Sotto i cieli d'Irlanda, giocando a Game of Thrones

di AMLETO VINGIANI*

In famiglia tutti drogati dalla serie più celebre di tutti i tempi, era in arrivo l’ottava e conclusiva stagione. Domanda del giorno: John Snow diventa re? Era il finale più logico, oggi tutti sappiamo che ha vinto il Corvo con i 3 occhi, tra gli insulti e le pernacchie dei veri appassionati e degli studiosi di logica. Programmare un viaggio nel Nord Irlanda sui luoghi degli Stark e dei Lannister era un obbligo morale ma anche un sistema di alta efficacia per ottenere la compagnia del nostro Giorgio e della sua ragazza, schivi e disinteressati su altre mete. Piccola parentesi familiare: il nostro amato piccino, all’epoca 25enne, disprezza qualsiasi tentativo di coinvolgerlo in viaggi salvo mete esotiche ed esibizione di prenotazioni in alberghi tetrastellati.  Quindi si va tutti insieme, Mariella moglie ed hacker alle manovre per quanto attiene percorsi e prenotazioni.

Un posto di sconvolgente bellezza, occorre dimenticare la classica Irlanda di Dublino e di Cork, il Ring of Kerry e le Cliffs of Moher, quella dolcezza di rilievi con il verde luminoso che scende fin nell’acqua. Il Nord è un altro e selvaggio mondo, la costa è come se fosse stata flagellata dalla tempesta per millenni riportandone profonde ferite, rupi che vanno giù a capofitto nelle onde o ne escono furiose, fessure profonde nella roccia piene di gabbiani e poi all’improvviso spiagge invase da alghe brunastre su cui si rotolano foche grigie e saltellano uccelli di ogni tipo.

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Un mondo primordiale a due passi dalla quiete dell’altra Irlanda. Ci vai a fine agosto ma ti immagini come deve essere con le brume dell’autunno e senza contaminante umano: qualcosa di vicino all’alba della creazione. Parlandone commosso con i miei compagni di viaggio mi rendo conto di essere osservato con una certa inquietudine, soprattutto da mia moglie che ovviamente pensa ai prossimi anni. Comunque si va, lasciata Belfast dove si atterra e via, la prima notte ci dà una immagine degli infiniti cieli di Irlanda da fregare Caspar Friedrick, tutto il romanticismo tedesco ed ovviamente la Mannoia.

Non lontano da Belfast siamo già nei Glens of Antrim, tra boschi e cascate, i luoghi di Pietra di Runa, il Lord Protettore Petyr Baelish, non lontani dal mare Dothraki. Ad onta della scarsa simpatia di tutti i personaggi citati si comprende bene perché siano nate qui tante leggende, perché si pensa che queste acque e questi alberi diano dimora a creature leggiadre o paurose. La civiltà in un attimo è lontanissima e si torna all’inizio di tutto. Anche i ragazzi rimangono incantati dalla sacralità primordiale del luogo, se fossi da solo mi inginocchierei in una estasi panica ma temo fortemente il giudizio degli astanti e soprassiedo.

A pochi chilometri dalle terre di Antrim ecco le Cushendun Caves dove Melisandre dà alla luce il demone d’ombra per uccidere il fratello di Stannis in nome del Signore della Luce. Personaggio strano Melisandre, una figura priva di felicità (nessuno ricorda un suo sorriso), non crudele ma fanatica, con riscatto finale. Il luogo è straordinario ma fotografarlo richiederebbe strumentazioni che non abbiamo, i cunicoli bui nella roccia ed i ricordi delle evocazioni maligne sono stemperati da una tempesta di fiori arancio a pochi passi dall’acqua del mare.

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Ecco la Murlough Bay, la Baia degli Schiavisti dove Tyrion Lannister e Jorah Mormont vengono catturati dagli schiavisti durante il loro viaggio verso Mereem.

Non è possibile parlare di Tyrion visto che su di lui ormai sono stati scritti libri, ma è possibile esprimere la enorme ammirazione per la sua simpatia, intelligenza ed arguzia. Un personaggio che dà gioia al suo comparire in scena. Jorah Mormont  invece è un monumento alla qualità oggi più esaltata dal pensiero dominante: la Resilienza, ecco quando nei seminari si parla di questa cosa dovrebbe apparire la diapo di Mormont. Con tutto il rispetto per la bellezza di Daenerys Targaryen, uno meno “ resiliente” di Mormont, commovente nel suo amore, ma sai dove l’avrebbe mandata la Madre dei Draghi con i suoi sogni di grandezza, le sue piccole isterie e la sua “instabilità” affettiva? Comunque il  paesaggio è da Eden. Tutto verde nelle più diverse sfumature, il vento costante che ha dato inclinazione a tutti gli alberi della zona; la pioggia appena cessata con le nubi che si erano parzialmente aperte ci ha regalato nel cielo e nel mare una luminosissima sinfonia di grigi che rendeva ancor più forte il verde. Siamo rimasti tutti a bocca aperta per un po’ poi ha vinto, come sempre in Irlanda, il vento.

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Sul nostro cammino ecco ora Ballintoy Beach, il luogo in cui Euron Greyjoy viene annegato per diventare il Re delle Isole di Ferro. Personaggio odioso, violento senza nulla che lo redima, ricorda alcune figure dell’alba della letteratura, un Aiace, un Agamennone, ma in lui è solo bestialità, nulla della nobiltà degli eroi omerici. Il ponte di corda di Carrick-a-Rede dondola vistosamente e fa un certo effetto guardar giù. Ma quello che è straordinario, oltre al salto tra onde feroci, è la costa lì intorno con continue insenature, gole, piccole baie, col mare che ruggisce giù lontano, pieno di schiuma. Inutile dire che ad onta di ogni proibizione i più giovani tra noi imprimono oscillazioni al ponte ed alla mia precaria condizione cardio-vascolare.

