Perachora e la vendetta di Hera
di ROBERTA VISCO*
L’acqua azzurra, quasi blu. Due promontori con scogli e cespugli, ocra e verde intenso, chiudono la baia, dominata dalla rovine di un antico tempio. A Perachora, una quindicina di chilometri a nord di Corinto, arrivammo la prima volta nove anni fa, spinti da una sapiente segnalazione.
Il piazzale del parcheggio era quasi vuoto, la discesa al mare costeggiava una chiesetta bianca. In basso la spiaggia, stretta e quasi deserta, il mare limpido, appena fresco, di fine estate. Entrare nell’acqua e sentirsi di un’altra età (più giovane), in un altro tempo (mitico), in un altro mondo (l’antica Grecia, e dove sennò?) fu tutt’uno. Fantasticheria un po’ banale: l’incontro con Afrodite che esce dalle acque con un corteo di bellezze. Peccato che il tempio fosse quello di Hera, e avesse anche una fama un po’ sinistra: una leggenda nella leggenda vuole che Medea, uccisi i figli, li abbia sepolti lì. Ma la bellezza del posto, dolcemente aspra come il meglio del Mediterraneo, era quella sognata a scuola nelle lunghe ore di greco.
Impossibile non restare sedotti dal fascino di Perachora, impossibile non tornare. Due anni dopo, sempre fine estate. Sul piazzale ahimè c’era già un pullman, ma la discesa al mare consolava con i profumi della macchia. Anche la baia questa volta era più animata: e va bene, siamo democratici, condividiamo la bellezza.
Il mare però era sempre color zaffiro, chiuso tra le rocce e aperto verso l’orizzonte, fertile campo per ogni possibile fantasia classicheggiante. Immergersi e nuotare fu bellissimo, meno piacevole, procedendo verso il largo, risultò la frustata di dolore sulla mano, dieci minuti dopo. Mano, non viso, per fortuna. Apro gli occhi e le vedo: una, due, dieci, decine di piccole figurine color ambra. Mi giro verso la riva, nuoto: direi velocissima, suppongo scomposta. Appena arrivata a toccare avverto: attenzione, è pieno di meduse. Poi dall’alto di una delle due piccole scogliere le osservo addensarsi nell’acqua, fluttuare piccole ed elegantissime, nel mare abbandonato dagli umani, tutto per loro.
La mano continua a bruciare, la piccola cicatrice rimarrà a lungo, ma anche la sensazione di aver fatto un tuffo nel mito. Di qui la Conclusione: mai vagheggiare Afrodite davanti a un tempio di Hera.
*ROBERTA VISCO (nata a Roma nel 1959, giornalista, molto tempo fa ha studiato filosofia. Ha lavorato alla Nuova Sardegna, al Centro di Pescara e a Repubblica. Da oltre vent’anni è al “Venerdì”)
clicca qui per mettere un like sulla nostra pagina Facebook
clicca qui per rilanciare i nostri racconti su Twitter
clicca qui per consultarci su Linkedin
clicca qui per guardarci su Instagram