RECENSIONE - Vita di partito, un magnifico viaggio. Da rifare

di BRUNO MISERENDINO*

Tutti d’accordo, non ci sono più i partiti di una volta. Perché la storia non si raddrizza, è la storia che mette in riga tutti noi. Nemmeno gli apparati dei partiti sono più gli stessi (in qualche caso non esistono proprio), le mitiche sezioni con le sedie scomode, piene di fumo e di gente, sono un ricordo lontano, e ovviamente anche i funzionari di partito non esistono più o sono molto diversi da quella iconografia di alcuni decenni fa: persone grigie, vestite di grigio, un po’ supponenti, fedeli solo al partito e dedite a un lavoro fatto di riunioni, incontri, incontri e riunioni, il cui scopo era quello di far funzionare l’apparato di cui sopra e diffondere il verbo del partito.


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(Francesco Riccio, a sinistra, con Renato Zangheri)


Si può avere nostalgia di tutto questo? La maggioranza direbbe di no, molti mettono mano alla pistola appena si evoca il termine partito, ma chi tutto questo l’ha vissuto un rimpianto ce l’ha. Insomma, lo rifarebbe. Perché quell’immagine grigia era falsa, e per tutti quell’esperienza è stata un bagno di umanità e un percorso intellettuale che ha dato un senso alla vita. Comunque sia andata a finire.

Poiché in Italia “l’apparato” per eccellenza era quello del Pci, c’è chi ha voluto raccontare con ironia, semplicità, affetto e molti aneddoti il suo personale viaggio in quel mondo per nulla rinchiuso in se stesso, e invece molto ricco e popolato di persone che sapevano ridere di sé e del mondo. Spinte tutte, dal militante al funzionario al dirigente, da una comune passione politica, che in realtà era “amore per il proprio paese”. Piacerà soprattutto a chi ha condiviso quell’esperienza e la stagione politica dei “partiti pesanti”, ma bisogna dire che nel libro di Francesco Riccio (“Lo rifarei" - Vita di partito da via Barberia a Botteghe Oscure, edito da Strisciarossa con prefazione di Gianni Cuperlo) la nostalgia c’è ma non riguarda il Pci in quanto tale.  Si rimpiange quella umanità straordinaria che ha affollato la sua storia, e che Francesco Riccio  ha conosciuto prima in uno dei suoi centri vitali, “l’incommensurabile” federazione bolognese di via Barberia, e poi nella tolda di comando di Botteghe Oscure.

Militante, funzionario, poi responsabile per anni delle Feste dell’Unità,  e infine tesoriere del Pds-Ds, quando per la verità non c’era alcun tesoro e bisognava solo fare i conti dei debiti,  Riccio scrive una sorta di autobiografia collettiva fatta di personaggi, situazioni, battute, amicizie, simpatie, retroscena che hanno accompagnato la sua esperienza, restituendo un’immagine inedita di quel percorso. “In trent’anni di meravigliosa esperienza - scrive nelle prime pagine - ho avuto la fortuna di incontrare splendide persone, consapevoli e libere, capaci di affrontare delusioni e gioie con grande intensità razionale”. Sì, le donne e gli uomini di quell’epopea erano persone che sacrificavano al partito tutto, si nutrivano di politica, e per questo apparivano aliene ai più.  “La militanza è tiranna - scrive Cuperlo nella prefazione - ti sottrae vita, affetti, famiglia, tempo, svago, ogni cosa, ma in cambio di cosa?”.  Quando ti chiedevi perché,  “…te lo ripagava la coscienza che a farlo erano persone come te che credevano che avesse un senso farlo”.



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(Congresso nazionale del Pci, Milano 1972)


Il senso c’era, ed è in fondo questo il leit motiv di tutto il racconto di Riccio, non tanto perché serviva a far vivere un partito che era un pezzo di storia italiana, ma perché era quello il modo in cui ognuno, dal militante al dirigente, pensava di portare il suo grammo di valore aggiunto al miglioramento economico, culturale, civile dell’Italia. Sarà pure stato “antipatico e supponente” questo apparato, come ha scritto qualche commentatore con la puzza sotto al naso,  (“come la scarlattina che parla della rosolia”, chiosa Riccio), ma proprio quell’apparato garantiva il contatto col territorio e la conoscenza dei sentimenti e dei bisogni dei cittadini. Una volta tolto il finanziamento pubblico, con i partiti in crisi passati prima allo stato liquido e poi gassoso, questo contatto è andato a farsi benedire.  Se c’è nostalgia, è dunque quella del partito che c’è, si sente e si vede nella società e nel territorio.

