Oltrepo pavese, ciclo-itinerari molto eno e gastronomici tra i Colli Verdi

testo di MANUELA CASSARA' e foto di GIANNI VIVIANI*

Ti ritrovi a sessant'anni e dici: Basta. Si cambia vita. Smettiamo di lavorare. Abbiamo dato. Parecchio. Ti ritrovi a sessant'anni con uno, sposato quando ne avevi poco più di quaranta, che nel frattempo hai scoperto essere un accumulatore seriale di biciclette, un amante del sudore e polvere, di "fatica è bello". Un ciclista, insomma. Categoria di appassionati che, da storica pantofolaia, faccio fatica a capire. Vi chiedo perciò di essere comprensivi, cari cicloamatori e lettori di Foglieviaggi, perché sarò io, quella che delle due ruote sa solo che se pedali girano, a raccontare la storia. Il vostro collega, mio compagno di vita, è di poche parole. Specie se scritte.  Quanto segue potrà difettare di termini tecnici,  ma ha lo scopo d’invogliare a conoscere, in bici e non solo, questo territorio che è stato casa per un decennio, che abbiamo amato molto, per due motivi diversi. Il mio era puramente godereccio. 

Posso affermare che facemmo una scelta azzardata, quando decidemmo di trasferirci. In campagna! Pure in collina! Volevamo godere del nostro tempo, respirare aria pulita, dedicarci alle rispettive passioni.


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(Atmosfere brumose)


Quelle di Gianni erano due, forti e chiare, la fotografia e la bicicletta. Le mie, dopo una vita dedicata al dovere, erano tutte da scoprire. Nessuno dei due aveva un’anima contadina. Io, se non altro, avevo dimostrato un certo interesse per il giardinaggio anche se limitato al terrazzo, ma per lui, il ciclista, il concetto di "fatica" non includeva tagliar l’erba o, men che mai, zappare e piantumare. Per ambedue frutta e verdura si compravano al Super.  Ignoravamo che in Autunno le foglie andavano raccolte. Che d’Inverno la neve, se volevi uscire da casa o prendere la macchina, andava spalata. Ed erano dolori. Che la legna per il camino andava accatastata. Nel caso qualcuno sia sedotto dallo stesso sogno, ve lo dico con affetto: meglio andarci preparati. Per il vostro bene. E così, con reiterata e ricorrente incoscienza, un bel giorno di Dicembre del 2009 avevamo venduto casa a Milano e c’eravamo trasferiti in quel di Ruino. Paesino privo di tutto, elevato al rango di Comune, con scuola, farmacia, negozi, bar, e soprattutto con il Municipio che si trovavano, inspiegabilmente in quel di Pometo. Se avete perso il filo, mi ripeto: il Comune di Ruino si trovava a Pometo, e oggi, tanto per semplificare, è stato pure ribattezzato Colli Verdi.

Parte del 2008 e del 2009 li avevamo passati girando in lungo e in largo per le colline dell’Oltrepò Pavese, scortati da diversi agenti immobiliari, sordi alle nostre preferenze, che effettivamente erano confuse. Eravamo partiti con l’idea di smettere di lavorare e di fare del nostro “buen retiro” un “bed & breakfast”. Idea balzana, subito abbandonata dopo aver fatto due conti e capito che avremmo incominciato a guadagnare, forse, solo in punto di morte, data la nostra non più tenera età. Sfiniti, la scelta era caduta su una proprietà che, a nostro avviso, aveva del potenziale: una casa con quattromila metri quadri di giardino e 32.000 e passa di boscaglia impenetrabile, se non ai cinghiali, a 25 km di tornanti dal centro abitato più vicino. Che poi erano tre, equidistanti: Broni, Stradella e Casteggio. I quattromila metri del cosiddetto giardino, già lasciato in condizione simil-discarica dai precedenti proprietari, dopo la fine dei lavori di ristrutturazione e il passaggio dei muratori sembravano Phnom Penh post B52.


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(Dopo la mietitura)


Mentre gli amici milanesi scuotevano la testa, rassegnati ai nostri colpi di testa, noi due procedevamo impavidi, ignari delle sfide, fisiche e sociali, che il cambio vita avrebbe comportato.

