RECENSIONE - Il giramondo, strategie per esploratori prigionieri

di TINA PANE*

Mille sono gli espedienti o le invenzioni cui abbiamo fatto ricorso in questo lungo periodo di limitazione degli spostamenti per illuderci di viaggiare, o almeno per trovare dei modi alternativi di uscire dalle quattro mura e andare in giro per il mondo. Abbiamo visitato musei e pinacoteche online, attraversato scavi archeologici ricostruiti virtualmente, guardato avidamente le foto di reportage di piccoli borghi, di attraversamenti di deserti o di visite di città lontane, quasi facendo una prova generale per quando di nuovo riempiremo il trolley per partire.

E in qualche modo è questo ciò che ci propone di fare Gianluigi Schiavon con la sua recentissima raccolta di racconti brevi intitolata Giramondo (Giraldi Editore, pagg. 223, € 13,50). Schiavon ha attinto ai suoi viaggi in giro per il mondo, alla conoscenza di strade, metropolitane e percorsi, di locali e ritrovi, di abitudini o leggende metropolitane, per consegnarci delle vere e proprie cartoline di viaggio.

Al centro di ciascuna istantanea c’è sempre un personaggio strano, a volte surreale, colto nel ripetersi della sua quotidianità o proiettato al raggiungimento di un risultato, ma sempre dotato di un tocco naif, di una vena d’incanto.

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Le location sono le più varie, dalla Sicilia alla Norvegia, dal Brasile a Londra, dalla Francia all’America. C’è il detenuto italoamericano che prende la decisione di evadere dopo che la lettura di un giornale italiano gli ha rivelato gli strani fatti di casa nostra (papi che si dimettono e boss scarcerati per vizi di procedura) e il rapinatore di croissant a Parigi, che terrorizza le boulangeries della città; c’è il barbone di piazza San Marco che non ha un tetto ma abiti adatti per ogni stagione, uno lo indossa e gli altri li conserva in tre valigie che trascina sempre con se e c’è Stavros, il nocchiero greco che forse in tarda età trova l’amore della finlandese Annika.

Sembra quasi che l’autore ci restituisca le sue fantasie, quelle che nascono nella testa di chiunque viaggia, e per strada incrocia lo sguardo con persone di cui non capisce la lingua, non conosce la storia personale e forse neppure la cultura. Come quando gettiamo uno sguardo furtivo oltre una finestra, ascoltiamo parole che non capiamo e ci chiediamo cosa si mangia in quella casa, a che ora si va a letto e se litigano spesso. Non lo potremo mai sapere, ma solo immaginare, ed è questa la proposta di Schiavon, fare un breve tratto di strada insieme a degli sconosciuti, un tratto che non necessariamente ha un inizio o una fine, ma è del tutto casuale.

Non è casuale però il racconto che chiude la raccolta, e che si intitola In nessun posto. Qui, il professor Jonathan Ventura, esploratore bloccato in casa da una pandemia, diventa artefice della risoluzione della stessa grazie a un amico gatto di cui chiede la collaborazione. Tutto è bene ciò che finisce bene, dunque, e l’esploratore è pronto per partire, di nuovo. Ma nel suo zaino porta le ferite accumulate nel periodo in cui alla tivù ripetevano Vietato uscire!: “Immobile come il destino di una statua, viaggiava ma solo con il pensiero, fin dove il cuore gli permetteva di arrivare, perché a un certo punto di tutto quel pensare si sentiva più affaticato e sofferente di quando aveva attraversato il Sahara, navigato oltre l’Oceano Indiano, scalato di notte la cima del Monte Bianco (…)”.

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(Giramondo  di Gianluigi Schiavon      Giraldi Editore    pagg. 223    € 13,50)

Come Ventura, siamo tutti “esploratori prigionieri”, grati alla nostra immaginazione e ai prodigi della tecnologia, ma stanchi di farvi ricorso. E restiamo in attesa di sentire quella bella frase, Liberi tutti!


* TINA PANE (Napoli, 1962. Una laurea, un tesserino da pubblicista e un esodo incentivato da un lavoro per caso durato 30 anni. Ora libera: di camminare, fotografare, programmare viaggi anche brevissimi e vicini, scrivere di cose belle e di memorie)


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