E a proposito di grammi di valore aggiunto, forse non a caso “Ciccio”, come lo chiamavano tutti a Bologna e a Botteghe Oscure,  inizia il libro parlando di Francesco Neri, l’uomo dei numeri (dei soldi) alle Feste dell’Unità in quel dell’Emilia e poi a livello nazionale. Poteva discutere per ore con le centinaia di cuochi delle Feste della “grammatura”. Perché - spiegava - non si ha idea, quando distribuisci centinaia di migliaia di pasti, dell’importanza di calibrare e non sprecare sale e altri ingredienti. 

E’ una cosa che fanno adesso con computer e algoritmi i grandi manager delle grandi aziende. Un mago dei conti, Francesco, alle sette di sera girava per gli stand e faceva le previsioni degli incassi: si parlava di centinaia di milioni, il giorno dopo le cifre vere si discostavano di pochissimo.  Era di origini contadine, il suo mondo era una bella casa di campagna e la sua cantina, “pensa - diceva con ironia a Ciccio - grazie al Pci ho fatto persino l’assessore alla cultura del mio paese, io..”.  La sua figura è descritta con grande amore perché è il simbolo di quella categoria di persone che ha dato la vita al partito senza chiedere nulla, poltrone, fama, soldi. Solo perché “ci credeva”. “Al partito tutto era dovuto – diceva - e dal partito nulla si doveva pretendere”.

Quando il Pci finisce e diventa un’altra cosa, anzi “La Cosa”, la tensione si taglia a fette e Francesco Riccio la ricorda così: “I telefoni squillavano in continuazione. I corridoi di Botteghe Oscure erano una grande piazza, lacrime e razionali discorsi si mischiavano in un clima che non era assolutamente, in quel momento, di entusiasmo da nuovo inizio. Molti raccontavano di liti in famiglia. Furono i compagni più anziani a fare in modo che la ragione politica prendesse il posto dell’emotività. Ciascuno di noi che dirigeva un settore di lavoro fu incaricato di sentire i compagni dell’apparato, quelli con i quali lavorava. Il dialogo con Neri (ecco, l’uomo dei conti ndr) fu illuminante, per saggezza. Un mix di nostalgia irreprimibile e consapevolezza politica profonda. Altro che cervello all’ammasso. Quei cervelli funzionavano, eccome. Si riferì alla sua storia. Mi ricordò come un contadino della bassa poteva diventare assessore alla Cultura e presidente dell’ospedale. Quello per lui era stato il partito. Una scuola di emancipazione, di rigore morale, di spirito di sacrificio”.




Innamorato, come molti, del Pci di Berlinguer, Riccio  vive tutta la lunga trasformazione seguita alla caduta del Muro di Berlino, dalla nascita del Pds fino alle soglie del Pd. Sulla vittoria dell’Ulivo del ’96, oltre a molti aneddoti, i sarcasmi di d’Alema, le battute di Veltroni, ricorda un episodio che lo riguarda e fa capire che cosa è la disciplina di partito. Nella notte che precede la frenetica presentazione delle liste, con quella infinità di sigle che ricordano le targhe delle province,  si pone il problema di trovare un posto per la responsabile delle casalinghe, Federica Rossi Gasparrini che aveva lasciato Berlusconi,  "ed aveva anche due cognomi”. Chiamarono tutti, lui e Zani, responsabile delle liste per il Pds, ricevendo cortesi dinieghi, nessuno voleva rinunciare. "Ad un certo punto - racconta Riccio  -  dopo l’ennesimo niet ci guardammo in faccia e ci venne spontaneo: se l’avessero chiesto a qualcuno di noi avremmo risolto subito il problema. Cedendo il posto, ovviamente. Conclusa la notte delle liste Zani si avvicinò e mi disse: 'Mi dispiace, ma non c’era più un posto'. E io: 'Non l’ho mica chiesto'. 'Per questo mi dispiace', di rimando".