Il ciclista si guardava intorno soddisfatto: colline a perdita d’occhio, un saliscendi di strade poco frequentate che lui aveva in parte già esplorato quando, da Milano, partiva mattiniero per incontrarsi in quel di Broni con un gruppetto di arzilli settantenni cicloamatori indigeni. Che mettevano a dura prova le sue gambe e il fiato.  Chi non lo conosce non può nemmeno immaginare quanto il concetto di “mattiniero” sia alieno al suo modus vivendi. Lo sottolineo per fare capire quanto, il suo, fosse davvero vero amore. Compagni ciclisti, disposti a mille fatiche, sapete di cosa parlo.

Gianni, in Oltrepò, si sentiva a casa, circondato dai suoi simili, orde di ciclisti, a gruppi, isolati o in coppia, che nei week end, dai primi tepori primaverili fino all’autunno inoltrato, qualche eroe persino d’inverno, invadevano, e immagino invadano ancora, queste strade impegnative e perciò di grande soddisfazione

L’Oltrepò Pavese, per i non Lombardi, si trova, come dice la parola, a sud del Po. Si raggiunge attraversando lo storico e traballante Ponte della Becca. Più di mille chilometri quadrati, di cui solo un terzo in pianura, al confine tra Piemonte ed Emilia Romagna; un piccolo triangolo di terra che dalle pianure pavesi sale in collina, tra vitigni, boschi e campi di grano. Un territorio fragile, sfruttato, diviso da campanilismi. Pochi ne conoscono il patrimonio storico, i borghi medievali, le torri, gli antichi castelli. La pregevole tradizione gastronomica. La rinata offerta enologica. L’Alto Oltrepò è un luogo di grande bellezza, ma aveva vissuto tempi migliori. Nel tempo sono incominciati gli abbandoni, le defezioni a favore del limitrofo Piacentino, che aveva saputo vendersi meglio. Ci voleva il Covid a rilanciarlo: sono ripartiti gli acquisti per le seconde case, gli agriturismi hanno ripreso a fare il pienone, lockdown permettendo. Sembra di essere tornati agli anni ’80 e ’90, quando era la meta preferita dei milanesi, in fuga dai miasmi cittadini durante gli umidi mesi estivi e i week end. Un turismo piccolo borghese. Non radical chic. Anche se non mancano, nei dintorni, dimore vip: quelle di Giorgio Armani, Michele Serra, di Letizia Moratti. Presenze discrete, tutelate, sussurrate.


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(Fascino antico)


Nessuno osa paragonarlo alle Langhe, al Monferrato, ma io sì, io lo faccio. Io oso pure di più: io addirittura lo preferisco, lo trovo più naturale, meno sfruttato. So che a molti sembrerà eresia. Certo Langhe e Monferrato sono famosi nel mondo, hanno vini di eccellenza, hanno il Barolo e il Tartufo, una tradizione culinaria esaltata e riconosciuta. Qui tutto è più sottotono, più genuino. Persino il tartufo, quello bianco più pregiato e quello nero che si trova in abbondanza, è celebrato a Casteggio con una fiera l’ultima domenica di Novembre,  una fiera che quasi nessuno conosce. Le “eccellenze” esistono, e molte stanno nascendo: giovani chef aprono piccoli ristoranti che fanno una cucina ricercata partendo dalla tradizione, agriturismi puntano sullo charme, enoteche  hanno consolidato il loro nome facendo dimenticare le famigerate Croatina e Bonarda, così nazional popolari.  Realtà nuove, o storiche, che bisogna andare a cercare. Noi non ci facevamo pregare.  E in dieci anni ci siamo dati da fare.

Ma torniamo al nostro tour ciclo-eno-gastronomico, con tre itinerari collaudati. Gianni li alternava spesso e volentieri in solitaria, dopo essersi fatto le gambe in pianura, o d’inverno, in casa, sul rullo.

