Nuvole. Vanno, vengono, ritornano: ma non bevete quell'acqua

 foto e testo di ROBERTO ORLANDO*

"Mi raccomando, non bevete l'acqua piovana!" Parola di nefologo, ossia di Vincenzo Levizzani, professore con la testa nelle nuvole o per meglio dire primo titolare di una cattedra di Fisica delle nubi in Italia - all'università di Bologna - e autore di quella che viene considerata la più approfondita guida al mondo su nascita, vita e dissipazione delle nuvole sul Pianeta Terra.  

Levizzani è uno degli ospiti del Festival della Scienza di Genova e, nel Salone del Maggior Consiglio del Palazzo Ducale ci ha aiutati per un'ora buona a "spalare le nuvole", come direbbe il commissario Adamsberg, arguto investigatore nato dalla penna della scrittrice francese Fred Vargas. 

Operazione tutt'altro che semplice. Perché sì, sembra facile capire come funziona il ciclo dell'acqua sulla Terra, sembra intuitivo il meccanismo di formazione delle nuvole oppure immaginare per quale motivo sotto alcune nubi piova e sotto altre no. Ma in realtà è tutt'altro che semplice, come ha spiegato, con verve da affabulatore, il professor Levizzani nella sua lectio magistralis. 


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Ha spiegato chimica e fisica delle nuvole, ma anche quali siano i rischi dell'interferenze dell'uomo sul ciclo dell'acqua e di come sia importante contenere al massimo l'emissione nell'atmosfera terrestre di quelle microparticelle che non vediamo proprio, e che pertanto ci sembrano innocue, contenute per esempio nei gas di scarico delle auto, che da decenni stanno influendo sul clima di alcune zone del pianeta, riducendo fra l'altro la quantità delle precipitazioni piovose oppure, in certi casi, amplificandone la potenza. 

E non si può certo definire questa una visione pessimistica dei cambiamenti climatici, soprattutto se mentre il professore parla si sta ancora scaricando con effetti devastanti sulla Sicilia sud orientale un vero e proprio uragano mediterraneo, altrimenti detto Medicane (abbreviazione della definizione inglese Mediterranean hurricane), ossia un fenomeno meteorologico tipico delle zone tropicali che da qualche tempo si forma pure lungo le coste del Mare Nostrum. 

Lavizzeni torna a più riprese sui pericoli che si possono correre a forza di strapazzare le nuvole, anche se la sua lezione ha scopi divulgativi e vuole soprattutto spalancare una porta sulle meraviglie di quello che accade quotidianamente sopra le nostre teste, anche quando non ce ne rendiamo conto. Per esempio, il professore spiega che il cosiddetto Pianeta Blu è in realtà un pianeta nuvoloso, coperto costantemente per il 70 per cento dalle nubi. 


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Nuvole di tutte le forme, ognuna con caratteristiche specifiche, alcune che generano pioggia e altre che sono soltanto di passaggio: "Vanno, vengono, a volte ritornano", come canterebbe Fabrizio De André. Sono suddivise in dieci grandi categorie e in una miriade di sottocategorie. E non finiscono mai di stupire, tanto che per esempio uno di questi tipi di nubi è stato classificato soltanto quattro anni fa: si chiamano Asperitas e sembrano più un mare increspato che una montagna di vapore. Ma poi ci sono le nuvole che crescono verso il basso e si formano soltanto quando è finito il temporale e ci sono quelle che determinano su quale versante di una montagna possa crescere una foresta rigogliosa mentre sull'altro regna invece il deserto. Succede per esempio, volendo restare dalle nostre parti, a San Martino di Castrozza, come ha spiegato Levizzani, dove le nuvole salgono su un fianco della montagna generando abbondanti precipitazioni e poi praticamente si impennano senza oltrepassare il crinale, oltre il quale non cade una sola goccia di pioggia.

La nostra è insomma una coltre di nubi bizzarra, con caratteristiche diverse anche a seconda delle zone del pianeta sopra le quali si formano e che funzionano in modo differente, ma che si formano tutte a una quota variabile tra i due e al massimo 17 km dalla superficie terrestre. Sempre che non si voglia considerare nuvola anche la nebbia. La quale infatti è della stessa materia di cui sono fatti non i sogni ma le nuvole appunto, ovvero vapore acqueo, meritandosi pertanto il titolo di nube a tutti gli effetti. 


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E poi via, da una slide all'altra, alla scoperta delle differenze tra cirri e cumulonembi, tra altostrati e supercelle, delle loro caratteristiche morfologiche e fisiche, con le loro funzioni e i loro effetti, a volte benefici e a volte disastrosi. 

Sempre ammesso che gli effetti ci siano. Perché per far piovere non basta la condensazione del vapore che sale da terra verso una determinata zona del cielo, ma si devono creare altre condizioni, innescate sempre dalla presenza dei minuscoli nuclei di condensazione che esistono in grandissima quantità nella troposfera e che consentono al vapore acqueo di trasformarsi in microscopiche goccioline d'acqua, le quali unendosi tra loro nel turbinio della nuvola daranno origine alla goccia di pioggia. Proprio su questi nuclei si sta ora concentrando la ricerca scientifica, anche in chiave meteorologica e climatica. 

Ecco, la ricerca. Noi non lo sapevamo, ma ogni volta che un aereo decolla o atterra perforando una nuvola raccoglie dati utili anche ai ricercatori. Così come non sapevamo che basta scaricare un'app sullo smartphone, acquistare un termometro e diventare un protagonista della cosiddetta citizen science, ovvero contribuire nel proprio piccolo alle scoperte scientifiche in nefologia che sicuramente verranno. 


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Infine, nel grande salone del Palazzo Ducale, mentre inizia il conto alla rovescia per la perturbazione che dovrebbe raggiungere Genova nelle prossime ore facendo salire il livello di allerta, è il tempo delle domande al quale il professore risponde davvero con piacere. Da che cosa dipende il colore delle nuvole? Dalla posizione del sole e dalla composizione delle nuvole, se contengono pioggia oppure ghiaccio. E i proverbi che azzardano previsioni meteo hanno un fondo di verità? Certo, se il cielo è a pecorelle aspettatevi acqua a catinelle. Ma soprattutto, avverte Levizzani, non bevete l'acqua piovana. La pioggia è una straordinaria spazzina del cielo, ripulisce e trascina tutto al suolo: particelle, polveri, gas... Per questo quando smette di piovere abbiamo la sensazione di respirare molto meglio, ma per dissetarsi è meglio aspettare qualche passaggio di purificazione. 

E ancora, ripete il docente, evitiamo di intervenire sul ciclo dell'acqua: la scarsità di piogge, la deviazione del corso dei grandi fiumi, la costruzione di dighe non cambia soltanto il clima di una regione, ma ha spesso come conseguenze inevitabili carestie, emigrazioni, guerre per il controllo dell'acqua. E questo non è il futuro, sta già accadendo.


*ROBERTO ORLANDO (Nato a Genova in agosto, giornalista professionista dal 1983. Ultimo capocronista del Lavoro. Dopo uno scombinato tour postrisorgimentale che lo conduce in molte redazioni di Repubblica è rientrato tra i moli della Lanterna. Viaggia, fotografa e scrive. Meno di quanto vorrebbe)


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