Quarta Tappa, Piacenza-Sestola - Le crociate, Petrarca e un cocuzzolo d'Appennino
di PIETRO VISCONTI*
Quando ha compiuto 2200 anni (era il 1982 e venne
Pertini) un suo figlio famoso, Carlo Bavagnoli, l'unico italiano di Life, le
regalò un ritratto in dieci pose. In una non si vede quasi niente, cioè si vede
la nebbia che per noi piacentini è in realtà qualcosa ma per molti di fuori è
zero e basta. Per alcuni semplificatori, nebbia è l'altro nome di Piacenza. In
parte giustificato, se però non si esagera. Via, soprattutto, l'idea che qui
sia tutto piatto e ovattato. Basta guardare un'altra di quelle bellissime dieci
foto di Bavagnoli: c'è piazza Duomo vista dall'alto ricoperta dei tendoni
multicolori del mercato, una festa che da sola trancia in due lo stereotipo
della città ombrosa e malinconica. Pensierosa, magari, che male non fa.
(Cancello in ferro battuto in uno dei palazzi nobiliari di Piacenza)
La tappa del Giro parte
proprio sotto lo sguardo assorto di un giurista del '700, Gian Domenico
Romagnosi, filosofo e pioniere del diritto amministrativo. La sua statua in
pietra dà il meglio di sé quando nevica e va sul giornale locale bella
imbacuccata così tutti capiscono quanta n'è venuta. Romagnosi se ne sta
appartato in piazzetta San Francesco, pochi sanno di preciso chi era e tutti
invece conoscono quei due che gli stanno dirimpetto, a cavallo, nella grande
piazza che da loro - o meglio dai loro destrieri - prende il nome. Piazza
Cavalli è da quattrocento anni il teatro della breve gloria dei Farnese su
Piacenza: i duchi Alessandro e Ranuccio cavalcano nei bronzi sublimemente
modellati da Francesco Mochi. Se ne andarono soltanto in tempo di guerra,
portati nelle campagne per ripararli dalle bombe. E il ritorno fu festa di
popolo, come una seconda Liberazione, scolpita nei versi in dialetto del più
fervido e còlto poeta piacentino, Ferdinando Cogni: "diim viatar la canson
putainta e lzera / c'av cumpagna indal trott sainsa to fia" (datemi voi il
canto possente e leggero che vi accompagna nel trotto senza prender fiato). Da
guerrieri e uomini di dominio che furono, ecco i Farnese trasfigurati dunque in
compagni della nuova primavera civile.
(La torre campanaria della basilica di Sant'Antonino, patrono di Piacenza foto Del Papa)
A sovrastare i destrieri barocchi del
Mochi sta la mole di Palazzo Gotico, stupefacente nella facciata
settentrionale, incompiuto per il resto a causa di un'epidemia. A metà del 1300
soggiorna qui il Petrarca, e con lui la storia vira - ebbene sì - dalla dotta
letteratura ai piaceri della gastronomia: l'autore del Canzoniere infatti è
considerato il padrino dei tortelli con la coda, una pasta ripiena sagomata a
caramella che oggi è la bandiera dei primi alla piasinteina insieme a anolini
(in brodo) e pisarei e fasò (gnocchetti poveri con fagioli). Vuole la leggenda
che a compiacere Petrarca buongustaio sia stato Bernardo Anguissola, feudatario
di Vigolzone, paese che ha cavalcato la vox populi attribuendo ai tortelli con
la coda il sigillo Dco (Denominazione comunale di origine). E del gran poeta,
vedi caso, ha parlato pochi giorni fa la più brava chef donna del 2021 secondo
la Guida Michelin: si chiama Isa Mazzocchi e cucina in mezzo alla campagna
pedecollinare, quella dove il sabato e la domenica - l'associazione d'idee oggi
viene spontanea - sfrecciano torme di cicloturisti su bici da mille euro. La
bicicletta a Piacenza è genere di largo consumo. Anche tra ragazzi e ragazze fa
più trend dello scooter. Spettacolari, fuori dagli istituti superiori, certe
siepi di due ruote a pedali. Si calcola che in città ne circolino
venti-trentamila su 104mila abitanti.
(Tortelli con la coda - turtei cun la cua-, che si dice furono inventati per il Petrarca foto Del Papa)
E quindi vieni avanti
Giro, ti troverai bene. Escono dai cassetti ricordi antichi. Cent'anni fa
esatti sei passato di qui per la prima volta. "E' avvenuto di mattina
fuori Barriera Vitt. Emanuele. Assistevano molti appassionati" leggiamo
sul ritaglio di Libertà dell'11 giugno 1921. "I ciclisti giunsero in
gruppo serrato, capeggiati da Belloni, Aimo e Brunero. Apparivano in ottime
condizioni, Furono vivamente applauditi". Barriera Vitt. Emanuele adesso
non si dice più, è diventato piazzale Genova perché da lì quand'è limpido si
indovinano le colline d'Appennino oltre le quali c'è il mare. Ma prima del mare
si incontrano valli con i segni della grande storia: l'esercito di Annibale si
fece largo nella battaglia sul Trebbia, che è negli annali; più in alto, in Val
Boreca, il più piccolo Comune d'Emilia ha nome Zerba e un villaggio Tartago,
toponimi nei quali risuona l'eco millenaria di Djerba e Cartagine, dell'Africa
da dove venivano gli elefanti e i guerrieri della sfida alla superpotenza Roma.