LA TRATTA DA BRONI

21 Km da Broni a Pometo, il paese più vicino a casa, non sono tanti ma diventano tosti. Partenza dal centro della cittadina, magari dopo un caffè alla Pasticceria San Gontardo (famosa per la torta omonima) e poi pedalando via tranquilli sulla SP196. Si passa per la Valle Scuropasso (narra la leggenda che sia stato Annibale a darle questo nome) sovrastata dal Castello di Cigognola, che di suo varrebbe una deviazione, visto che oltre alle scenografiche vestigia del dodicesimo secolo protette dal FAI il maniero è proprietà niente di meno che di Marco e Letizia Moratti, miliardari. Etichetta omonima per i loro vini realizzati, dicono, a basso impatto ambientale con la regia di un enologo di fama, riconosciuta dalle più importanti guide dei vini italiani. Quest’anno il Gambero Rosso ha pregiato dei Tre Bicchieri, simbolo di eccellenza assoluta, il loro More Pas Dosé firmato Moratti.


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(Geometrie)


Proseguendo, dopo qualche chilometro si passa davanti a Villa Fornace dei Conti Giorgi di Vistarino, un’elegante residenza genere Downton Abbey, circondata da un parco secolare, realizzata a fine ‘700 dall’Arch. Achille Majononi, famoso per il rifacimento della villa Reale di Monza. Proprietari di quasi tutta la zona, i Conti, come già Rossella O’Hara con Tara, la terra non la vendono; i loro innumerevoli casolari al massimo li affittano, dopo averli marchiati dipingendo la facciata di giallo percorsa da una riga blu. Così sai subito di chi sono. 

L’anziano conte, gran cacciatore, definito il miglior fucile dei suoi tempi, nel 1960 si pregiava di aver ospitato per una battuta di caccia al fagiano Don Juan di Borbone non ancora Re di Spagna e, l’anno dopo, il Principe Filippo d’Edimburgo. Prolifici produttori di vini, le redini imprenditoriali, oggi, sono nelle ambiziose mani della Contessina Ottavia, determinata a mantenere alto il nome del casato. 1865 Conte Vistarino è il loro Pinot nero più celebrato,che deve la sua finezza a 5 anni sui lieviti, ma il premiato di quest’anno, sempre con i Tre Bicchieri,  è  l’ OP Pinot Nero Pernice ’17. Come per il vino dei Moratti, il prezzo a bottiglia è di poco superiore ai 20€; più che fattibile. Nel 2018 è stata aperta un’enoteca dirimpettaia della villa, per l’acquisto e la degustazione delle loro varie etichette. Visita su appuntamento.

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(Km 14)


Si continua a pedalare con rinnovato impegno; i tornanti si sono fatti più impegnativi, i boschi ai lati della strada si sono infittiti. Dopo l’ennesimo, sulla destra si scorgono le rovine di Rocca de’ Giorgi detta anche Roccafirella, dal nome di un certo Messer Fiorello Beccaria che nel XIII secolo la ricostruì. Estintasi la famiglia Beccaria, nel 1629 la rocca è passata ai Conti Giorgi di Vistarino. Una curiosità: nel 2012, l’omonimo piccolo comune di 81 abitanti risultava avere la più alta densità di stranieri del circondario. Noi, per dire, ne conoscevamo due.

Per i ciclisti della domenica, se l’acido lattico comincia a farsi sentire, consigliamo una sosta all’Agriturismo Fraschini, in località Montù Berchielli;  una stradina sulla destra, prima del bivio per Pometo. In primavera quei prati si tingono del rosso dei papaveri; d’inverno, sotto la neve, il panorama è un presepe. Con una clientela soprattutto locale durante la settimana, da Fraschini si mangia bene e genuino, perché tutto è fatto in casa, dolci inclusi, dalle operose mani di Cinzia;  i tortelli di ricotta e spinaci sono i migliori dell’Universo; i salumi, quelli sono fatti da Massimo, il fratello, uno che ai suoi animali ci tiene, e li fa vivere bene. Ai tavoli Barbara, cuore gentile di poche parole.

Il problema casomai è risalire in sella. Ma ci si può sempre appisolare al calore del camino o sul prato antistante.

