Sardegna, Berchidda e il ritmo del jazz
Conosco poco la Sardegna. Ci sono stato la prima volta che ho preso per la prima volta l’aereo, penso fra ’70 e ’71, per una riunione del Manifesto: commissione scuola, io ero un dirigente rossandiano in polemica con i magriani, leninisti, tutta tattica e organizzazione. Quanto all’aereo, ho mentito: c’era stato già, fra ’68 e ’69, per il giro su Napoli con una specie di vacca dell’aria, forse un Lockheed da trasporto – e chi si ricorda! -, durante “il militare” a Capodichino. Una nausea indimenticabile, per fortuna senza conseguenze, mentre oggi sugli aerei mi trovo davvero a mio agio.
Dunque, la Sardegna: nel 1971 a Palau, in campeggio, un campeggio che andò quasi interamente a fuoco mentre una catena di villeggianti si passava secchi pieni d’acqua dal mare alle terrazze naturali che ospitavano le tende e io , con rapidi blitz, riuscivo a portar via quasi tutto dalla mia tenda, con un occhio costante alle auto posteggiate in una radura, che se il vento non avesse deviato per pietà degli umani sarebbe stato un disastro. Poi, un’altra volta, venendo dalla Corsica, in zona vip (dal solito amico), in villaggio con animatori ecc. ecc. Negli anni, certo, per convegni di antichisti, ma anche di grandi mangioni, a Cagliari e dintorni, dove si sono consolidate amicizie per fortuna poco accademiche. Insomma, una Sardegna fra natura e cultura quasi addenti, ti bagni e fuggi.
L’anno scorso, che già la Grecia era difficoltosa, decidiamo di fare un po’ di Sardegna approfondita, a luglio: Sant’Antioco, Carloforte, costa orientale fra Cala Liberotto e oasi di Biderrosa. Lungo la rotta da Olbia verso la costa occidentale, con auto al seguito, doverosa visita all’area archeologica di Tharros, insediamento fenicio con suggestivi scorci e passeggiate fra i reperti. Però, dando una prudente occhiata panoramica alla strada durante lo spostamento da una costa all’altra, vedo un cartello col nome Berchidda e quasi blocco con pesante stridor di freni. Berchidda? E parte immediata una colonna sonora con Paolo Fresu e Richard Galliano.
Solo che ormai il cartello è andato e il programma è già fatto, ma mi prometto e mi giuro (non vorrei far mancare spero, ma rifiuterei il ‘mi’ auspico) che al ritorno una sosta a Berchidda non potrà mancare, checché ne pensi mia moglie. E quindi ci immergiamo nella visita archeologica, nel mare di Sant’Antioco e di Carloforte (con immancabili foto subacquee – e quest’anno dove le faccio? In piscina?!), di cui gustiamo dialetti, cibi, i preparativi di un matrimonio sulla spiaggia, musei moderni, addirittura un presepe stabile all’aperto, come quello di via Azzurra a Bologna, e le calette di Biderrosa, straordinarie; insomma, tutto quello che chi conosce veramente la Sardegna non ha bisogno gli/le venga spiegato da un modesto redattore di foglieviaggi.
E poi, alla fine di una bellissima vacanza, si torna a prendere il traghetto verso il continente e Berchidda è lì, col suo imminente festival del jazz e con Paolo Fresu che una volta mi piacerebbe incontrare per le vie di Bologna e con faccia tosta fermarlo e fare una chiacchierata con lui (sono anche più anziano, professore universitario, ho scritto su Gramsci e il jazz e ho anche recensito su Nazione Indiana un libro di Claudio Loi, "Sardinia Hot Jazz", e che cavolo, almeno la mano me la stringerà o ci sfioreremo i gomiti?).
Insomma, alla deviazione Berchidda non c’è ma che tenga. Il paesino è lì, tranquillo e senza suoni (una colonna sonora è facile immaginarla). Tutto parla di jazz, direi che è sempre "Time in jazz": così si chiama il festival che ogni anno (anche questo: auguri!) in agosto riempie Berchidda e paesi vicini di appassionati (io non sono mai stato a Umbria jazz, confesso, ma saprei rifare con la voce l’assolo di Coltrane o di McCoy Tyner in My Favorite Things o quello canonico di Dave Brubeck in Take Five, e se qualcuno lo chiede, con la consueta faccia tosta ve li faccio anche sentire al piano…).
Insomma, la visita a Berchidda ha chiuso in bellezza la nostra Sardegna del luglio 2019; si respirava l’attesa di agosto (frase a effetto!) e tutto parlava di jazz, anzi suonava di jazz. Dalla piazzetta fremente al poster nel bar. Perché il jazz è il jazz, in Sardegna and everywhere.
*GIGI SPINA (Salerno, 1946, è stato professore di Filologia Classica alla università Federico II di Napoli. Pratica jazz e tennis. Gli piace pensare e scrivere, mescolando passato e presente)
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