Ritorno alla Siria, dopo la guerra. Damasco, Homs e il Krac des Chevaliers / 1

foto e testo di LUCA FORTIS*

Aleppo è stata da sempre considerata dai viaggiatori una perla, una di quelle città magiche che trasmettono emozioni che non si dimenticano. La sua distruzione durante la guerra civile siriana è stata una tragedia nella tragedia. La città però non è andata persa del tutto, come molti pensano.


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(Aleppo)

Quest’articolo è la cronaca di un viaggio che ho fatto in Siria nel 2019. Sembra uno scherzo, ma non lo è. Nel 2019 in Siria alcune agenzie turistiche di Damasco avevano già riaperto i battenti e organizzavano viaggi in quasi tutti i luoghi turistici del paese, Palmira compresa. La politica delle porte aperte ai turisti faceva parte del tentativo di fare ripartire il paese nonostante la guerra civile ancora in corso nella zona di Idlib. Per comprendere come fosse possibile, visto che nell’immaginazione della maggior parte delle persone non rimane quasi nulla del patrimonio artistico del paese, bisogna dire innanzitutto che non è così. Nessuna città o sito è stato completamente distrutto, il centro storico di Damasco è per fortuna completamente intatto e nel 2019 era sorprendentemente pieno di vita.




Città come Homs o Aleppo hanno vissuto guerre di trincea, alcuni quartieri, mai conquistati dai ribelli, sono rimasti perfettamente intatti, altri in cui si è combattuto casa per casa sono distrutti. Ma anche qui bisogna fare una distinzione tra quartieri antichi e moderni. Infatti i palazzi in cemento armato, una volta centrati da mortai, missili o altro, si accasciano su se stessi e non resta che raderli al suolo. Quelli antichi, costruiti in pietra e legno, hanno invece una resistenza maggiore e anche se centrati il danno rimane spesso circoscritto alla zona di impatto o, se crollano, le pietre sono in gran parte ricuperabili e possono essere rimontate.


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(Damasco)

Il governo di Assad, appena riconquistato il territorio, in uno sforzo per mostrare che è diverso dall’Isis che distrugge i monumenti e perseguita le minoranze religiose, ha iniziato una potente campagna d’immagine che ha puntato molto sull’importanza della cultura e della riapertura dei luoghi di culto, chiese comprese. Questa guerra di immagini si accompagna ad una profonda vitalità del popolo siriano.  Nel 2019 quello che sorprendeva erano i locali pieni e la quantità di gente che usciva per passeggiare, mangiare fuori, fare picnic all’aperto e nei quartieri più chic andare per locali, bersi un thè o un bicchiere di vino. 

Le persone si comportavano come qualcuno che avesse avuto un incidente stradale e avendo pensato di morire è talmente stupito di essere ancora vivo che più che approfondire cosa sia successo desidera solo uscire e vivere. Probabilmente solamente tra qualche anno le persone metabolizzeranno cosa è davvero accaduto.  Questo articolo non vuole entrare nei meandri della guerra civile siriana, piuttosto vuole essere una cronaca di viaggio, una pista, un sentiero, per dire che si può tornare in Siria e ci si può fare un’idea con i propri occhi. Certo questo processo si è fermato con la crisi del coronavirus, ma a breve, si dice verso settembre, dovrebbero riaprire le frontiere.

La prima regola da tener presente è che per entrare in Siria bisogna affidarsi a un tour operator di Damasco che si occuperà delle pratiche per ottenere il visto turistico. Anche se come ho fatto io si arriva dal Libano, è meglio far fare tutto all’agenzia siriana e non alle ambasciate in paesi terzi. Superato questo passaggio, bisogna sapere che non si può attualmente viaggiare in autonomia, ma che è necessario muoversi con una guida. Nel mio caso peraltro la guida era davvero molto preparata e siamo anche diventati amici. Senza una guida diventa praticamente impossibile uscire da Damasco, dove nel 2019 vi erano ogni dieci chilometri check point militari in cui si doveva far vedere che si era in possesso di un visto. L’agenzia stessa mi ha proposto di viaggiare insieme a un ragazzo francese e uno svizzero, cosa che ha reso i costi quasi irrisori. In tutte le città avevano già aperto alcuni hotel e molti musei.


