RECENSIONE / Marmolada, la meraviglia delle Dolomiti fuori pista

di STEFANO ARDITO* 

(foto nel testo tratte dal volume "Marmolada bianca")


Le guide di itinerari in montagna, e ve lo dice uno che ne ha scritte parecchie, possono essere di due tipi. Ci sono le guide-e-basta, tecniche e senza fronzoli, che indicano solo tempi, difficoltà e dislivelli. Chi le utilizza, a volte, si sente osservato dall’autore, pronto a sgridarlo se sosta per osservare un panorama o una baita, e se rallenta sulla tabella di marcia prevista.

Poi ci sono le guide-compagne-di-viaggio, quelle che alle informazioni necessarie (destra o sinistra; il periodo più adatto; i tratti difficili o insidiosi del percorso) affiancano aneddoti e racconti, informazioni su fioriture e stambecchi, notizie storiche su eremi, torri medievali e trincee.

Alle informazioni, in molti casi, si affiancano giudizi su come quel territorio è stato o è ancora gestito. Il mestiere dell’autore è di non dilungarsi, di incuriosire, di coinvolgere e accompagnare il lettore. Quello dell’editore sta nel fabbricare un oggetto dal peso e dal costo contenuto, in grado di entrare in uno zaino.

La cestovia in un fine settimana de maggio 2017 da libroJPG

(La cestovia della Marmolada in un fine settimana del maggio 2017)


Giorgio Daidola, torinese trapiantato in Trentino, appartiene alla seconda categoria. Nel suo Marmolada bianca (Edizioni del Faro, 2021, 108 pagine, 15 euro) descrive con competenza e passione undici itinerari di scialpinismo sui pendii della “Regina delle Dolomiti”.

Otto scendono sul versante settentrionale del massiccio, dove la neve, abbondante d’inverno e in primavera, nasconde la tristezza del rapido ritiro del ghiacciaio, che si avvicina a larghi passi all’estinzione.

Gli altri tre sono delle traversate poco frequentate, che interessano il selvaggio versante meridionale della Marmolada, con i suoi solitari valloni sorvegliati dalla verticale e levigata parete Sud, frequentata d’estate dai migliori arrampicatori del mondo.

Accanto alle descrizioni dei percorsi, e a bellissime foto, Daidola ha inserito nella guida dei suoi scritti dedicati alla Marmolada, all’evoluzione dello sci e alla trasformazione delle Alpi da parte dei promotori del turismo invernale di massa. Alcuni sono usciti sul Corriere del Trentino o su Meridiani Montagne, altri sono pagine di Ski spirit, il libro dello stesso Daidola che nel 2016 ha vinto il prestigioso Premio Gambrinus “Giuseppe Mazzotti”.


Punta di rocca e Punta penia viste dalla stazione superiore di Malga Ciapela     dal libroJPG

(Punta di Rocca e Punta Penia viste dalla stazione superiore della funivia di Malga Ciapela)


Giorgio Daidola è uno sciatore provetto e curioso. In decenni di esperienza in montagna (è nato nel 1943) è passato dalle nevi delle Alpi occidentali a quelle delle Dolomiti e poi di molte montagne del mondo.  Trent’anni fa, con altri appassionati, ha reintrodotto in Italia il telemark, lo sci a talloni liberi ideato decenni prima in Norvegia. Più tardi, in questo modo, è salito e ridisceso dallo Shisha Pagma, 8027 metri, sul confine tra Nepal e Tibet, e da cime della Patagonia, del Karakorum, delle Svalbard e del Libano. Da anni, all’amore per lo sci, Giorgio affianca quello per la vela.

Daidola, però, non è solo un uomo di avventura. I suoi corsi di Analisi economico-finanziaria per le imprese turistiche all’Università di Trento gli hanno consentito di riflettere sulla storia e le prospettive dell’industria della neve.

Come giornalista ha diretto la Rivista della Montagna, una delle prime testate indipendenti del settore, e il suo annuario Dimensione sci. Il documentario Il diritto e il rovescio, del filmmaker e scialpinista romano Alberto Sciamplicotti, in cui Daidola è protagonista, è stato girato in Armenia ed è stato premiato in vari festival.


