad altri luoghi di vacanze in cerca di migliori guadagni. spiaggia castriotajpg(Spiaggia Castriota         foto di Marcella Ciarnelli)

Alla fine degli anni ’80 le stradine del paese furono ripavimentate e l’amministrazione pensò di illuminarle, perchè qui quando cala la notte il buio la fa davvero da padrone. A quel tempo si camminava affidandosi alle torce, alla luce che arriva dalla finestre illuminate delle case dove almeno un geco ti porta fortuna, a quella della luna che quando c’è rischiara più di un faro. E poi ci sono le stelle che brillano di più senza inquinamento elettrico. Ci fu una vera e propria battaglia contro questa innovazione che avrebbe snaturato l’immaginario collettivo dell’isola, la sua natura, la sua storia. Era l’epoca in cui a Stromboli incontravi Giorgio Napolitano che all’isola non ha rinunciato anche da presidente della Camera e poi della Repubblica, più di trent’anni di frequentazione. Arrigo Levi, Giulio Einaudi, Miriam Mafai con tanti altri riuscirono a fermare l’iniziativa. Ora le strade di Stromboli sono ancora buie, capaci di affascinare chi entra nello spirito dell’isola e di far scappare chi nella valigia ha infilato abiti eleganti e tacchi a spillo impossibili da utilizzare causa malefico sampietrino e buca imprevista. E poi al buio chi ti vede?

Si è sempre detto che Stromboli è o, almeno, è stata l’isola dell’intellighenzia di sinistra. Per certi versi è vero. Intellettuali del continente ma in verità di qualunque tendenza, ben rappresentati gli atenei più importanti del Paese, scrittori, economisti, attori. Mi piace ricordare che quando c’era una bella edicola, ora anche lì i giornali non si vendono più, il pacco dell’Unità era il più alto e all’una del pomeriggio era esaurito. Un pizzico di giustificato orgoglio e nostalgia. Non c’è più l’edicola. E nei primi anni del soggiorno isolano - sono al trentacinquesimo senza interruzioni -  c’erano la lavanderia, il parrucchiere e anche la banca, da tempo sostituita da uno sportello Bancomat che quando ci infili la tessera dentro trasmette una suspence degna di un film di Hitchcock. Cosa accadrà? La vista degli euro dà un senso di conquista. 

A proposito di cinema, è proprio grazie a un film che l’isola uscì dal silenzio. Era il 1950. Roberto Rossellini la scelse per girare “Stromboli, terra di Dio”, con Ingrid Bergman nel momento in cui tra il regista e l’attrice era nato un amore travolgente. Una storia dura di integrazione, di riscatto dalla miseria, di vita quotidiana in un luogo così aspro. Ci sono ovunque sull’isola le tracce di quell’avventura. Il bar in piazza si chiama Ingrid. Sul muro rosso della casa dove i due abitarono c’è una targa. Nella casa di don Antonino, il parroco lungimirante che ospitò la troupe  - casa che ora è un albergo - ci sono le foto di scena del regista, dei protagonisti e degli strombolani che parteciparono da comparse. C’è la spiaggia di Castriota nel film e c’è Iddu che domina e condiziona. 

Se Nanni Moretti è sullo Stromboli che fa esplodere in “Caro diario” la teledipendenza di Gerardo che arriva a chiedere proprio sul costone del vulcano ad alcuni sorpresi turisti americani una anticipazione delle puntate di Beautiful, è l’isola in sè il luogo risolutivo delle vicende drammatiche di “La meglio gioventù” di Marco Tullio Giordana, epopea di un Paese e di una famiglia. E’ Mirella, la ragazza di Stromboli, che riesce a portare un po’ di pace e un nuovo amore nella famiglia Carati. E’ sull’isola che mamma Adriana troverà la pace che la tragica morte del figlio Matteo sembrava averle sottratto per sempre.  Riposerà per sempre nel cimitero lì in alto, sulle pendici del vulcano, con una vista sul mare da far resuscitare. E’ sull’isola che Nicola Carati troverà di nuovo l’amore.strombolicchio dalla mulattiera per il vulcanojpg(Strombolicchio        foto di Marcella Ciarnelli)

Moda e artisti. Poca traccia hanno lasciato Dolce e Gabbana che sull’isola si sono comprati anche una sontuosa villa che ora hanno difficoltà a rivendere. Non si sono integrati né loro né i loro ospiti. E anche il passaggio di Naomi Campbell da queste parti ha suscitato poca curiosità. Perché nessuno si sorprende più di tanto. Politici, modelli, attori possono tranquillamente passeggiare, tanto più che quando cala la notte non c’è celebrità che tenga. Giorgio Armani passa per l’isola tutti gli anni, ne ha anche sponsorizzato la squadra di calcio, ma è solo una visita di pochi giorni. Per ora l’ha vinta Pantelleria. 

