Shiwa Ng’andu, un castello nell’Africa di Livingstone  / 1

di  ANNAMARIA PASSARO*

C’è nel cuore dell’Africa un castello la cui storia racconta vicende incredibili di passioni, di ossessioni, e di tragedie. Si chiama Shiwa Ng’andu. Il suo nome deriva da quello di un piccolo lago che si trova nella vasta tenuta circostante. Nella lingua del luogo, il ChiBemba, Ichishiba Ng’andu vuol dire “lago del coccodrillo reale”. La storia completa di Shiwa Ng’andu è stata narrata nel libro The Africa House: The True Story of an English Gentleman and His African Dream, di Christina Lamb (Penguin, 1999). 

Ci troviamo in Zambia, nello stato sovrano succeduto alla Rhodesia settentrionale. Dopo travagliate vicende, la Rhodesia (chiamata così dal nome di Sir Cecil Rhodes), venne frammentata in Rhodesia del Nord e del Sud, a loro volta ribattezzate rispettivamente Zambia e Zimbabwe, una volta ottenuta l’indipendenza.

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Nel 1920 un eccentrico aristocratico inglese, Sir Stewart Gore-Browne, acquistò un vasto appezzamento di terreno non lontano dall’arteria che attraversava l’Africa australe in direzione NE-SO, collegando Dar-es-Salaam alla britannica Colonia del Capo, a pari distanza dal lago Malawi (o lago Niassa, com’è noto in Mozambico) e il lago Bangweulu (nei pressi del quale, nel 1873, aveva trovato la morte l’esploratore scozzese David Livingstone). Sin dai tempi della gioventù, Sir Stewart aveva sognato di possedere una tenuta come quella in cui era cresciuto in Inghilterra, presso una zia. Nei suoi giornalieri e dettagliati diari, già da ragazzo aveva descritto e illustrato con disegni quella che un giorno sarebbe diventata la sua personale “reggia”.

Ma le sue disponibilità finanziarie non sarebbero mai bastate, in patria, per garantirgli il tenore di vita cui aspirava. Come giovane ufficiale dell’esercito di Sua Maestà britannica, aveva prestato servizio in Africa. Il suo incarico (definire i confini tra il Congo e la Rhodesia) gli aveva permesso di addentrarsi in regioni pochissimo frequentate, ripercorrendo le orme di Livingstone, e di individuare il luogo ideale in cui stabilirsi. Già nel 1914 era stato sedotto da Shiwa Ng’andu. Era stato un amore a prima vista. La sera del “primo incontro” con il lago, e con quella che sarebbe diventata la sua tenuta, aveva scritto nel suo diario: ”Prima vista di Shiwa Ng’andu”. E lì aveva deciso che avrebbe costruito il suo personale paradiso, nonostante gli abitanti del luogo lo avessero avvertito che si trattava di un posto “maledetto”.

Nella lingua del luogo, il Bemba, Lake “Ishiba Ng’andu”, vuol dire “lago del coccodrillo reale”.

Libro e dedicajpg

Il primo conflitto mondiale e altre traversie non gli avrebbero consentito di dedicarsi al suo sogno per altri sei anni.  Dopo aver combattuto con onore in Francia, era tornato in Inghilterra per farsi assegnare dalla zia un anticipo sull’eredità, ed era ripartito per l’Africa. Già il viaggio da Città del Capo a Shiwa Ng’andu era stato irto di difficoltà, ed era stato compiuto con ogni mezzo: settimane a piedi in zone imprervie e prive di strade, attraversando non senza difficoltà le paludi presso il lago Bangweulu con le attrezzature che si era portato al seguito, spesso troppo pesanti e ingombranti per essere caricate sulle piccole imbarcazioni disponibili sul posto.

A Shiwa Ng’andu e negli immediati dintorni non esisteva nessuna abitazione, nessuna traccia di sentiero, nulla. Sir Stewart aveva deciso che avrebbe fabbricato e prodotto sul posto tutto ciò che gli sarebbe servito per realizzare il suo sogno, iniziando proprio dal forno in cui avrebbe cotto i due milioni di mattoni necessari per costuire la sua principesca dimora. Negli anni trascorsi in Africa, prima della guerra, aveva avuto modo di apprezzare le qualità dei lavoratori Bemba, che avrebbe impiegato a centinaia. L’edificio principale venne terminato in un tempo relativamente breve (cinque anni), ma l’intera proprietà era una specie di “fabbrica del Duomo”: negli anni si continuavano ad aggiungere nuove dépendance, stalle e cortili. L’impresa sarebbe giunta a compimento solo verso la fine degli anni Cinquanta, quasi quattro decenni dopo l’inizio dei lavori.

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La determinazione e il carattere militaresco e irascibile del padrone di casa gli avevano fatto guadagnare nel frattempo il soprannome di Chipembere (rinoceronte, in lingua locale).