(Le ciminiere della centrale Emilia Levante sul Po, secondo alcuni cantate da Guccini foto Del Papa)
Ma restiamo in città. La carovana non avrà tempo di levare lo sguardo oltre il capo di Romagnosi e leggere, sulla facciata della chiesa di San Francesco, la lapide che certifica Piacenza come Primogenita, la più lesta di tutte a votare con plebiscito l'adesione al Regno di Sardegna poi diventato Italia. Una diversa lapide, verso ovest, ricorda un'altra ora potente della storia: "Qui Urbano II iniziò nel MXCV la prima crociata contro l'Islamismo e sancì ordinamenti (testuale) proficui a religione a civiltà". E "festeggiandosi" l'ottavo centenario dal "grande avvenimento", quindi nel 1895, la Provincia pose una scritta oggi palesemente fuori dai binari ma che eppure sta lì, traccia del mondo che fu. A Piacenza oggi gli immigrati sono ventimila e in grandissima parte proprio islamici. Da poche settimane il capannone delle loro preghiere ha acquisito lo status di moschea, la più giovane della dozzina riconosciute in Italia: una bizzaria realizzatasi sotto una giunta fieramente di destra che se n'è parecchio inquietata, salvo poi digerire. Quindi, dove Urbano II proclamava la crociata il vescovo Adriano in pochi mesi ha già incontrato tre volte i capi musulmani. E l'integrazione è nei fatti, impastata nel lavoro e nelle scuole dove alle materne un bambino su tre è di famiglie immigrate.
(La lapide che ricorda la prima crociata indetta da Urbano II foto Del Papa)
Il Giro è una folata. Però
un'occhiata a Palazzo Farnese i corridori non potranno non darla. E' la reggia
anche questa incompiuta del Ducato. La carovana vi sfilerà accanto e proprio di
fronte ecco il liceo Gioia dove studiarono greco e latino Marco Bellocchio e
Pierluigi Bersani. Dentro il Farnese i pezzi forti del Fegato Etrusco,
strumento degli aruspici rinvenuto arando un campo, e del Tondo Botticelli, con
un Gesù Bambino paffuto paffuto. Il Tondo è un capolavoro assoluto ma la fama
degli ultimi tempi è tutta per la Signora di Klimt ritrovata misteriosamente a
23 anni dal furto alla Galleria d'arte moderna. Non è più tornata e mai più
tornerà invece la strepitosa Madonna Sistina di Raffaello, quella dei celebri
angioletti, dipinta per il convento di San Sisto ma poi venduta dai frati e
divenuta gioiello della Gemaldegalerie di Dresda. In compenso, la città è di
per sé un museo diffuso, e vivo, di palazzi barocchi ancora in gran forma. Sono
un centinaio di cui almeno dieci "eccellenti", espressione del lusso
dell'aristocrazia che cercava di accreditare il proprio peso culturale e
economico presso la corte farnesiana. Già soltanto portoni e androni hanno
caratteri spesso monumentali, con cancelli in ferro battuto del '600 ornati di
stemmi gentilizi, motivi floreali, trame leggere come ricami. Il ferro
proveniva dalla miniere dell'Alta Valnure (Ferriere il paese più importante,
non a caso) ed è lo stesso con cui si producevano le canne dei fucili per
l'esercito ducale. Si può sbirciare a volontà, senza biglietto.
(Sestola)
I girini usciranno da Piacenza lasciandosi alle spalle la Lupa copia di quella
capitolina, issata a dieci metri su due colonne per rievocare la fondazione
della città nel 218 a.C. come "vigile scolta tra i barbari vinti".
Due anni fa la corsa arrivò in senso contrario. Oggi via verso est, sulla Via
Emilia e poi su verso Sestola, cocuzzolo anch'esso assai caro a chi scrive con
la sua Rocca gagliarda, sapor di tigelle e il Cimone che incombe. Posto di
boscaioli e di grande emigrazione, baciato poi dal turismo della neve e dall'effetto
Tomba, approdo della borghesia modenese-bolognese nel riposo dal lavoro di
pianura. In piazza una gran vasca con gli zampilli a portata di bambini e il
profumo del pane fuori dal forno. Una tappa più proditoriamente emiliana di
così forse non si può. Ma fate la tara, io sono di parte.
*PIETRO VISCONTI (Primi articoli sul giornalino parrocchiale Camminiamo Insieme. Gavetta al settimanale diocesano Il Nuovo Giornale, all'emittente di sinistra QuartaRadio, corrispondente di Avvenire, collaboratore di Libertà che lo ha assunto nel 1983. Poi trentadue anni a Repubblica, tra Bologna, economia e politica interna a Roma, senza dimenticare la sua adorata provincia. Dal dicembre 2018 ci è tornato e prova a fare, oltre che il giornalista, il direttore di Libertà. Passioni primarie: calcio - gli fu negata una buona carriera, dice un'insistente leggenda - , poesia dialettale, nebbia, ultimamente stelle)
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