Per le strade, sugli scogli, nelle case, ogni luogo è uno sfondo valido per gli artisti e le loro performance. Sabbia nera. Montagna infuocata. Un mare profondo in alcuni punti di un azzurro cristallino. Marina Abramovic da anni subisce il fascino dell’isola che le restituisce interesse in egual misura per la sua attività. Ma nel cuore degli strombolani di adozione e non c’è innanzitutto Jurgen Wegner, solitario pittore tedesco, che sull’isola ha dipinto quadri e anche mobili, stipiti di porta, specchi, con uno stile indiscusso e non confondibile con nessun altro. I suoi rossi, i suoi blu, i verdi sono inconfondibili. Chi possiede una sua opera è come se avesse un pezzo del cuore dell’isola. Jurgen è morto qualche anno fa affrontando il mare in tempesta con la sua tavola a vela. Fatalità o scelta. Una vicenda artistica e umana avvolta dal mistero..

 E ora il vulcano. Attraversato il paese comincia la salita. Sulla destra Strombolicchio fa buona guardia. Si incontra qualche capra capace di stare in bilico sul costone. Poi le tombe delle poche vittime di una pestilenza di tanti secoli fa. Sotto la spiaggia lunga che tale è o non è a seconda del ghiribizzo delle mareggiate. E’ nera come tutte le altre. Quando ti ci stendi senti il rombo del vulcano che ti accudisce, ti segnala la sua presenza. la colata dellagosto 2019jpg(La colata dell'agosto 2019         foto di Marcella Ciarnelli)

Si sale con fatica. Mentre il vulcano ti saluta, attivo come sempre. A volte esagerando. Nel 2002 si ruppe il costone della sciara e ci fu lo tsunami. Meno male che era il 30 dicembre. Pochi feriti. Molte case distrutte. L’anno scorso per due volte in luglio e in agosto l’attività fu parossistica, tale da intimorire anche chi con Iddu ha un rapporto di fiducia inattaccabile. Anche quest’anno qualche problema c’è stato. Ma in fondo la sicurezza di chi va a Stromboli o ci vive deriva proprio da questa attività continua, una garanzia che altri vulcani non danno. Borbotta il vulcano. Lancia lapilli e lava. E ti rassicura. Quelli che non capiscono se ne vanno. La filosofia dell’approccio la sintetizza Gaetano, pescatore storico. “Il vulcano è là, noi dobbiamo stare qui. Ognuno al suo posto”. 

Si sale con fatica e con una guida. E’ obbligatorio. Macchia mediterranea, le canne. In basso le bouganville che sono di un rosso particolare, ma anche bianche. Dai cinquecento metri agli ottocento la salita si fa più dura. Però si cominciano a vedere le bocche di fuoco. Possono esserci anche trecento eventi in un giorno. Dalla cima la lava si riversa lungo la sciara e si ritrova in mare. I massi rotolano. Si alza il polverone di sabbia. Ci sono stati anni in cui si dormiva in cima sotto le stelle dopo la fatica della salita. Il fuoco era lì. Era necessario il sacco a pelo. E all’alba si scendeva verso il mare di corsa per un bagno indimenticabile. Ora per ragioni di sicurezza non si può più fare.iddu calmujpg("Iddu", calmo        foto di Marcella Ciarnelli)

Il gigante sotto osservazione costante, molto di più in questi anni, si diverte quasi a sorprendere chi vorrebbe coglierne i segreti e i meccanismi. Montagna imprevedibile. La sfida è conoscerla, anticiparla. Ancora non è possibile. Sull’isola e in mare ci sono strutture sofisticate a controllare Iddu. Ci sono ovunque su viottoli e spiagge cartelli gialli che segnalano il comportamento da mantenere con una eruzione in atto. Una sirena avverte del possibile arrivo di uno tsunami. Cinque minuti per raggiungere la costa nel punto più alto possibile. Pochi? Devono bastare. D’improvviso eccolo lì lo sbuffo o  l’enorme fungo che si protende verso il cielo a seconda dei casi. La terra trema, di notte la montagna si infiamma. Uno spettacolo unico prodotto in un’isola “piccola, scogliosa, appartata inaccessibile, eccentrica. Approdo e punto di fuga”. Così la descrive Lidia Ravera nel suo “A Stromboli”, pubblicato da Laterza. La scrittrice ha una casa sull’isola e ci vive molti mesi all’anno.

*MARCELLA CIARNELLI (Romana di ritorno, napoletana per sempre. Giornalista per passione sempre all’Unità. Una vita a seguire le istituzioni più alte fino al Quirinale senza perdere la curiosità per ogni altro avvenimento. Tante passioni: il cinema, il teatro, i libri, il mare, i viaggi, la cucina, gli umani nelle loro manifestazioni più diverse…e la squadra del Napoli)

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