Terminata la costruzione del corpo principale del castello, per il padrone di casa era finalmente giunta l’ora di trovarsi una moglie. La storia della vita e degli amori di Sir Stewart sono un romanzo nel romanzo. Innamorato sin da giovane di una ragazza di nome Lorna, il nostro si era dovuto ritirare in buon ordine quando costei aveva deciso di sposare un rivale. La coppia morì giovane, lasciando orfana la loro unica bambina, anch’essa di nome Lorna. Sir Stewart aveva conosciuto la ragazza quando questa aveva solo 17 anni, ed era rimasto abbagliato dalla somiglianza con la madre, tanto da fargli pensare a una vera e propria reincarnazione. Nonostante i venticinque anni di differenza, nel 1927 sposò a Londra la figlia del suo primo amore: lei aveva 19 anni, e lui 44. Dopo le nozze si trasferirono subito a Shiwa Ng’andu, dove alla coppia nacquero due figlie, Angela e Lorna (un’altra Lorna non poteva mancare – non c’è due senza tre...).

Ma la vita a Shiwa Ng’andu era troppo solitaria per una ragazza così giovane, e l’unico altro europeo nella zona abitava a tre giorni di viaggio. Sir Stewart era “contrariato” per l’abulia e il continuo malessere della moglie. Facevano vite molto separate, con orari e interessi assai dissimili.

La vita intanto procedeva secondo i piani del padrone. A un certo punto fu perfino costruita una pista aerea, per consentire l’atterraggio di maestranze inglesi, quando si rendeva necessario il loro intervento nella tenuta.

Il libro delle presenze illustri testimonia il periodo d’oro di Shiwa Ng’andu: molto spesso gli aristocratici e i ricchi viaggiatori inglesi preferivano raggiungere Città del Capo dalla madrepatria sbarcando a Dar-es-Salaam, per poi proseguire il viaggio via terra facendo tappa a Shiwa Ng’andu, dove si trattenevano per qualche tempo approfittando dell’ospitalità di Sir Stewart.

La vita quotidiana era scandita dai ritmi e dalle usanze militaresche del padrone di casa, dai suoi orari impossibili e dalle sue stravaganze culinarie e comportamentali. Sveglia all’alba. Breakfast con sei uova a metà mattina, al rientro dal quotidiano giro di ispezione dei lavori nella tenuta. Abbonamenti a riviste inglesi e internazionali. Monocoli e vestiti europei. Cena sempre in abito da sera, anche nelle occasioni in cui il padrone era solo in casa (perché il fatto di trovarsi in Africa, nel bel mezzo del nulla, non era affatto una buona ragione per lasciarsi alle spalle quello che sarebbe dovuto essere lo stile di vita di qualunque persona civile). La moglie Lorna riuscì a resistere per più di due decenni, ma nel 1951 divorziò e se ne tornò in Inghilterra, lasciando a Shiwa Ng’andu figlie ed ex-marito.

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Nonostante il ruvido carattere, Sir Stewart Gore-Browne riuscì a stabilire un buon rapporto con le popolazioni locali, e fu promotore di iniziative volte a migliorare le loro condizioni di vita e a garantire loro un adeguato livello di istruzione. Entrò in politica, e si battè per l’indipendenza dalla Rhodesia dalla Gran Bretagna. Morì nel 1967. Alle esequie era presente il presidente della neonata Repubblica dello Zambia, costituitasi sotto questo nome solo tre anni prima, proprio nel giorno della cerimonia di chiusura delle Olimpiadi di Tokyo: lo Zambia era stato il primo paese della storia a iniziare una Olimpiade come colonia, e a terminarla come stato sovrano.

Arriviamo a Shiwa Ng’andu a fine dicembre 2002, in piena estate australe (che in quella regione coincide con l’inizio della stagione delle piogge), avendo programmato di trascorrervi il Capodanno. È l’ultima tappa del nostro viaggio. Io sono una di quelle persone che raramente studiano in anticipo itinerari e alloggi. Guardo distrattamente le guide, e lascio tutto il lavoro di organizzazione agli altri. Provo un grande piacere nel lasciarmi stupire dalle sorprese che il viaggio mi riserva. E quel castello di Shiwa Ng’andu rappresenta per me la più grande delle sorprese, nonostante la prima parte del viaggio me ne abbia già riservate di bellissime, come la colonia di milioni di pipistrelli nel parco di Kasanka, in partenza per la loro migrazione stagionale, all’intensificarsi delle piogge. O come gli elusivi sitatunga (antilopi timidissime, che brucano nascoste tra i canneti, sulle rive dei laghi e dei fiumi), che ho potuto ammirare – non vista – da una piattaforma in cima a una torre di osservazione. O come il sorvolo del luogo dove morì Livingstone, presso il lago Bangweulu, sulle cui sponde ancora vive una colonia di shoebill stork, buffi “tacchinoni” dotati di un enorme becco a forma di scarpa. O infine come il lago Mweru, al confine con la Repubblica Democratica del Congo, che sulla riva zambiana offre rifugio a decine di migliaia di profughi nei numerosi campi allestiti delle Nazioni Unite.

(1 - continua) 

leggi qui la seconda puntata

*ANNAMARIA PASSARO (nata a Milano nel 1955 da famiglia napoletana. Laureata in Filosofia, illustratrice. "Onirico ironica" è la definizione che amo e che mi diede l' amatissimo agente Marcelo Ravoni (Quipos) ) 


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