Salerno, un Grand Tour fra baia e castello

di GIGI SPINA*

Un viaggio nel viaggio: dentro la penisola italiana, il Sud; dentro il Sud, Salerno. Vincenzo Pepe offre a lettori e lettrici una raccolta di testimonianze, tutte incantate e incantanti, di viaggiatori e viaggiatrici che dedicarono a Salerno uno sguardo, più o meno prolungato, più o meno partecipato, più o meno critico, durante la loro scoperta delle meraviglie d’Italia. Per i giovani delle élites romane dell’età repubblicana e augustea Atene fu luogo di viaggi culturali. Dal Cinquecento in poi - e il poi comprende anche i nostri giorni, per quanto con divieti di circolazione - le bellezze italiche, immortalate spesso da quelle stesse élites antiche nelle loro opere, divennero mèta di viaggi famosi. Pepe seleziona e traduce, meritoriamente, non mancando di mettere in nota i passaggi del testo originale, alcune testimonianze che percorrono almeno quattro secoli di visite e visioni di Salerno e della sua incantevole baia. Il volumetto è corredato di bellissime riproduzioni, collegate spesso agli scritti.

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Schiacciata, in qualche modo, da Napoli a nord e da Paestum a sud, Salerno, come dimostra Pepe, dovette fare appello a tutte le sue segrete bellezze per non rimanere periferica, fuori mano, e attirare, invece, i viaggiatori lanciando come immagini caratteristiche: in alto, il Castello; in basso, la baia. Ovviamente anche la Scuola Medica fu un indubbio richiamo (come oggi potrebbe essere il Giardino della Minerva). Fu tradita spesso dai suoi abitanti e dai suoi odori, che viaggiatori pur rapiti dal paesaggio avrebbero preferito non frequentare; ma non mancarono apprezzamenti per la mitezza non solo del clima (anche se spesso la neve fa capolino nelle descrizioni), ma degli stessi abitanti. Il tutto contraddittoriamente diffuso nei secoli che Pepe documenta.

Insomma, ci furono momenti e periodi nei quali anche Salerno entrò in competizione per la palma del migliore locus amoenus, gara cui una pubblicistica influenzata dai topoi delle descrizioni antiche aveva da tempo dato il via. Pepe mette giustamente in rilievo, con fine analisi antropologica, il punto di vista da protestanti di gran parte di viaggiatori e viaggiatrici, una complicazione per la diversa collocazione ideale e culturale della città da visitare. In ogni caso, il mare e la baia furono davvero una garanzia per la città: gli apprezzamenti furono unanimi, anche perché la vista-mare consentiva di bypassare le ‘ingiurie’ della città frapposta; mentre il castello confermò spesso, al di là del suo fascino, la disorganizzazione, il persistere delle macerie, la scarsa ospitalità.

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Pepe regala, dunque, a Salerno pagine importanti della propria storia, segnata dalla sua collocazione fin dall’antichità. Nella sua ‘Geografia’, che risale ai primi anni del I sec. d.C., il greco Strabone nomina Salerno solo nelle ultime righe del V libro, il primo dei due dedicato all’Italia: «Per difendersi da Lucani e Brettî i Romani edificarono la città di Salernum, a poca distanza dal mare».

Fra lettori e lettrici del libro di Pepe non mancherà, naturalmente, chi è nato/a a Salerno. E dal momento che anche io ‘lo nacqui’, mi sarà consentito un piccolo controcanto, avendo cominciato a vedere questa città dal 1946, dopo i secoli dei grandi viaggiatori, e avendo potuto esercitare alcuni sguardi da comparare nel tempo con alcuni passaggi del libro di Pepe. Concluderò quindi con un breve elenco di ‘je me souviens’.

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Quando ero piccolo, il centro storico di Salerno, diciamo da via de’ Mercanti in poi, era sconsigliato se non proibito a un ragazzino di buona famiglia: prostitute, contrabbando, sporcizia (si veda p. 38).

Le carrozze come elemento del paesaggio hanno continuato a farne parte almeno fino a tutti gli anni ’50. Stazionavano dinanzi al Tribunale; con una carrozza fui portato da piccolo al Pronto Soccorso; con una carrozza la mia famiglia andava alla stazione a prendere il treno per le vacanze in Calabria (si veda p. 48).

Salerno è il posto ideale, per un anonimo poeta (nel libro ci sono anche molti versi, nell’ultimo capitolo), per insegnare alla sua amata il greco e il latino. Ebbene, il liceo Tasso ne ha sfornati molti, di insegnanti di greco e di latino, e di ottimo livello (si veda a p. 81).

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Il paesaggio poteva, nei secoli precedenti, avere ancora qualche vantaggio sulle costruzioni, sulla densità abitativa, sulle architetture degli uomini; col tempo, la difesa del ‘bel vedere’ è stata sempre più complicata. Ebbene, oggi il Crescent, alla periferia nord del lungomare ripropone il dilemma fra mostruosità e nuove visioni architettoniche, e la discussione continua (si veda a p. 63 e p. 84).

Terminato l’elenco, non mi rimane che trascrivere dall’appendice, che fornisce in traduzione tre testi completi di viaggiatori i cui passaggi sono citati nei vari capitoli, la più sconvolgente osservazione di Jacques Augustine Galiffe, nel viaggio del 1816-1817 (p. 92). Salerno è compresa sotto il nome collettivo Napoli, ma l’offesa, inaspettata, ferisce lo stesso: «Devo credere che quelli che sostengono che i Napoletani hanno un talento musicale innato, o non sono mai stati a Napoli, o hanno orecchie tali da non distinguere la differenza tra il latrato di un cane e il canto di un usignolo...».

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Vincenzo Pepe, SALERNO E LA SUA BAIA

Testimonianze di viaggiatori, artisti e letterati inglesi e americani dal Cinquecento al secolo del Grand Tour

Marlin Editore, Cava de’ Tirreni 2020, pp. 110, euro 19,50 


*GIGI SPINA (Salerno, 1946, è stato professore di Filologia Classica alla università Federico II di Napoli. Pratica jazz e tennis. Gli piace pensare e scrivere, mescolando passato e presente)   


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