Pettorano, Montorio, Francavilla, l'Abruzzo ha tanti Carnevali

di GABRIELLA DI LELLIO* 

Il Carnevale abruzzese è molto diverso da quelli più blasonati che si festeggiano in altre regioni italiane. Le celebrazioni hanno conservato un carattere tradizionale legato all’identità rurale, agricola e della pastorizia. Le celebrazioni carnevalesche consistevano in un antico rituale contadino di purificazione per celebrare la conclusione del ciclo delle festività di fine anno, dalla festa di Sant’Antonio Abate – il 17 gennaio con i riti del fuoco e l'accensione delle farchie (fasci di canne) -  al mercoledì delle Ceneri.


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(Le Farchie a Fara filiorum Petri) 


I Carnevali contadini oggi non sono più tali, ma è possibile ancora trovare riferimenti al passato. In tanti piccoli centri alcuni aspetti tradizionali vengono riproposti: sfilate di maschere, grandi bevute, balli e l’usanza di bruciare un fantoccio di cartapesta, la Pupazza o il Carnevale. La maschera dell’Abruzzo è Frappiglia, un contadino che ha come elemento riconoscitivo il bastone di Sant’Antonio Abate, un vero e proprio accessorio scacciaguai. Il  nome deriva dall’unione di  “frà”, fratello, e “piglia”, la tipica espressione usata dal padrone di casa quando offre ai suoi ospiti cibo e bevande:  “lu cumblimènde”.



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(La maschera di Frappiglia, dalla pagina Facebook omonima)

 

Quello che viene subito alla mente, il più antico della regione, si svolge a Francavilla al Mare (Chieti), e è anche conosciuto come il Carnevale d’Abruzzo. Risale al 1948, quando la banda musicale Zu-zù in cerca di Za-zà inaugurò la tradizione sfilando per le vie del paese con balli e travestimenti. Da lì nacque successivamente una festa ufficiale, con l'istituzione di un comitato cittadino per organizzare l’evento. “Un Comitato che ancora oggi, grazie al contributo dell’amministrazione comunale   -  spiega il presidente dell’Associazione Carnevale d’Abruzzo Nicola De Francesco - organizza la manifestazione e la costruzione dei carri. Siamo alla sessantasettesima edizione e l’affluenza di pubblico è sempre stata notevole, con numerosissime presenze anche dal resto della regione.”


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(Za-zà,  1948/50)

 

I carri ispirati a personalità di spicco riprese in chiave caricaturale vengono costruiti da abili maestri cartapestai del luogo. Per la realizzazione di un carro occorrono circa tre mesi con tante maestranze impegnate: i cartapestai appunto, i carpentieri per le strutture in legno, i fabbri per quelle in ferro, i meccanici per le strutture mobili e i decoratori. Sono coinvolti anche i writer per i loro talenti artistici, le scuole e le associazioni locali con particolare attenzione al mondo dei deboli e degli emarginati. Apre il corteo il carro di Re Patanello, una maschera tra leggenda e realtà, un ciabattino - “zì patane” - probabilmente vissuto a Francavilla tra la fine dell’800 e l’inizio del '900 che amava la baldoria, girare per osterie a bere e a fare scherzi. Ecco perché il pittore napoletano Caiati lo ha dipinto facendolo diventare una maschera. La sfilata si svolge in tre giornate e ha il suo fulcro nel corso centrale del paese dove si seleziona il carro vincitore e alla fine della festa si brucia la "pupazza".

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(La maschera Re Patanello      foto di Ercole Miconi)

 

A Francavilla il Carnevale è anche beneficenza. “Un dolce per l’Africa” è stato il tema dell’iniziativa di qualche edizione fa, che ha devoluto il ricavato raccolto dalle degustazioni di dolci tipici abruzzesi del periodo carnevalesco ai bambini della Tanzania.  “Purtroppo anche quest’anno il carnevale non si svolgerà - dice ancora De Francesco - perché il nostro Carnevale coinvolge soprattutto i bambini che non sono ancora stati vaccinati.”


leggi anche:    I dolci del Carnevale abruzzese



Merita attenzione anche il Carnevale di Pettorano sul Gizio (L’Aquila), uno dei borghi più belli d’Italia all’interno della Riserva Naturale Regionale Monte Genzana. La piazza principale, piazza Zannelli,  un tempo cortile dei duchi di Cantelmo che tennero in feudo il paese per circa tre secoli, diventa il palcoscenico della lettura del “testamento” del  Re Carnevale in cui si riferiscono tutti i peccati della comunità: un uomo fustigatore del malcostume denuncia in modo ironico i misfatti avvenuti in paese che, prima di essere letti, vengono visionati dalle autorità locali per eventuali censure. Lo spettacolo inizia nelle prime ore del pomeriggio del martedì grasso nella piazza principale per poi seguire  fino a sera in tutte le altre piazze.


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(Il Testamento di Carnevale dal Comune di Pettorano sul Gizio)


A Montorio al Vomano (Teramo) si perde nel tempo la tradizione di festeggiare  un particolare aspetto del Carnevale,  detto  “Carnevale Morto”. Sembra che l’idea sia nata dall’iniziativa di alcuni ragazzi del posto che sbeffeggiarono il regime fascista;  non a caso i festeggiamenti furono banditi dalle autorità locali fino agli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale. Non ci sono maschere particolari se non l’abbigliamento funebre che caratterizza tutti i partecipanti. Il mercoledì delle Ceneri, primo giorno della Quaresima, viene messo in scena il funerale del Carnevale appena trascorso. 




Tutto inizia con la veglia al Chiostro Zoccolanti,  cui partecipa la vedova del Carnevale. Si tratta di una parodia di un rito funebre, un’usanza che con molta probabilità deriva dalla commedia dell’arte. I partecipanti mascherati a lutto, sotto la direzione di Vincenzo Macedone, danno libero sfogo alla vena comica popolare facendo della satira piccante, ma mai offensiva, condita da scenette improvvisate sulla base di un canovaccio prestabilito su fatti e avvenimenti accaduti in paese nel corso dell’anno appena concluso. Il Carnevale morto è impersonato da un montoriese qualunque, non ci sono attori, solo paesani. Il corteo funebre si snoda per le strade del paese accompagnato dalla banda cittadina che suona brani allegri e marce funebri fino ad arrivare in piazza Orsini per le esequie solenni dove invece il carnevale resuscita tra gli applausi. Tutto si conclude in via dei Mulini dove il Carnevale, ora rappresentato da un fantoccio, viene gettato nel fiume Vomano dalla Madonna del Ponte per  iniziare i festeggiamenti con balli, castagnole e vin brulè.

 

 

*GABRIELLA DI LELLIO (Sono aquilana e sorella minore di nascita. Mi sento ottimamente a Roma e meno a L' Aquila dal terremoto del 2009. Ho insegnato lingua e letteratura inglese nel Liceo Scientifico della mia città. Sono maestra di sci perché amante della montagna e della neve. Mi piace la fotografia analogica in bianco e nero, che ho ripreso a fare dopo trent'anni e a cui intendo dedicare il mio tempo. Sono cresciuta nella FGCI e nel PCI fino alla “deriva occhettiana")


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