Souvenir - Ponza e le lacrime perse per Ernesto Prudente

di TINA PANE*

Ho conosciuto Ernesto Prudente durante un breve soggiorno a Ponza, nel luglio del ’97. Eravamo, io e il mio novello sposo, a un bar sul porto e questo signore vivace, arguto e ciarliero si incuriosì di noi e cominciò a farci domande e a chiacchierare: da dove venite e perché siete qui. Era un piacere ascoltarlo, ed era una miniera di notizie su quell’isola dove io sbarcavo per la prima volta. Ernesto - anche detto il Re di Palmarola, dove passava autunno e inverno - volle omaggiarci di uno dei suoi libri, dal titolo A Pànje-i proverbi di Ponza, su cui appose naturalmente una dedica.

Qualche giorno dopo, prima della partenza, Ernesto mi consegnò un lasciapassare ad personam, vergato con calligrafia antica ma ferma su carta intestata della Repubblica di Palmarola. Lui, che naturalmente ne era il Presidente, attestava che sarei stata sempre ospite gradita “nel paese dove non si bestemmia né si prega Dio”. E vabbè poi partimmo, ci aspettava il vero viaggio di nozze, in Marocco, e la malcelata gelosia di mio marito si acquietò.

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Un bel po’ di anni dopo siamo tornati a Ponza per un weekend in occasione del 16° anniversario di matrimonio, e io oltre a quattro pezze misi nello zaino il libro di Ernesto. Mi sarebbe piaciuto incontrarlo, ma non avevo messo in conto che non c’era più, era morto a 84 anni nel 2012. Ma per una strana coincidenza conoscemmo, davanti alla chiesa di San Silverio, e vicinissimo al bar del primo incontro con Ernesto, la sua vedova. Io non ricordo ora com’è che ne scoprimmo l’identità, ricordo però precisamente (perché l’ho scritto sul libro nella pagina dopo la dedica) che la cosa ci colpì molto, mentre la signora - forse si era già trovata in simili situazioni, con un marito così vulcanico - rimase fredda anche quando le mostrai, emozionata, libro e dedica.

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Il libro, e il relativo ma scaduto lasciapassare, pensavo di averli persi nell’ultimo trasloco e invece pochi giorni fa, cercando un altro testo, li ho ritrovati, provando gioia. Ho letto la breve introduzione, che spiega il tentativo di salvare dall’oblio il dialetto e i modi di dire locali e ho scorso le centinaia e centinaia di proverbi religiosamente raccolti e doverosamente tradotti, ma a me che sono napoletana suonano chiari e familiari.

Poi sono andata su internet a farmi i fatti di Ernesto, e ho trovato tanta roba. È stato maestro elementare, ha scritto libri su usi, costumi e dialetto locali, ha tenuto sempre a cuore, difendendola anche in tribunale, la bellezza e l’identità della sua isola. In una bella intervista rilasciata a Il Giornale nel 2009, e ripresa sul sito de Il Post in occasione della sua morte, ‘O Prufessore - come era chiamato - racconta degli antifascisti al confino sull’isola quando era solo un bambino, delle sue battaglie per far chiudere la miniera o contro le amministrazioni che non tutelavano il territorio, di suo padre, un napoletano comandante di bastimenti che si fermò a Ponza per amore. Un uomo curioso e colto, disposto all’eremitaggio per osservare e godere la natura, una di quelle figure che con amore e dedizione contribuiscono a definire l’identità di un posto: “Ho applicato il consiglio del Machiavelli: tenete memoria delle vostre tradizioni se volete scrivere la storia del vostro paese”.

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A me che lo sfiorai inconsapevole resta un piccolo tangibile ricordo e il rammarico di non aver approfittato del suo invito, un’occasione persa per conoscere lui e la sua isola. Ma come dice uno dei proverbi della raccolta, “A chiàgnere nu muórte só lacreme pèrse”.