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Non c’entra con il Trono di Spade ma è vicino a Ballynton Beach ed il posto è così eccezionale che merita una deviazione. The Giant Causeway è una straordinaria e preistorica estrusione vulcanica di colonne di basalto di forma esagonale che ha determinato un paesaggio quasi unico al mondo. E’ quasi sera quando arriviamo, pochi altri oltre noi e questo aiuta a portarci ancora in un mondo popolato da creature da fiaba. Ci si chiede come la roccia fusa abbia potuto affiorare e congelarsi in questa forma ma tra noi non geologi, non fisici, la guida meglio lasciarla perdere. Rimane il mistero e forse è meglio, se fiaba deve essere, fiaba sia. 

Siamo ora in uno dei posti più mitici, Dark Edges, la paurosa strada che percorre Arya Stark, in fuga dai Lannister lungo la Strada del Re in compagnia dei Guardiani della Notte. Game of Thrones è opera complessa ed al suo interno vi sono una serie di Bildungroman e la storia di Arya è uno dei più affascinanti tra essi. Dalla più grande fragilità a creatura letale, passando per un dolore indicibile; donna di giustizia ma soprattutto dea della vendetta, ci riporta anche lei alla grande tragedia greca. Devo dire che questi faggi con i loro tronchi contorti e le alte chiome che si intrecciano in alto, vecchi di almeno un paio di secoli, danno un certo timore ed ancor più lo daranno di notte  ma non ai ragazzi che si incamminano felicissimi. Mariella fa una foto ai due di fortissimo impatto simbolico. Io affermo che c’è riuscita per caso con sua grande ira.

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Un po’ di viaggio dopo ecco davanti a noi Castle Ward, la dimora della famiglia Ward sin dal ‘500. Ma nei Sette Regni questa estesa proprietà è conosciuta come Grande Inverno, la dimora di Casa Stark. Per gli appassionati del Trono di Spade questo è luogo sacro come il Santo Sepolcro, abbiamo la fortuna di arrivare dopo una intensa pioggia, non è facile passeggiare ma siamo in pochi ed allora benedetta sia la pioggia! Non ce ne vogliano i rarefatti intellettuali ma per noi la tragica vicenda di Ned Stark e dei suoi figli aleggia su ogni pietra ed il posto ci induce una emozione non comune. I ragazzi subito salgono nella torre, io penso sia più emozionante guardar dal basso questo quadro visionario con sole che lotta e perde con le nubi, non senza dar segni della sua forza. Che luce! La natura d’Irlanda ci dà scene e colori infinitamente lontani dai nostri e quando io affermo che voterei per le brume del Nord vengo di nuovo osservato con sospetto, quasi mostrassi i primi segni. 

Ai sacri luoghi associamo ovviamente continue sortite. Castelli in rovina ed incantati, a picco su un mare grigio e furioso, abbazie anch'esse in rovina e tappezzate da un prato verde come la nostra San Galgano, cittadelle fortificate a guardia di una costa dove non verrà più nessuno. Sempre tratti di costa a picco su un mare mai fermo e schiumante rabbia dal cui fondo nascono, come colossali stalagmiti, le rocce appuntite. Uccelli marini ubriachi di vento da quella furia hanno un banchetto perenne. In contrasto con tanta forza il tranquillo crogiolarsi tra alghe e sabbia delle pigre e simpaticissime foche grigie.

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Belfast ci aspetta alla fine per un paio di notti. Una città così densa meriterebbe un racconto a parte ma un paio di cose ci sono rimaste dentro. Le birrerie storiche, ottoni lucidati da brillare e vetrate decò piene di colori e figure di un’epoca in cui tutto sembrava vaporoso, leggero e frizzante.

Controcanto tragico di questa atmosfera i murales del Gaeltacht Quarter che ricordano l’epoca dei Trubles, i disordini tra nazionalisti e lealisti tra anni ’70 e ’90. Nei più belli ed emozionanti non ci leggi odio o rabbia ma dolore, un terribile dolore che trasuda ancora, soprattutto nei grigi spezzati talvolta dal rosso e dall’arancio.

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Prima dei murales ero convinto, superficialmente, che l’IRA fossa stata un fatto di  fanatici nazionalisti, quell’ evidente dolore mi ha costretto a studiare ed a capire. Si afferma sempre che in cose del genere ragioni e torti sono da ambo le parti, ma qui ho visto soprattutto il martirio dei cattolici tra protestanti integralisti e folli ed Inglesi sprezzanti, crudeli e violenti. Pensavo che mitragliar folle o torturare nelle carceri fosse un retaggio di inciviltà passate e certo non occidentali;  non è così, l’uomo è sempre quello della pietra e della fionda.

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L’emozione dei murales ha toccato un po’ tutti, di sera si fa qualche sforzo per tornare all’atmosfera di sempre. Qualche birra, il ricordo di cose divertenti del viaggio, le mie affermazioni sulla superiorità delle nebbie nordiche con immediate pernacchie riportano il buonumore. Ci facciamo l’ultima birra della sera e d’Irlanda perché domattina si parte. Ed ora siamo pronti a vedere che ne sarà di John Snow, di quella pazza di Daenerys ma soprattutto degli Estranei e del loro tragico Re della Notte: chi li ferma quelli?


*AMLETO VINGIANI ( *classe ’56, gastroenterologo ormai a tempo perso, a residuo rischio degli incauti pazienti. Vorrebbe essere cultore di cose umane. Vagamente artralgico, ha nostalgia di quando era un elegante tennista, anche se sulla definizione non vi è consenso fra gli amici)

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