Non ha avuto un posto in parlamento ma dal partito, senza chiederlo, ha avuto molto. Riccio, calabrese di buona famiglia, studi di medicina, ricorda il rito della prima tessera, (allora bisognava essere presentati da due compagni conosciuti dal direttivo della sezione, poi c’era un colloquio e il comitato si riuniva per decidere se accettare, altro che curriculum su internet). Il suo cuore è restato a Bologna, “lafederazionecomunistapiùgranded’europa”,  detto così tutto d’un fiato, che stava nella splendida sede di via Barberia, con le sale e i soppalchi che lui si fermava ogni volta a guardare. Ma ha vissuto bene anche nella Roma di via Botteghe Oscure. Ha avuto uno stipendio, ha potuto completare gli studi, ha viaggiato molto:  perché l’organizzazione delle Feste nazionali dell’Unità, da cui dipendeva gran parte del finanziamento del partito, era una macchina incredibilmente complessa, bisognava invitare delegazioni estere, personaggi, leader, pensare spazi, scenografie, mostre, spettacoli. Questa esperienza, condivisa con molte altre persone, è stata fondamentale e ha significato per lui una cosa: un enorme arricchimento culturale. Ma in realtà non solo per lui: quel partito che era tutt’uno con gran parte della cultura italiana del dopoguerra ha “restituito” cultura, conoscenza ed esperienza  a tutti, dal semplice militante al leader, formando così la sua classe dirigente.  


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(“Lo rifarei" - Vita di partito da via Barberia a Botteghe Oscure ed Strisciarossa, prefazione di Gianni Cuperlo)


Certo, c’era la fatica di un lavoro totalizzante. Non solo le notti insonni dietro alle percentuali dei voti, o l’organizzazione degli eventi. Quando ha fatto il tesoriere è incappato nella lunga agonia dell’Unità, giornale a cui era molto affezionato, e nella crisi finanziaria dei partiti, profetizzata da Craxi dopo l’arrivo di Tangentopoli:   “Dei partiti non rimarrà nulla, solo bollette da pagare”.  Il Pds-Ds, che fu sfiorato da quel ciclone, resistette di più, ma la crisi fu implacabile lo stesso. Riccio ha fatto parte del cosiddetto “club dei tesorieri”, perché tutti i partiti, tranne quelli personali, avevano gli stessi problemi. E’ stata una rincorsa a spendere meno, ridurre il personale, tagliare da ogni parte, andare in banca a chiedere soldi e dilazioni, far quadrare quello che non poteva più quadrare. Racconta, non senza autoironia, gli incontri con Geronzi e Cuccia, alla caccia di prestiti. Racconta lo splendido episodio di quando andò a pranzo dietro Botteghe Oscure con D’Alema, Ettore Scola e Vittorio Gassman. Lui fu presentato come il tesoriere e Gassman, porgendogli la mano, disse subito: “Io solo un risottino eh! Non ho preso neanche il secondo!”. Quando il genio si affaccia sulla terra, chiosa Cuperlo.



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(Festa nazionale dell'unità, Napoli 1976      foto archivipci.it)


Riccio ha lasciato la politica come tanti militanti e funzionari, senza sbattere la porta: “In un’assemblea in via Palermo, (la sede Ds dopo l’addio a Botteghe Oscure) annunciai che avrei cambiato lavoro. Mi mettevo temporaneamente in aspettativa. Insomma me ne andai. Non mi sono mai chiesto se fu una scelta giusta. Ho sempre agito d’impulso. Nessuno mi aveva indotto a fare il funzionario di partito. Decisi come sempre in solitudine. Me ne andai serenamente”. Conclude con le parole usate per ricordare il centenario: “Ci abbiamo provato, ci siamo anche divertiti. E non siamo pentiti”.   Dà un solo consiglio al Pd, e in generale ai partiti, se vogliono esistere:  “Riapriamo le sezioni e i dibattiti”.  E’ una ricetta giusta.  Anche se la storia non torna mai veramente indietro. Va avanti, sulla base di quello che c’è.  Il resto è nostalgia.


(*Libro acquistabile attraverso la mail libri@strisciarossa.it indicando nome, cognome e indirizzo a cui verrà spedito il volume e allegando la copia del bonifico di 15 euro con causale “donazione libro Lo rifarei” all’IBAN IT05C0200805075000105517700 – Banca Unicredit filiale di Piazza Barberini, Roma, Intestato a “Associazione strisciarossa”)

 

 

*BRUNO MISERENDINO (Nato a Roma nel 1951, inutile laurea in Storia, insegnante e poi giornalista all’Unità per 33 anni, inviato di politica per troppo tempo e per questo pre-pensionato felice. Amo la musica, anche se il violoncello non se ne accorge, alle città preferisco montagne, deserti e mare. Prima o poi andrò a vivere all’Elba. Ma devo sbrigarmi)


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