Pizza verace, il presidente dell'associazione: "Chicago e i suoi impasti, un Carnevale già finito"

di TINA PANE* 

Una volta messa in dubbio la circolarità della terra, una delle poche certezze che ci restano nella vita è che la pizza sia nata a Napoli e che la città partenopea svolga per questo piatto lo stesso ruolo che San Pietro svolge per la cristianità, ovvero diramare urbi et orbi il verbo.

E però quando il 9 febbraio scorso, negli Stati Uniti, durante le celebrazioni del National Pizza Day, la città di Chicago si è autoproclamata capitale della pizza nel mondo, seguita a ruota dallo stato del New Jersey che ha rivendicato lo stesso primato, di tweet in tweet la notizia è giunta fino ai nostri lidi, e ha scatenato dichiarazioni e prese di posizione.

Intervistato a caldo in una trasmissione di Rai Radio 1, il presidente dell’Associazione Verace Pizza Napoletana, Antonio Pace, tenendo fede al suo cognome e dall’alto della sua autorevolezza, a suo tempo ha gettato acqua sul fuoco delle polemiche, quasi sottintendendo che tali dichiarazioni portano acqua al mulino (è il caso di dire) della pizza napoletana. La cui inattaccabile primazia e veracità è sancita in un Disciplinare Internazionale di quattordici pagine che descrive puntigliosamente il prodotto, il metodo di produzione, gli ingredienti, la tecnica di lavorazione, il condimento, le dosi, le ricette, la cottura, le attrezzature… insomma, un documento completissimo che si fa prima a mangiarsi una pizza che a leggerlo tutto.

Torniamo oggi su quest’insieme di regole, codificate nel lontano 1984 dallo stesso Pace insieme ai più importanti pizzaioli dell’epoca, che è la sintesi di una tradizione trasmessa oralmente da generazioni, il baluardo posto a difesa dell’unicità di questo piatto nato local e tracimato global. Quelli di Chicago, le conoscono, queste regole? E soprattutto, le applicano?

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(Antonio Pace)

Questa e altre domande abbiamo posto ad Antonio Pace, presidente dell’Associazione di cui sopra e discendente per parte di entrambi i genitori di famiglie di pizzaioli attive già nell’800.

-         Presidente, cosa ha pensato dell’autoproclamazione di Chicago?

-         Direi che è stata ridicola, ma non è la prima volta. Già nel 1989 gli americani pretendevano di essere gli inventori della pizza, ma in un Gran Giurì a Los Angeles dimostrammo documenti alla mano l’origine napoletana della pizza.

-         Dunque non vi siete sentiti minacciati?

-         Abbiamo oltre cento associati negli Stati Uniti che vincono anche tutte le gare e le manifestazioni che si organizzano lì. Mi lasci dire, con spirito napoletano, che quando noi facevamo la pizza loro ancora giocavano agli indiani.

-         Può suonare irrispettoso, magari è buona anche la famosa Deep pan pizza, la pizza di Chicago, coi bordi alti e burrosi riempiti di salsa di pomodoro, salsiccia e formaggio…

-         La pizza è nata per sfamare. È una realizzazione geniale e semplice, non si può migliorare.

-         Perciò avete codificato le regole nel Disciplinare, a suo tempo.

-         Ancora agli inizi degli anni '80 in Italia vi erano pochissime pizzerie, ma cominciavano ad aumentare e ognuna preparava la pizza a modo suo. Il Disciplinare nacque proprio per codificare le regole della preparazione. Intorno a queste regole, qualche anno dopo, nel 1989, è nata l’”Associazione Verace Pizza Napoletana”.

-         Siete stati i primi.

-         Sì. Oggi abbiamo pizzaioli associati di ogni nazionalità in 52 paesi, e dove gli associati sono più di dieci c’è una nostra delegazione, come in America, in Brasile, in Francia.

-         E poi, nel 2017, è arrivato il riconoscimento dell’Unesco: la pizza patrimonio dell’Umanità.

-         Il riconoscimento è per la pizza e per l’arte del pizzaiolo, che per essere bravo non deve necessariamente essere napoletano.

-         In quanto custode delle regole della pizza, cosa pensa della tendenza sempre più diffusa a proporre pizze con molti ingredienti?

-         Le rispondo con un dato: la Margherita, preparata con pomodoro, fiordilatte e olio, rappresenta l’80% delle pizze vendute nel mondo. Al secondo posto c’è la Marinara, che sostituisce al latticino il profumo dell’origano. Non più di quattro elementi per la farcitura, insomma.

-         D’accordo, ma per suo gusto personale ammetterebbe qualche altro tipo di pizza?

-         Se a una Margherita si aggiunge, a crudo, dell’ottimo prosciutto crudo, ok. Se a una Marinara si aggiungono le cozze, ok. E poi apprezzo la pizza salsicce friarielli o il calzone con la scarola.

-         La crisi da pandemia ha colpito anche le pizzerie.

-         Sì, e in tutto il territorio nazionale, dove a differenza che a Napoli le pizzerie aprivano solo la sera. Occorrono nuove regole per ripartire, lo Stato dovrebbe puntare sulle attività produttive e sulle partite IVA che reggono il paese, rivedendo il sistema delle imposte e dei contributi.

-         A voi come Associazione resta l’obiettivo di garantire la qualità.

-         Noi vogliamo salvaguardare la paternità napoletana della pizza e diffondere nel mondo il modo corretto di fare la pizza. Per questo facciamo dei corsi di formazione per pizzaioli e siamo anche stati i primi a sperimentare gli impasti senza glutine.

-         Una missione, insomma.

-         La pizza nella sua semplicità è un alimento geniale, e salutare. Ma anche un momento di incontro e convivialità. È un dovere difenderla.

-         Con buona pace delle pretese di Chicago.

-         Diciamo che la loro è stata una burla carnevalesca, va’.

 

* TINA PANE (Napoli, 1962. Una laurea, un tesserino da pubblicista e un esodo incentivato da un lavoro per caso durato 30 anni. Ora libera: di camminare, fotografare, programmare viaggi anche brevissimi e vicini, scrivere di cose belle e di memorie)

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