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(Folla di scialpinisti sulla cima di Punta di Rocca nel maggio 2018)


Cuore di Marmolada bianca sono le descrizioni degli spettacolari itinerari che scendono dalla Punta Penìa, che con i suoi 3348 metri è il “tetto” delle Dolomiti, e dalla Punta Rocca, di qualche metro più bassa, dove arriva la funivia di Malga Ciapela e del Serauta.

La Lydia, la Bellunese vecchia e la Bellunese di sinistra, le due Infra i Sass, il Canyon e la via normale della Punta Penìa sono percorsi di impegno medio-alto, riservati a scialpinisti che sanno di alta montagna, dove i meno esperti possono cimentarsi in sicurezza affidandosi a una guida alpina. Stupiscono chi crede che a fine marzo gli sci debbano tornare in cantina, le immagini di curve in neve polverosa scattate a maggio inoltrato.      

Giorgio Daidola è uno scrittore educato, ma che dà dei giudizi netti. Nell’introduzione scrive dei “tristi lunapark di neve finta”, o della traccia GPS che “toglie il piacere di scegliere, in base alla propria sensibilità ed esperienza, i pendii in cui lasciare le proprie tracce, gustando le meraviglie di ciò che ci circonda anziché vivere la discesa guardando un piccolo schermo”.


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(L'autore di "Marmolada bianca" nella discesa del versante sud della Forcella Marmolada) 


Dalla prima all’ultima pagina di Marmolada Bianca affiora la preoccupazione per i nuovi, colossali impianti di risalita in progetto dal versante trentino. Progetti invisi “non solo agli ambientalisti ma anche ai sempre più numerosi scialpinisti”, e a “chi ha ancora un minimo di senso estetico nel valutare la bellezza della montagna”.


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(Marmolada bianca  - Edizioni del Faro, 2021, 108 pagine, 15 euro)


Il futuro turistico e ambientale della Marmolada, per la “proprietà” della quale, prima della pandemia, la Regione Veneto e la Provincia autonoma di Trento si sono duramente scontrate, dipende da variabili che sciatori e alpinisti non possono controllare, come la disponibilità di fondi pubblici e l’attenzione dei governanti alle nuove forme di turismo e all’ambiente. Gli interventi in vista delle Olimpiadi di Milano-Cortina del 2026, e che interesseranno anche la trentina Val di Fiemme, non inducono all’ottimismo.

Marmolada Bianca, però, non è un pamphlet ambientalista. Nelle sue pagine tornano più volte storie ed emozioni legate ai rifugi del versante settentrionale del massiccio, ai loro appassionati gestori, ai promotori di uno sci avventuroso e d’antan, senza investimenti miliardari ma pieno di rispetto e poesia.


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(La parte alta delle discese Lydia e Bellunese, aprile 2017)


Simbolo di questo mondo era la vecchia cestovia in vista del Lago di Fedaia, inaugurata nel 1974 e schiantata da una valanga nel dicembre del 2020 insieme al rifugio di Pian de’ Fiacconi. Un impianto lento, traballante e romantico, che riportava l’autore alla sua “infanzia sciatoria, quando sciare era considerato qualcosa di magico, che ti entrava dentro, che ti faceva sentire parte di un mondo fatato, in cui era possibile esprimere tutta la felicità di esistere”.  

 

*STEFANO ARDITO (E' noto ai camminatori per le sue guide dedicate ai sentieri dell’Appennino e delle Alpi. Giornalista, scrittore, documentarista, scrive per Il Messaggero, Meridiani Montagne, Plein Air e il sito Montagna.tv e Plein Air. Ha lavorato per Airone, Repubblica, il Venerdì, Specchio de La Stampa e Alp. E’ autore di circa 60 documentari, in buona parte trasmessi da Geo&Geo di Rai Tre. Tra i suoi ultimi libri sono Alpi di guerra, Alpi di pace, Premio Cortina Montagna 2015, e Alpini, finalista al Premio Bancarella 2020, entrambi editi da Corbaccio. Ha raccontato di Darjeeling e della cima più alta della Terra in Il gigante sconosciuto - Corbaccio, 2016 - dedicato al Kangchenjunga, e in Everest - Laterza, 2020 -, che celebra i cent’anni della prima spedizione britannica).


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