Aperto unicamente durante i weekend, l’Agriturismo Boccapane è un’altra meta che raccomandiamo. Ci si arriva prendendo la strada che porta a Santa Maria Della Versa, passato Pometo centro. Discesa a rotta di collo per arrivare a una bella costruzione immersa nella lavanda, circondata da boschi e campi di girasole. D’estate si mangia sotto il fienile o tra i tavoli all’aperto, d’inverno il salone è caldo e accogliente come quello spiritaccio dello chef. Andrea, genovese e simpatico affabulatore, è stato incoronato per due volte il Re dell’Agnolotto, sbaragliando i numerosi competitors. La moglie Ilaria, una milanese doc, cresciuta nella vicina villa di famiglia (villa ricordata nell’etichetta del loro spumante Brut, L’ Altana, vino per il quale confesso una certa propensione) segue la sala e i suoi adorati Landseer e i cavalli. Già dopo gli antipasti, sfiziosi e numerosi, chiederete pietà e ai secondi sarete pronti a dare forfait. Ma non lo darete, perché i dolci di Andrea sono irrinunciabili e perché i suoi vini scivolano troppo facilmente in gola.  Se avete prole al seguito, è il posto che fa per voi.


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 (La nebbia agli irti colli)

LA TRATTA DA CASTEGGIO, IN DUE VERSIONI

La prima è farla in costa; una scelta scenografica, salendo da Casteggio sulla SP188 in direzione Montalto Pavese. Si passa per Calvignano, magari fermandosi alla Tenuta Travaglino, ex monastero medievale, poi tenuta vitivinicola ottocentesca, oggi complesso enoturistico, bello anche solo da vedere. Anche qui si parla di sostenibilità ambientale, di pigiatura a due ore dalla raccolta, a basse rese. Sembra davvero che tutta la produzione in Oltrepò, speriamo non solo a parole, si sia messa d’impegno a fare le cose con cura per rilanciare il territorio. Si prosegue per Montalto Pavese, per arrivare alla terrazza panoramica che domina la vallata; già da lontano è impossibile non farsi distrarre dall’imponenza del castello, una proprietà privata con una storia antica. Correva l’anno del Signore 1164 quando Federico Barbarossa la diede in dono all’alleato, il comune di Pavia. Passata ai Visconti e poi a Galeazzo Maria Sforza duca di Milano, la proprietà, sul finire del 1500, ritorna nelle mani della famiglia originale, i Belcredi, che ne completarono la costruzione fino alle proporzioni attuali. E’ una struttura imponente, affascinante,  purtroppo non aperta al pubblico; ho sempre desiderato di farla almeno sorvolare da un drone. Pare che i giardini all’Italiana siano bellissimi.  


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Scendendo verso Montù Berchielli, l’itinerario si presta ad un loop, ovvero  ritornare in discesa a Broni, seguendo a ritroso l’itinerario precedente.  

Oppure ci si può  fare tentare da digressioni, andando per esempio verso Oliva Gessi  e scoprire scorci affascinanti,  perdendosi tra le colline. Una zona bellissima e poco battuta.

 

LA SECONDA, PROSEGUENDO PER ZAVATTARELLO

L’altra possibilità, sempre da Casteggio, è quella di stare bassi, almeno all’inizio, prendendo la SP203, la provinciale che passa per Borgo Priolo. Ci si può fermare per un caffè ruspante al bar della piazzetta, ma solo come pretesto per  scoprire che, dietro quelle casette basse, bruttine e senza storia si apre, inaspettato, il cortile di un ennesimo castello. Come racconta l’etichetta blasonata del marchio Olmo Antico, la costruzione risale al 1678. Se preferite i vini rossi, questo è il posto che fa per voi; da provare il  Giorgio Quinto  un merlot corposo che di regale non ha niente (Giorgio è il nome del papà, Quinto quello del nonno)  e per, ricredersi, la tanto bistrattata Croatina che qui si nobilita nel 14 Ottobre.


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(Presepe invernale)


Proseguendo verso Canavera la salita si fa impegnativa, anche i migliori boccheggiano, garantito. Si arriva in quota 600 mt e al km 14, proprio davanti alla nostra ex casa, quasi tutti si fermano a prendere fiato, anche per non perdersi la magnifica vista che spazia in lontananza, dal laghetto fino al Monte Penice. Fino al bivio si continua sudare, poi girare a destra e proseguire per Zavattarello o a sinistra per Pometo. Se siete carnivori, c’è il Ristorante Belvedere. Una volta le loro bistecche erano rinomate in tutta la vallata. Ora fanno anche la pizza.

Se amate i salumi, tappa obbligata nell’anonima bottega di Simone Reposi, che ci sa fare, anche in fatto di cotechini, marmellate e conserve.

