Quel colloquio con Cristina Calderòn, il mito della Terra del Fuoco. Muore con lei la lingua Yagan
*************************************
La notte di Capodanno del 2015 l’ho passata rigirandomi insonne su una poltrona reclinabile del traghetto di linea che collega Punta Arenas, estremo sud della Patagonia cilena, a Puerto Williams, 2500 anime, sufficienti a farne la città più meridionale del mondo e la capitale della regione antartica cilena, sull’isola Navarino, una lingua di terra semidisabitata schiacciata tra la Terra del Fuoco e capo Horn. Tra la partenza e l’arrivo del traghetto ci sono 32 ore di navigazione lungo lo stretto di Magellano, costeggiando a ovest la Terra del Fuoco per poi addentrarsi nel canale di Beagle, stretti tra montagne e distese di ghiaccio dai nomi familiari. Come il ghiacciaio Italia, nel parco nazionale Alberto Maria de Agostini, intitolato al sacerdote, alpinista, geografo, fotografo, cineasta e etnologo piemontese che alle latitudini patagoniche è una celebrità assoluta per aver esplorato montagne e svelato con empatia usi e costumi di popolazioni indigene destinate ad una rapida estinzione.
(L'itinerario del traghetto per Puerto Williams)
Ad agitare il mio sonno, oltre alla scomodità dei sedili del barcone Yagan, l’incombenza del mattino successivo, ossia una breve conferenza a tema etnografico, su cui preferisco sorvolare, che avrei dovuto tenere in inglese in sala mensa ad un gruppo di studenti e professori di varie parti del mondo, un misto di biologi, filosofi, scienziati ambientali e artisti, per giustificare la mia presenza su quella nave, che non fosse solo essere una turista al seguito di mio marito, tra gli invitati ufficiali in qualità di musicista. Una compagnia eterogenea messa insieme dal filosofo-biologo-ecologo-musicista di Santiago del Cile Ricardo Rozzi, professore dell’università del North Texas, che da anni organizza seminari interdisciplinari internazionali a Navarino, uno dei luoghi al mondo più scomodi da raggiungere e in teoria incontaminati e proprio per questo anche uno dei più preziosi per raccontare come stanno andando le cose sul pianeta, cioè in definitiva piuttosto male. Ma anche il viaggio andava messo a frutto: Rozzi aveva affittato tutto il traghetto per la traversata alternando i seminari al godimento del paesaggio meraviglioso nella luce fredda dell’estate antartica, con l’affiorare qua e là di qualche balenottera.
(Il traghetto Yagan)
Una specie di crociera in classe economica sulle orme di quello che era stato l’itinerario del Beagle, quello del capitano Robert Fitzroy e di Charles Darwin, che proprio da queste parti si era lasciato andare a considerazioni piuttosto feroci sugli indigeni incrociati mentre pagaiavano nudi nel gelo australe: «Guardando uomini siffatti si stentava a credere che fossero nostri simili e abitanti dello stesso nostro mondo». Parlava degli yagan, il popolo da cui prende il nome il traghetto e di cui restano poche centinaia di individui, alcune decine a Navarino, tra i quali la leggendaria Cristina Calderon, oggi 92enne, ultima parlante della sua lingua. Per questo l’hanno nominata Tesoro umano vivente dell’Unesco, in una sorta di “monumentificazione” in vita, in un singolare contrappasso che tocca a chi è sopravvissuto agli stermini da parte di quella cultura che poi ti mette su un piedistallo appunto perché sei l’ultimo rimasto.
(Cristina Calderòn)
Proprio dal rapporto con lei e con la sorella Ursula, morta nel 2005, è nato il progetto di Rozzi del parco etnobotanico di Omora, uno spicchio di foresta primigenia di faggi antartici a pochi chilometri da Puerto Williams, punto di transito di molti uccelli migratori. Il fatto che nella cultura yagan uomini e uccelli siano parenti molto stretti ha prodotto, per esempio, una guida multietnica degli uccelli del parco realizzata con le due sorelle Calderon e con un team di ornitologi, nella quale il picchio gigante, davvero enorme, o l’oca di Magellano sono descritti con criteri scientifici, culturali e artistici e con i nomi e le leggende yagan. Il parco stesso è pensato come un posto dove si sperimenta un modo diverso di stare nella natura, la “filosofia ambientale sul campo”, ossia visite “eticamente” guidate per addestrare futuri scienziati e turisti a guardare il mondo attraverso le diverse lenti della scienza, delle tradizioni locali, dello sguardo artistico. Ma anche, letteralmente, attraverso una lente di ingrandimento.