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(Damasco)


I primi giorni li abbiamo passati a Damasco, che si è presentata ai nostri occhi completamente intatta, almeno nelle aree centrali e turistiche, e come accennavo in preda a un’esplosione di vita. L’atmosfera, aggirandosi tra chiese, moschee, templi romani, bar, ristoranti e il grandioso suq, mi dava le stesse sensazioni che provo a passeggiare a luglio nelle piazze piene di studenti universitari del centro di Napoli o Palermo. Una percezione davvero strana, per un paese in guerra civile. Abituati alle rappresentazioni delle guerre fatte dai media, un’informazione in bianco e nero, fatichiamo a comprendere che sotto le guerre la vita tragicamente trova comunque forme per andare avanti e come, quando non si ha nulla da perdere, paradossalmente si cerchi di vivere in modo ancora più intenso. Non avendo idea del domani, si vive al massimo l’oggi. La resilienza, la capacità di adattamento, di sopravvivenza e la rinascita, erano forse quello che mi interessava di più.




La multi-religiosità della città ribolliva di vita. La Grande Moschea degli Omayyadi era aperta, sia per i fedeli sunniti che per i turisti, già restaurata dall’unico danno causato da un missile che aveva colpito alcuni dei mosaici. Anche le chiese cristiane orientali, come quelle cattoliche, erano brulicanti di fedeli, e così il grande santuario sciita di Sayyida Zeinab, luogo di culto dedicato a una delle nipoti di Maometto

Nelle strade del centro le donne erano in parte velate e in parte no, difficile capire chi fosse musulmano sunnita o sciita, islamico laico, chi cristiano o alawita o druso. La maggior parte dei musei erano aperti, compreso lo splendido Museo Archeologico, anche se non tutte le sezioni erano visitabili perché molti dei reperti sono stati nascosti quando la guerra civile ha lambito i quartieri periferici della città.


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(Damasco)


Il grandioso suq e le viuzze del centro storico erano stracolmi di persone e di vita, regalavano emozioni forti, così come le architetture di una città sfrontatamente bella.

Uscendo da Damasco i contrasti lasciati dalla guerra civile si fanno stridenti. La prima tappa del viaggio è stata Maaloula, la cittadina cristiana siriaca, con i suoi monasteri e la sua gente che ancora parla siriaco, l’antica lingua siriana.



Quello che mi è rimasto più impresso è stata la piazza del paese, circondata da edifici piuttosto danneggiati dalla guerra, ma con parcheggiato nel mezzo un grande pullman pieno di pellegrini cristiani e dove alcuni operai ripavimentavano l'ampio spazio. Dietro troneggiava una moschea con il minareto troncato da un missile.

I monasteri erano già aperti al pubblico e pieni di fedeli. A ben guardare però le icone erano state sfregiate e distrutte quando la città fu attaccata da un gruppo di integralisti islamici che aveva rapito anche alcune suore, poi per fortuna liberate. Finita la visita abbiamo acquistato un paio di bottiglie di vino prodotte nel monastero e siamo partiti per vedere la fortezza Krac des Chevaliers.


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(Il Krak des Chevaliers)


Salendo sulla montagna dovunque le case erano abbandonate e forate da proiettili, si vedeva che la guerra era stata combattuta casa per casa. Arrivando in alto però si scopriva che il Krac è praticamente del tutto intatto. La fortezza non è stata conquistata, ed è rimasta in mani governative nonostante i combattimenti alle sue pendici. Entrando dentro, pagato il biglietto, si entra in un mondo incredibile, dove l’arte dei crociati medioevali incontra quella islamica. Per fortuna gli unici colpi di mortaio hanno colpito parti restaurabili, in particolare alcune bifore della sala centrale del castello. Quello che però mi ha colpito di più è stato incontrare una cinquantina di scout che portavano grandi croci in legno e turiste non velate che si facevano i selfie con le classiche aste per tenere i cellulari. Scene simili a quelle che avrei visto in Italia. Finita la visita abbiamo mangiato un ottimo pranzo nei ruderi di un hotel, senza porte e finestre. Il proprietario aveva riaperto il ristorante, in attesa di restaurare il resto.


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(Homs)

La sera siamo arrivati a Homs, la città ha vissuto una guerra di trincea, nel 2019 era tornata stabilmente nelle mani del governo. I quartieri che erano sempre rimasti sotto il suo controllo erano perfettamente intatti e brulicanti di vita, mercati, giostre per i bambini. I quartieri moderni, che erano invece in mano ai ribelli, sono stati distrutti durante la guerra e sono spettrali. Vie di palazzi in cemento armato che si sono ripiegati su se stessi come torte schiacciate.

(1 - continua)


leggi la seconda parte


*LUCA FORTIS (Mi considero un nomade, sono attratto dai percorsi irregolari, da chi sa infrangere le barriere e dalla scoperta dei tanti “altri”. Ho un pizzico di sangue iraniano. Sono giornalista freelance specializzato in reportage dal Medio Oriente e dalle realtà periferiche o poco conosciute dell’Italia. Lavoro anche nel sociale a Napoli)


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