Per arrivare a Zavattarello vi aspetta una discesa di ripidi tornanti a gomito fino a Moline, da cui si prosegue su una salita che si fa impervia, fino alla piazzetta del Comune, che  la domenica spesso ospita un mercatino di bontà locali. Dopo tanta fatica potrebbe essere sfuggita, e sarebbe un peccato, la bellezza del panorama e l’imponenza del Castello dei Dal Verme, una fortezza un tempo inespugnabile. I paranoici proprietari l’avevano fatta costruire in pietra con mura di 4 metri, per andare sul sicuro. E’ possibile visitarlo, previo il solito appuntamento, nei weekend. La rocca, circondata da un parco boscoso, sovrasta il bel borgo medievale in pietra, che nelle giornate estive, ante pandemia, ospitava sbandieramenti e sfide al singolar tenzone con donzelle e cavalieri, villici e messeri.  Covid permettendo riprenderanno, come il Presepe vivente che si ripeteva puntualmente dal 24 al 26 Dicembre.


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(Tramonto sui colli) 


DUE DEVIAZIONI

Due deviazioni consigliate. La prima, se siete vegetariani, al bivio da Casteggio, invece di girare a destra per il Carmine, girare a sinistra e fare un tratto in discesa fino all’Agriturismo Boscasso. I raffinati caprini di Chiara, ex milanese molto determinata, che ha fatto tutto da sola partendo da qualche capretta, sono venduti in tutto il mondo (voci dicono persino alle Fiji, anche se mi sembra strano) e nelle migliori delicatessen italiane. Nei weekend, su prenotazione, l’immacolato ristorante propone piatti ricercati, a km 0.

La seconda, una volta arrivati al Carmine, è di prendere la stradina in discesa a sinistra del Ristorante Belevedere e pedalare fino all’affascinante borgo in pietra di Ruino; normalmente non si vede un’anima ma il posto è pittoresco. Affrontata l’ultima ripida salita, si arriva alla chiesa per poi fare dietrofront, perché la strada finisce. Volendo si può scendere verso la Diga del Molato e il suo lago artificiale. Da lì, via verso il Piacentino, ma questa è un’altra storia.

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(Una cascina del conte Vistarino)


Mi rendo conto che in questo tour Eno-Ciclo-Gastronomico dell’Oltrepo le calorie si bruciano se siete duri e puri ma si possono anche accumulare, specie se vi siete attrezzati, come spero, per un soggiorno più lungo di qualche oretta di pedalata e di una bella sudata.

Allo scopo, per evitare di dormire a valle, mi permetto di suggerire alcuni posti: proprio in loco, il Bed&Breakfast Casa Zuffada, un complesso di pietra e vetrate, recentemente ristrutturato, che si apre sulla vallata. Appena più distante la Locanda del Molino a Fortunago, uno dei borghi più belli d’Italia, ci ricordano i cartelli. Bella la strada per arrivarci, in costa, bello il paesino.  Comunque basta “googlare” Colli Verdi e le alternative appariranno a dozzine, per tutti i gusti, con prezzi che vanno dal modico al relais e chateau. Potrei proseguire, ma ne verrebbe fuori un romanzo. Quindi concludo, segnalando tre siti omnicomprensivi  che la sanno molto più lunga di me in fatto di territorio e d’itinerari

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https://www.cmop.movimentolento.it/it/resource/track/category/bici/

http://www.oltrepeat.com   

 www.oltrepopavese.com


*MANUELA CASSARA’  (Roma 1949, giornalista, ha lavorato unicamente nella moda, scrivendo per settimanali di settore e mensili femminili, per poi dedicarsi al marketing, alla comunicazione e all’ immagine per alcuni importanti marchi. Giramondo fin da ragazza, ama raccontare le sue impressioni e ricordi agli amici e sui social. Sposata con Giovanni Viviani, sui viaggi si sono trovati. Ma in verità  anche sul resto)

*GIANNI VIVIANI (Milano 1948, fotografo, nato e cresciuto professionalmente con le testate del Gruppo Condè Nast ha documentato con i suoi still life i prodotti di molte griffe del Made in Italy. Negli ultimi anni ha curato l’immagine per il marchio Fiorucci. Ha anche lavorato, come ritrattista, per l’Europeo, Vanity Fair e il Venerdì di Repubblica. La sua passione più recente sono le foto di viaggio)




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