RECENSIONE - Il Giappone Coast To Coast. Va' dove ti porta il treno, da Sud a Nord.

di MANUELA CASSARA'*

(foto da Destinazione Giappone)

 

Mauro Buffa, l’autore di “Destinazione Giappone”,  è un po’ come Paul Theroux, gli piacciono i treni. Sulla Transiberiana e la Transmongolia ci era già stato e ci aveva scritto due libri.  Con il suo ultimo nato ci racconta il Giappone a bordo di proiettili detti Shinkansen, utilizzando la principale  rete ferroviaria nipponica,  la JR, una ragnatela di 27.000 chilometri.  Buffa ne percorre 5.000, spostandosi da sud a nord con qualche deviazione a est e a ovest. In quanto tempo non ci giurerei, ma mi sembra di aver capito almeno in un mese. Il biglietto, che aveva comprato sul web, era costato la molto accettabile cifra di 709 €. Una volta arrivato, il voucher era stato convertito in una specie di passaporto, il Japan Rail Pass. Solo il Pass varrebbe il viaggio: copertina azzurro cielo con primo piano di rami di ciliegio in fiore e il monte Fuji, innevato, sullo sfondo. Un Haiku grafico del Giappone.

Tanto per dare l’idea di come funzionano i treni in quel del Sol Levante, è di qualche giorno fa la notizia di uno Shinkansen  che aveva tardato di UN, sì UNO, minuto. A seguito dell’intollerabile fatto, signori, è stata aperta un’inchiesta. Direi che sulle coincidenze ci si può contare.

Un dettaglio che trovo simpatico: ogni treno, per ogni tratta, ha un suo nome, poetico, evocativo. Mica uno squallido numero e basta, come i nostri.

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All’inizio del libro l’autore mi era sembrato un po’ spaesato, come del resto chiunque arrivi in Giappone per la prima volta. Io, dall’alto delle mie molteplici visite - dal 1992 al 2009 ci andavo, per lavoro, almeno un paio di volte l’anno - sorridevo con saccente tenerezza di fronte a certe sue apparenti ingenuità. Pensavo di saperla lunga. Poi, dopo poche pagine,  veramente poche, mi sono ricreduta. E ho capito che in 17 anni e 34 soggiorni avevo visto poco e niente. Imbarazzante.

Buffa ha affrontato il giro del Giappone quasi scientificamente.  Sistematicamente. Con curiosità; partendo dal basso, da Fukuoka nell’isola di Kyushu al Sud per arrivare a quella di Hokaido nell’estremo e freddo Nord. Venticinque tappe, se non ho sbagliato a contarle, toccando grandi città famose come Kyoto, Osaka, Kobe, Nara e aggiungendo sorprendenti digressioni in piccoli angoli remoti e affascinanti.

Identificazione totale con la sua descrizione dell’arrivo: quel jet lag che ti “colpisce come un diretto al mento”. Sette ore di fuso orario sommate a 14 di volo, sempre che sia diretto, che ti sballano il ritmo circadiano e non c’è melatonina che tenga. Metteteci il transfer da Narita a downtown Tokyo - ai mei tempi ci volevano altre due ore di autobus, imbottigliati nel traffico - e quando puoi finalmente sdraiarti su letto speri nel sonno eterno.

Il primo impatto con Tokyo all’autore ricorda “Lost in Translation”, a me direi piuttosto “Blade Runner”: quei giganteschi schermi perennemente illuminati con pubblicità gracchianti, quella vibrazione costante, ad ogni ora del giorno e della notte, quei grattacieli colorati, quella pioggia, spesso.

Mancavano solo le macchine volanti.

Condivido anche il suo smarrimento con la rete metropolitana, “linee che s’intersecano, si sovrappongono, procedono parallele e poi si biforcano”.  Un groviglio che gli ricorda “ un piatto di spaghetti”.

Un’occhiata alla piantina e pensi: non arriverò mai!

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Ricordo che era come trovarsi in un labirinto, peggio, molto peggio di quella Moscovita: il cirillico almeno con un po’ di pratica lo puoi memorizzare.   Con gli ideogrammi è dura.  Si assomigliano. All’epoca poi zero sottotitoli in inglese se non nelle stazioni principali: Shinjuko, Shibuya, Ikebukuro, Ueno. Ma le cose devono essere cambiate. E poi con lui c’era Claudio, il provvidenziale amico e compagno di viaggio, a suo agio con la lingua, con gli usi e costumi indigeni,  in grado di tradurre un menù,  scegliere un piatto, orientarsi su Google Maps. Se pensate di duplicare il viaggio di Buffa, perché ne avrete voglia, a me senz’altro è venuta, un consiglio da amica: clonate anche Claudio.