(Ecoturismo con la lente. A destra, Ricardo Rozzi)
Uno dei pezzi forti di Omora è infatti l’“ecoturismo con lupa”(lente): consiste, decisamente in controtendenza con l’idea di un turismo mordi e fuggi, nell’andare in giro per i boschi con una lente per scoprire la bellezza e la fauna che popola le «foreste in miniatura di licheni» che in effetti colonizzano gran parte della natura australe. Capita anche di partecipare con gli ornitologi alle retate di cattura degli uccelli migratori, che vengono studiati e inanellati per seguirne le rotte e sperimentare il cosiddetto “corazón a corazón”, ossia sentire il cuoricino dell’animale vicino al proprio mentre lo si tiene in mano per percepire il legame che ci unisce, come dicono gli yagan, a questi parenti. Un’esperienza antispecista che non mi ha convinto: il volatile mi pareva terrorizzato e anch’io non mi sentivo del tutto a mio agio. Da questo punto di vista eravamo abbastanza in sintonia.
(Villa Ukika)
Cristina Calderon vive ancora a villa Ukika, una manciata di case fuori da Puerto Williams, abitata solo da famiglie yagan. Quando sono andata a trovarla, nel 2015, mi ha accolto nella sua casa, le ho comprato alcuni oggetti di artigianato che costituiscono ormai la principale attività degli yagan e abbiamo parlato un po’. Come spesso mi è capitato viaggiando nei posti remoti del Sudamerica, vengo assalita da una nostalgia di mondi irrimediabilmente perduti, schiantati dall’impatto traumatico della conquista: gli yagan per circa 6000 anni hanno vissuto come pescatori nomadi nell’arcipelago dell’area magellanica, uno stile di vita durissimo che Cristina ha fatto in tempo a conoscere da bambina, fino a che i pochi sopravvissuti ai massacri dei coloni e alle malattie non sono stati costretti a fermarsi dalle imposizioni dello stato cileno, «per il loro bene»: per esempio vietandogli di usare le loro canoe perché non conformi agli standard nautici.
(Barche a Puerto Williams, sul canale di Beagle)
Essere un monumento vivente l’ha un po’ stancata così come essere l’ultima depositaria di una lingua che non vuole più parlare nessuno. «Finché era viva mia sorella parlavo con lei. Ora da sola è più difficile ricordare». I figli, nove da tre mariti diversi, e i nipoti, l’aiutano poco: «Nessuno parla più lo yagan. Abbiamo organizzato una scuola per un po’ di tempo. Ma la verità è che i giovani non sono interessati». Con una nipote Cristina sta da anni realizzando un dizionario. Per me ha imbastito qualche frase: lo yagan ha un suono melodioso, ed è, era, una lingua ricca, 32 mila vocaboli secondo la classificazione di un missionario ottocentesco, che raccontavano ogni sfumatura di una vita estrema. Dalla memoria collettiva sono spariti anche i canti che accompagnavano riti non più praticati. «Mia sorella li conosceva, li cantavamo insieme, ma ora da sola non ne sono più capace».
(I Dientes di Navarino)
Poco lontano da casa Calderon, mi sono imbattuta in un altro segno di come le cose non stanno andando bene nemmeno da queste parti remote del pianeta: un pezzo di foresta abbattuta dai castori. Negli anni Cinquanta gli argentini impiantarono degli allevamenti di castori e visoni canadesi da pelliccia. Solo che in Patagonia e Terra del Fuoco fa meno freddo che in Canada, e la pelliccia non era abbastanza folta, così il business andò male e gli animali vennero liberati. Il risultato è stato una diffusione esponenziale delle due specie che non hanno trovato antagonisti. Orde di castori migranti dopo aver devastato la Terra del Fuoco hanno attraversato a nuoto il canale di Beagle e sono approdati a Navarino trasformando il paesaggio, in alcune aree per fortuna ancora limitate, disseminando dighe e lasciando acquitrini al posto della foresta. Anche i visoni sono buoni nuotatori e spietati predatori, una minaccia per gli uccelli migratori che fanno tappa a Navarino. Nei pochi ristoranti di Puerto Williams il castoro è un piatto tipico e la caccia viene incentivata con qualunque mezzo. Quando sono andata io non era stagione.
(Un'area deforestata dai castori)
Navarino in realtà sarebbe famosa tra i turisti e gli amanti del trekking per i Dientes, una spettacolare catena montuosa a pinnacoli che fa da sfondo a Puerto Williams e che si raggiunge con un trekking di 5 giorni. Non sono riuscita ad andarci, presa tra seminari e esplorazioni con la lente di ingrandimento, ma li ho praticamente sfiorati dall’alto sul microscopico bimotore scosso dalle raffiche di vento con il quale sono rientrata a Punta Arenas. Un’esperienza indimenticabile.
*PAOLA RIZZI (giornalista da una vita - Unità prima, Metro
poi e tuttora in corso, collaborazioni qua e là. Nel tempo libero si occupa di
cose di donne e di linguaggio. Vorrebbe viaggiare sempre e vivere in albergo,
ma un gatto sociopatico le ricorda che ha una casa dove tornare)
clicca qui per mettere un like sulla nostra pagina Facebook
clicca qui per rilanciare i nostri racconti su Twitter
clicca qui per consultarci su Linkedin
clicca qui per guardarci su Instagram
e.... clicca qui per iscriverti alla nostra newsletter