Tokyo ha 14 milioni di abitanti. E i Giapponesi saranno anche formato pocket in quanto a stazza, ma si muovono come un corpo unico.  Una folla brulicante, in perenne movimento. A parità o quasi di superficie con l’Italia, il Giappone ha il doppio degli abitanti. Noi 60, loro 126 milioni. Sono tanti, ma la differenza è che sono educati, rispettosi e … puliti.  Fidatevi, sono molto puliti. Anche in piena estate, anche quando stipati come sardine nei vagoni della metropolitana, i giapponesi non puzzano. Forse sarebbe più carino un “non odorano”. Vorrei poter dire altrettanto dei miei compatrioti. Gli stranieri, indifferentemente, vengono chiamati Gaijin, alieni. Perché noi puzziamo, starnutiamo, ci soffiamo il naso, facciamo cose per loro schifose, maleducate.  E ciò nonostante ci accolgono con gentilezza, con garbo, con simpatia curiosa, affascinati dalla nostra musica, dalla nostra arte, dal nostro cibo. Ma non divaghiamo.

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Torniamo al libro, che tocca ogni aspetto della cultura giapponese L’autore si sposta in modalità “low cost, a basso impatto ambientale e finanziario”, il che lo mette in contatto  con situazioni, persone e storie che a me, ex business woman confinata in albergoni senz’anima,  imprigionata in business lunch e interminabili riunioni, erano sfuggiti; incontri estemporanei con altri travellers, negli ostelli, in piccole guest house decentrate, con sconosciuti incrociati davanti a un ramen; aneddoti, suggerimenti, dritte, che fanno di questo modo di viaggiare un qualcosa che ti arricchisce.

Ci sono cose, nel libro, che trovo utilissime e impagabili. In primis l’itinerario: in ogni città o sperduta stanzioncina, un aneddoto ce la rende vicina; la descrizione di Hiroshima è struggente. La pace dei templi shintoisti, i grandi castelli dei Samurai, i paesini dove il tempo si è fermato, dove i gadget futuribili di Akihabara, la Electric Town di Tokyo sono lontani anni luce.

E poi i consigli pratici.

Tipo: come affrontare un WC pirotecnico, che sembra uscito da un’astronave. Come dormire nel loculo di un Capsule hotel.  

Come fare un O Furo, quel bagno purificatore dove si entra già lavati e ci s’immerge, immobili per non bollire, dentro una vasca a 45°.

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Come mangiare a gambe incrociate su stuoie di paglia.

E anche cosa mangiare. Okonomiyaki, Yakitori, Ramen, Tempura, Takoyaki.  Ci sono cibi deliziosi e poco costosi, uno street food a buon mercato che ha rimosso il mio ricordo di un Giappone carissimo, come lo era quando ci andavo io, quando un semplice udon costava 10 €, per non parlare dell’indimenticabile perfezione di una scatola di ciliegie o di un melone a 10.000 Yen, che all’epoca equivaleva a 100 €.

In Giappone si mangia a tutte le ore, tanto e bene. Sembra che Tokyo sia la città con il maggior numero di ristoranti pro capite: 1000 ogni centomila abitanti, contro i 300 di Roma o Londra. Quindi, tranquilli, non si muore di fame.

Anche in treno, dove esiste il delizioso Bento Box, una specie di raffinato picnic in scatola che si può acquistare a ogni stazione,  ognuna famosa per le sue specialità.

CJPG

("Destinazione Giappone" di Mauro Buffa, Ediciclo -   pagg 192 euro 16)


Le cose sono cambiate, il Giappone è perciò diventato più abbordabile, o forse, più semplicemente, Mauro Buffa ha saputo riconoscerle, cercarle, raccontarcele e trasmetterle. Destinazione Giappone mi ha messo una gran voglia di tornarci per scoprire tutto quello che mi sono persa. 


*MANUELA CASSARA’  (Roma 1949, giornalista, ha lavorato unicamente nella moda, scrivendo per settimanali di settore e mensili femminili, per poi dedicarsi al marketing, alla comunicazione e all’ immagine per alcuni importanti marchi. Giramondo fin da ragazza, ama raccontare le sue impressioni e ricordi agli amici e sui social. Sposata con Giovanni Viviani, sui viaggi si sono trovati. Ma in verità  anche sul resto)




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